Rompere definitivamente con la politica della testimonianza

Una sinistra di classe può recuperare credibilità e compattezza solo se è in grado di osservare i propri errori, se evita di ripeterli sistematicamente, se si dimostra in connessione con le classi popolari di cui è in grado d’interpretarne i bisogni e d’indirizzarli verso uno scopo.


Rompere definitivamente con la politica della testimonianza

Sono passati due anni e mezzo da quando si è insediato il Governo Meloni. Si tratta di un periodo consistente nel quale le forze di destra, pur perseguendo una politica economica decisamente antipopolare, riescono tuttavia a mantenere ancora una discreta base di consenso ma soprattutto, a contenere il conflitto sociale entro dei limiti che non mettono seriamente in discussione – almeno per ora - l’operato del Governo. Lo sciopero del 29 Novembre e la manifestazione del 30 sulla Palestina, pur esprimendo importantissime e significative forme di ricomposizione e di resistenza, non hanno ancora prodotto quel clima di conflittualità generalizzato che è in grado di mettere in discussione l’esistenza del governo più reazionario della storia italiana. La spinta alla mobilitazione si scontra sistematicamente con quel clima di sfiducia nella politica, di rassegnazione generale, che attraversa una parte consistente della classe lavoratrice italiana. Si tratta di quello stesso clima che riscontriamo nelle elezioni regionali in Umbria, Emilia Romagna e Liguria, nelle quali, pur assistendo ad una battuta d’arresto delle forze di centro destra, ci troviamo di fronte ad un astensionismo che supera il 50% e ad un ritorno del bipolarismo classico in cui il Partito Democratico riesce a monopolizzare il grosso dei voti contro le forze di governo.

A nostro avviso esiste una relazione dialettica profonda, anche se non schematica ed immediata, tra il conflitto sociale e la rappresentanza politica in Italia, una dialettica occultata, sottovalutata o interpretata in un’ottica opportunista e deformata dalla stragrande maggioranza di tutte quelle forze della sinistra radicale che, anche con le migliori intenzioni, concepiscono la politica esclusivamente come una forma di testimonianza. Nel corso di questi ultimi dieci anni abbiamo assistito, di fronte ad una crisi profonda del bipolarismo ed in assenza generalizzata del conflitto sociale, ad un’ascesa vertiginosa e ad una momentanea caduta in verticale di un movimento populista – il movimento Cinque Stelle – che ha rappresentato le inquietudini dei ceti medi, di una parte della piccola borghesia, ma anche di pezzi consistenti del mondo operaio, schiacciati dalla crisi e dall’approfondirsi delle diseguaglianze sociali. Non essendo perfettamente compatibile con le esigenze predatorie dell’oligarchia finanziaria (ed avendo anche dei forti limiti determinati dall’ideologia populista) questo movimento è stato colpito mediaticamente e politicamente, sia attraverso le esperienze di governo ma anche, e soprattutto, per mezzo della nascita del Governo Draghi al quale, per una fase, il Movimento Cinque Stelle ha partecipato. Il partito AVS, che non ha mai messo in discussione l’alleanza strategica con il PD, in virtù delle posizioni, sempre più critiche del Movimento Cinque Stelle sulla guerra in Ucraina e sul conflitto palestinese, è riuscito a risollevarsi collocandosi a sinistra del Pd e a raccogliere quelle istanze di sinistra che non trovavano più rappresentanza. Lo stesso PD è riuscito ad intercettare una parte di questa crisi della rappresentanza nei ceti medi eleggendo Naomi Schlein alla segreteria del partito e a far dimenticare momentaneamente, ad una parte dell’elettorato, la sua direzione ultraliberista in economia ed ultraatlantista in politica estera. Dentro questo quadro di normalizzazione, quindi di sfiducia complessiva in un effettivo cambiamento della realtà, vanno letti sia l’elevato tasso di astensionismo ma anche tutte le difficoltà nella costruzione di un forte conflitto sociale nel nostro paese. 

