La sofferenza acquista senso e non è vana se dal fatto che stiamo male comprendiamo che cosa abbiamo sbagliato. In tal modo dal male rinasce il bene, la tragedia si conclude con la catarsi e impariamo a conoscere i nostri limiti, punto di partenza decisivo per poterli mettere in discussione per poi superarli dialetticamente.
Oggi qualsiasi brava persona in Italia non può che soffrire vedendo che il governo e lo Stato del nostro paese sono gli unici che non sentono nemmeno il bisogno di far finta, per quanto ipocritamente, di prendere posizione contro il genocidio del popolo palestinese. Naturalmente qualsiasi persona che è rimasta umana non può che battersi contro il primo genocidio della storia trasmesso in diretta.
D’altra parte, l’impegnarsi contro il genocidio non può servire soltanto a soddisfare la nostra esigenza morale di non esserne complici vivendo in un paese imperialista schierato in prima fila nel far fare a Ucraina e Israele il lavoro sporco di contrastare i paesi non allineati. Certo, avere la coscienza a posto è fondamentale, cioè essere consapevoli di aver fatto la propria parte e di aver preso posizione, di essersi esposti contro il genocidio. Ma questo non può bastare a chi non accetta di arrendersi all’individualismo dominante nella società neoliberista. Anche perché solo in una dimensione collettiva possiamo pensare che il nostro impegno possa contribuire a cambiare le cose.
Da qui lo sconforto quando vediamo che persino il governo tedesco, storicamente da sempre in prima linea in tutti i genocidi colonialisti, ha dovuto sospendere la fornitura di armi che Israele impegna per portare a termine la pulizia etnica. Mente il nostro governo e il nostro Stato, nonostante lo scandalo con cui è emerso come non sia mai venuto meno il sostegno italiano anche in armi al genocidio, resta fra i pochissimi paesi al mondo a non dover nemmeno far finta di dissociarsi.
Questo significa che purtroppo il nostro impegno morale è rimasto inefficace, un’astratta buona intenzione, che non è stata in grado di tradursi in un'azione collettiva in grado di cambiare in maniera significativa lo stato delle cose presente decisamente insoddisfacente. E non possiamo credere di poter mettere a posto la nostra coscienza politica, che per una persona progressista non può che essere più importante della coscienza morale, limitandoci a promuovere, ad esempio, un ennesimo appello contro il genocidio, per quanto radicale possa apparire. A meno che, per rimanere a quest’ultimo esempio, tale appello non sia in grado di dare vita a un movimento di massa in grado di costringere governo e Stato a far quanto meno finta di dissociarsi dal genocidio in corso.
Del resto, oltre a impegnarsi nell’azione, partecipando ad esempio alla ennesima manifestazione contro il genocidio, dobbiamo anche necessariamente riflettere collettivamente sui limiti delle nostre precedenti mobilitazioni. Il primo macroscopico limite è non essere riusciti a mettere in campo una opposizione realmente efficace nonostante si trattasse di contrastare il governo più a destra della storia della nostra Repubblica, il primo egemonizzato dai principali eredi del fascismo.
D’altra parte, proprio per questo, si tratta di un governo del tutto incapace di operare in modo realmente efficace. Ciò nonostante è di fatto l’unico governo di un paese imperialista che non suscita il deciso rigetto della maggior parte della popolazione.
E qui iniziano i problemi che ci riguardano realmente in prima persona. La questione di fondo è che nonostante abbiamo il peggiore governo possibile in questo momento storico, non esiste una opposizione all’altezza, anzi non esiste una “reale”, effettiva opposizione. Qui non basta limitarsi a denunciare, per quanto importante possa essere continuare a farlo, la completa incapacità dell’opposizione moderata. In primo luogo in quanto significherebbe far finta di non sapere che da tempo la sinistra moderata è passata dall’altra parte della barricata, dal costituire la componente più moderata dei subalterni è divenuta l'area più progressista della classe dirigente, al servizio di una classe dominante di oppressori.
Da qui il dato di fatto che la posizione di questo governo legittimo erede del fascismo, per quanto riguarda almeno la politica estera, è sostanzialmente in linea con la posizione dello Stato italiano nel suo complesso, posizione esemplarmente espressa e chiarita dal capo dello Stato che non a caso è espressione reale della “sinistra” moderata.
