Nelle mani dell’ultimo padrone. La carta Draghi

Mario Draghi potrebbe essere l’uomo con il profilo e la reputazione per chiedere una sorta di “pieni poteri”, sottraendosi agli agguati e ai velenosi intrighi di “palazzo”: l’anticamera per la ristrutturazione in chiave presidenzialista del sistema democratico parlamentare. La situazione che si è creata ha tutte le caratteristiche della destabilizzazione del sistema politico-istituzionale, mentre è del tutto assente una sinistra di classe, strutturata in un blocco sociale alternativo, costituita in un fronte politico anticapitalista.


Nelle mani dell’ultimo padrone. La carta Draghi

1. La crisi più pazza del mondo?

Mercoledì il presidente Mattarella, dopo l’ennesimo vicolo cieco in cui è stato condotto il presidente della Camera Fico dal bluff di Italia Viva nella partita della crisi, ha convocato Mario Draghi, l’uomo dell’iperfinanza nazionale, europea, mondiale, delle privatizzazioni, della costituzione dell’euro come strumento esecutivo dei trattati internazionali e della guida della Banca Europea, del sostegno agli Stati per proteggere il sistema bancario italiano ed europeo. Un precedente analogo (per il profilo della figura chiamata a “salvare la barca”) è quello di Ciampi, il cui governo negli anni Novanta determinò un’accelerazione dello smantellamento dell’impianto di tutela dei diritti sindacali, salariali e sociali con la politica della concertazione; altri esempi furono Dini (controriforma delle pensioni) e Monti (ulteriore controriforma delle pensioni firmata Fornero…). Se Draghi riuscirà nell’impresa di costituire un governo che ottenga la fiducia da una larga maggioranza del parlamento, si sarà compiuto il commissariamento della politica italiana: la situazione caotica e la scelta tecnocratica avvantaggeranno i poteri opachi, limacciosi e minacciosi che proiettano la propria ombra sull’operazione eversiva di Italia Viva.

In questa crisi, gli strumenti di comprensione (strutturale o sovrastrutturale) sono stati messi a dura prova: domenica scorsa, ospite nella trasmissione di Lucia Annunziata Mezz’ora in più, il presidente di Confindustria Bonomi ha dichiarato che il ministro dell’Economia Gualtieri dovrebbe rimanere in un prossimo esecutivo. Gualtieri è uno dei più fedeli sostenitori di Conte, e già questo strideva con la logica che vede la Confindustria all’attacco del governo Conte bis, ma può essere compreso nella logica di avere un esponente fidato (del Partito democratico peraltro) in un ministero chiave, soprattutto per la pioggia di miliardi di euro che dovrebbero arrivare col Next Generation EU e gestiti tramite i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Non appena si è tentato di comprendere la logica della partita aperta da Renzi ci si è trovati spiazzati da continui scarti tatticistici, come la richiesta della “testa” di Gualtieri (oltre a quella di Conte e di altri ministri come Bonafede e Azzolina), che però potrebbe essere confermato anche in un esecutivo Draghi, a richiesta del capo dello Stato Mattarella.

2. L’implosione del sistema democratico-parlamentare e l’azione eversiva di Italia Viva

Comprendere a chi guardi Renzi non è immediatamente decifrabile, se non riferendosi a quei poteri che si muovono nell’ombra e serpeggiano negli interstizi della frastagliata struttura economico-produttiva del nostro paese e nell’ancor più fragile sistema politico-istituzionale: difficile pensare che si rivolga al padronato più strutturato confindustriale, che chiede stabilità e non avventurismo e che ha referenti soprattutto nel Partito democratico; tantomeno, può pensare di ottenere consensi dai settori proletari che sono carne da macello delle sue riforme (Jobs Act per tutti); nemmeno le categorie piccolo-borghesi, orientate verso il M5S e la Lega, ma che in questi mesi – pur polemizzando – hanno ricevuto bonus e ristori governativi. È possibile che Renzi possa ancora pensare di riuscire a catalizzare su di sé (non certo su un partito che non esiste, visto che Iv non è altro che un “comitato d’affari” della cricca Renzi-Boschi) i voti in fuga dal centro-sinistra e dal Pd (nonostante il fallimento del progetto di diventare il Macron italiano) o piuttosto di intercettare voti da Forza Italia? È così narciso da esercitare la sua opera di distruttore solo per avere la centralità mediatica (senza alcun disegno politico riconoscibile, con uno svolazzare ipertattico con continui scarti…), oppure vuole portare all’esasperazione della tensione in un sistema politico sempre più sfibrato, per spingere verso il baratro del caos la democrazia rappresentativa? La carta di Draghi può essere tutta la prospettiva dell’intera operazione di sabotaggio rispetto al governo Conte bis e Conte ter? O ancora, il “Bullo di Rignano” sta aprendo la strada a un qualche progetto eversivo?