Per quanto ci riguarda, pur leggendo con molta attenzione i processi che avvengono all’interno del Movimento Cinque Stelle e di AVS, non apparteniamo né intendiamo appartenere a nessuna di queste due formazioni. Come comunisti sentiamo di appartenere a quella sinistra di classe di cui in questi anni abbiamo condiviso limiti ed errori. Abbiamo partecipato ad una lunga fase dell’esperimento di Potere al Popolo – che abbiamo votato, ma da cui ci siamo allontanati a causa delle spaccature interne, poi, con sempre più dubbi e perplessità abbiamo sostenuto Unione Popolare per poi condividere e sostenere la lista Pace Terra e Dignità – sempre con un senso di difficoltà ed inadeguatezza – poiché ci sembrava corretto sostenere un progetto – con una minima forma di visibilità che concentrava nella critica radicale alla guerra le sue principali parole d’ordine. In tutto questo periodo, tuttavia, abbiamo potuto riscontrare sempre i limiti e gli errori presenti in tutte queste proposte – limiti che ci apparivano evidenti ogni qual volta ci misuravamo con gli umori ed i sentimenti profondi della nostra classe di riferimento. Ai loro occhi ogni proposta non appariva mai credibile. Dopo il fallimento della lista Pace Terra e Dignità abbiamo deciso che non si trattava di errori tattici o problemi contingenti ma di un approccio generale, di una mentalità di fondo che coinvolge trasversalmente tutte le forze della sinistra di classe: la politica intesa come testimonianza, l’azione politica e sociale interpretata come semplice affermazione della propria esistenza. E’ questa la vera ragione per cui le forze anticapitaliste o sono indifferenti al momento elettorale (aspettando in un lungo cammino nel deserto il momento propizio per la palingenesi, quindi messianesimo) oppure si raccolgono in unioni raccogliticce che poi si spaccano il giorno dopo le elezioni ottenendo risultati sempre più miseri. La politica come testimonianza ed il messianesimo rappresentano i due limiti fondamentali con cui si deve misurare la sinistra di classe. A ciò si aggiunge un approccio spesso settario ed autoreferenziale che produce conflitti e tensioni anche durante quelle importanti mobilitazioni che si sviluppano in Italia con l’aggravarsi della crisi. La riduzione ai minimi termini delle forze che compongono la sinistra di classe le rende, poi, sempre più deboli, nel momento in cui, quando decidono di abbandonare i progetti raccogliticci di riunificazione, provano a confrontarsi con le forze che dovrebbero essere a loro più vicine: il populismo del Cinque Stelle e la sinistra moderata di AVS. I rapporti di forza – nonostante la debolezza di queste due organizzazioni – sono incomparabili e ci si trova sistematicamente spaccati e divisi sulla questione dei posti in lista. Osservando il duro dibattito all’interno di Rifondazione Comunista – il partito con cui ci siamo spesso trovati a condividere le scelte elettorali – ci rendiamo conto che le sue profonde divisioni, le incomprensioni reciproche che vedono scontrarsi accanitamente molti ottimi compagni nascono proprio da questi problemi che, a nostro avviso vanno risolti una volta per tutte.

Con ciò non intendiamo affatto dare giudizi all’operato di un partito a cui ci sentiamo molto vicini ma affrontare alla radice un problema che non possiamo più accantonare: a nostro avviso abbiamo sperimentato che non c’è più spazio, nell’immediato, per una forza elettorale che unisca, presentandosi alle elezioni, le forze della sinistra di classe, ma al tempo stesso non c’è neanche spazio per una lunga camminata nel deserto che ci isola completamente dal dibattito politico. Lo spazio a sinistra del PD è stato occupato e non da noi. Che fare? Il punto fondamentale è quello di costruire un dibattito su come incidere su queste forze spostandole a sinistra facendo leva su quegli elementi d’incompatibilità (penso alle politiche di guerra , al DDL 1660, alla rivendicazione dei diritti sul lavoro, al diritto alla salute e, più in generale alla difesa degli interessi delle classi popolari) che queste forze affermano di voler difendere, ma al tempo stesso essendo autonomi da queste forze, proprio perché consci delle nostre debolezze, il che implica l’indifferenza totale rispetto ai posti, ai seggi da contrattare in parlamento o nelle istituzioni locali. Una sinistra di classe può recuperare credibilità e compattezza solo se è in grado di osservare i propri errori, se evita di ripeterli sistematicamente, se si dimostra in connessione con le classi popolari di cui è in grado d’interpretarne i bisogni e d’indirizzarli verso uno scopo. Se si costruiscono alleanze non lo si fa per contrattare qualche posto in lista (il che produce ambiguità, conflitti interni, scontri intestini, senso di frustrazione) ma solo per riguadagnare consenso nelle classi di riferimento, avendo anche la libertà di criticare e metter in luce i limiti delle forze che pur decidiamo volta per volta di appoggiare. Troppe volte si confonde l’autonomia politica con l'autoreferenzialità, con il settarismo, se non c’è spazio nelle istituzioni, attualmente per una sinistra di classe, e noi pensiamo che oggi non ci sia spazio, c’è invece spazio per le idee che questa stessa sinistra vuole rappresentare e su cui vuole contendere l’egemonia alle forze più moderate. Il conflitto sociale cominciato con lo Sciopero del 29 Novembre apre uno spazio politico che cambia l’orientamento stesso delle forze in campo e non è un caso che viene osteggiato da quelle forze d’opposizione che vorrebbero semplicemente sostituirsi al Governo Meloni facendo le stesse politiche, quello spazio lo dobbiamo occupare noi, la sinistra di classe, spingendo AVS ed il 5 Stelle sulle posizioni più avanzate ma rimanendo autonomi organizzativamente e politicamente. E’ proprio per questa ragione che noi dobbiamo essere i più unitari possibile nel campo del conflitto sociale, evitare spaccature inutili che fanno solo il gioco della Meloni e dei moderati, mentre dobbiamo essere rigidi sui nostri punti programmatici, su quelle poche questioni importanti che ci trovano tutti uniti. Per fare questo dobbiamo abbandonare la logica autoreferenziale dei simboli, della visibilità personale, ma ancorarci fondamentalmente alle idee e alla condivisione delle esperienze comuni nel conflitto. Sappiamo che non sarà facile compiere questo salto, siamo consapevoli che ci faremo molti nemici, che ci scontreremo con quella radicata tendenza alla politica come testimonianza che è radicata nella testa di molti militanti, che verremo giudicati ultramoderati da alcuni ed estremisti da altri, ma, a nostro parere essere comunisti e radicali significa affrontare un problema alla radice e tentare di risolverlo, evitando di reiterare all’infinito gli errori.

06/12/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Francesco Cori

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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