3. Le condizioni di Draghi

Che Draghi si cali nel verminaio della politica italiota senza porre condizioni politiche per preservare la propria figura e la propria reputazione internazionale è impensabile, ancora meno che si limiti a guidare un governo di pochi mesi per traghettare un sistema politico-istituzionale destabilizzato e allo stremo verso le elezioni: potrebbe stare pensando alla prospettiva dell’elezione alla presidenza della Repubblica, guardando alla carriera di Ciampi (dalla Banca d’Italia al governo alla presidenza della Repubblica), ma il terreno è talmente frastagliato e instabile che pare difficile un tentativo di Draghi senza garanzie, per non venire esposto ai cecchini in parlamento. Mario Draghi potrebbe essere l’uomo con il profilo e la reputazione per chiedere i “pieni poteri”, con la giustificazione di sottrarsi agli agguati e ai velenosi intrighi di “palazzo”: l’anticamera per la ristrutturazione in chiave presidenzialista del sistema democratico parlamentare, ormai frantumato e incapace di rappresentare i settori più aggressivi della borghesia e di quei poteri sotterranei che agiscono nell’anonimato.

La situazione che si è creata ha tutte le caratteristiche della destabilizzazione del sistema politico-istituzionale, quadro in cui la figura di Draghi viene evocata (da più parti e da più mesi) come figura di alto profilo, ma con l’evidente difficoltà – immediatamente emersa – di un passaggio parlamentare in cui la fiducia e la maggioranza qualificata non sono risultati scontati. Draghi potrebbe non ottenere una maggioranza stabile, ma potrebbe gestire comunque l’emergenza del piano di distribuzione vaccinale, il controllo delle tensioni economico-sociali, la progettazione, pianificazione, distribuzione, esecuzione dei miliardi del Recovery Plan. In gioco ci sono dunque questioni essenziali per rimettere in moto il paese sul piano sanitario, economico, sociale, produttivo: se Draghi passerà dalla riserva all’accettazione piena dell’incarico di formare l’esecutivo, dovrà esplicitare – probabilmente insieme a Gualtieri – come intende sviluppare i progetti che dovranno essere presentati in Europa, quali settori privilegiare, se investire nei settori pubblici (sanità, istruzione, formazione, ricerca innanzitutto) o se dirottare le risorse verso imprese private a cui appaltare la realizzazione dei progetti; dovrà chiarire se intende rinnovare le protezioni sociali come il blocco dei licenziamenti – che il 31 marzo scadrà, con conseguenze drammatiche se non venisse prolungato – o degli sfratti; dovrà sciogliere il nodo della riforma fiscale e della patrimoniale. Occorre dunque che Draghi espliciti se con i soldi del Recovery Fund intende intraprendere politiche di redistribuzione della ricchezza o piuttosto preservare le rendite di potere consolidate in questi mesi e lasciare aggravare gli squilibri sociali. In sintesi: se Draghi intraprenderà politiche neokeynesiane “di sinistra” (rilancio dallo Stato sociale e di servizi universali pubblici – comunque non risolutivi della crisi strutturale economico-sociale del sistema capitalistico – e non sovvenzioni statali a imprese e banche private), o un keynesismo “di destra” (rilancio della concorrenza tra pubblico e privato mitigata con nuovi ammortizzatori sociali), o ancora seguirà la linea austero-liberista (rigorismo nella spesa pubblica, investimenti statali a salvaguardia di rendite e profitti, per rilanciare le capacità competitive dell’Italia, riprendere la cementificazione del territorio con la ripresa delle grandi opere, rinforzare la protezione del capitale finanziario privato per preservarlo dalla speculazione finanziaria più selvaggia).

Inoltre, la figura di Draghi è l’unica che potrebbe reggere anche un governo di minoranza nella situazione drammatica del paese, ma non è scontato che decida di esporsi ai continui agguati e al logoramento proveniente dalle forze politiche parlamentari se non con la prospettiva di stringere i meccanismi decisionali e politico-istituzionali anche mediante una torsione costituzionale. Non è peraltro casuale che oggi le borse festeggino, con un crollo dello spread e indicatori euforici, l’uscita allo scoperto dell’uomo ex Goldman Sachs, ex dirigente di Bankitalia e Banca Europea, espressione tecnocratica delle élite dominanti europee, a dimostrazione che il solo annuncio della prospettiva di un governo Draghi (Mr. Whatever it takes) scatena gli spiriti selvaggi degli speculatori che già annusano la prospettiva del business. 

4. La necessità di riorganizzare le forze comuniste per costruire un nuovo scenario alternativo

In tutto questo sommovimento, come ho già evidenziato ripetutamente, è del tutto assente una sinistra di classe, strutturata in un blocco sociale alternativo, costituita in un fronte politico anticapitalista. Quello che diventa urgente, impellente, oltreché necessario, è l’avvio di un processo costituente, anche con passaggi intermedi come patti di azione e di mobilitazione, per riorganizzare i comunisti variamente collocati.

L’incombente crisi del sistema politico prelude a scivolamenti verso svolte eversive per cui serve organizzare urgentemente una risposta sociale e politica anticapitalista, unitaria e di classe, fondata su un coordinamento delle forze organizzate comuniste, in alternativa al centrosinistra, alle destre, agli esperimenti tecnico-istituzionali, per rilanciare la lotta e l’opposizione sociale e politica a esecutivi tecnocratici o di unità nazionale.

05/02/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giovanni Bruno

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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