In effetti, con tutto il rispetto per quelle forze di sinistra che sono rientrate nel Pd per cercare di riposizionarlo su posizioni meno sfacciatamente complici della classe dominante di oppressori, che peraltro rende estremamente difficile fare una efficace opposizione, la reale “alternativa” offerta dal Partito “democratico” è esemplarmente espressa dai suoi esponenti al potere, da Mattarella a Gentiloni, da Sala a Ricci, alla redazione del Tg 3. Perciò le posizioni dello Stato tendono a coincidere con le posizioni di questo governo, per quanto possa essere di destra radicale.
Del resto l’opposizione moderata fa, per quanto nel peggiore dei modi, il proprio mestiere, di opposizione compiutamente interna al paradigma ordoliberista e imperialista dominante. Si tratta semplicemente di far credere che l’unica opposizione realista sarebbe costituita dall’imperialismo democratico e dal neoliberismo dal volto umano, due veri e propri ossimori.
Ma qui arriviamo alle nostre responsabilità di sinistra radicale del tutto incapace non solo di prendere anche se solo parzialmente il potere, conquistando almeno qualche casamatta indispensabile all’egemonia sulla società civile, ma di fatto impotente a essere una reale opposizione tanto al governo e allo Stato, quanto alla pseudosinistra sedicente riformista.
Purtroppo negli ultimi tempi la sinistra radicale è di fatto assente nel nostro paese, nonostante i lodevoli sforzi di tanti singoli militanti. Questo appare evidente nel modo più eclatante dalla completa incapacità di modificare la posizione del governo e dello Stato difronte al genocidio più sfacciato della storia. Anche in questo caso l’agire in modo inefficace dipende da una subalternità ideologica al pensiero dominante, sempre espressione della classe dominante, nel nostro caso di oppressori e mandanti del genocidio.
Detta subalternità è evidente nel prevalere, per quanto inconsapevole, di intenti individualistici all’interno anche della sinistra che dovrebbe essere radicale. Così persino sulla questione del genocidio tendono a prevalere le piccole ambizioni, cioè il rafforzamento del proprio “orticello”, piuttosto che le grandi ambizioni di rivoluzionare in senso progressista il corso del mondo, a partire dalla capacità di contrastare in maniera efficace il genocidio.
In tal modo tende di fatto a prevalere nella sinistra aspirante radicale la masochistica vocazione minoritaria, dettata dall’assunto, per quanto inconsapevole, di limitarsi alla testimonianza, atta a soddisfare la nostra coscienza morale necessariamente individuale. Da qui anche la tanto scellerata quanto nefasta tendenza a confondere la propria parte con il tutto, ritenendo che la reale azione rivoluzionaria consista nel salvaguardare la propria organizzazione che, per le proprie dimensioni generalmente microscopiche, non può che tendere al settarismo.
Assistiamo così, persino dinanzi al genocidio in diretta, alla scellerata tendenza, per quanto inconsapevole, di operare sempre, in primo luogo, per rafforzare la propria “parrocchietta”, piuttosto che con l’intento di creare un movimento di massa in grado di modificare in modo significativo l’inaccettabile stato attuale delle cose. Come è evidente a chi ha occhi per vedere la sinistra aspirante radicale non è in grado di unirsi nemmeno al proprio interno, il che la rende necessariamente inadeguata al compito storico di sconfiggere la destra e la sinistra moderata, in primis nella capacità di egemonizzare la società civile.
Qui emergono nel modo più evidente tutti i limiti della sinistra sedicente radicale, che spesso finisce con il considerare il proprio reale nemico non lo Stato imperialista o, almeno, il governo degli eredi del fascismo, ma piuttosto l’organizzazione altrettanto inefficace che si trova immediatamente alla propria destra o alla propria sinistra. Così si finisce per disperdere anche le scarse energie che si è in grado di mettere in campo nella creazione di assurde “guerre” intestine. Si tratta in effetti di scaramucce fra residui di un passato per quanto glorioso, che non hanno nemmeno la funzione di realizzare l’imprescindibile spirito di scissione fra proletariato e piccola borghesia. Del resto, non solo il riformismo dell’ala destra del movimento dei lavoratori salariati, ma anche l’estremismo dell’ala sinistra sono proprio il risultato della nefasta egemonia di posizioni, per quanto inconsapevoli, piccolo borghesi all’interno del proletariato.
Si tratterebbe, al contrario, di aprire un reale dialogo fra tutte le aspiranti forze della sinistra radicale su come costruire, una opposizione reale, capace di contrastare in modo efficace il genocidio. Naturalmente per noi questo è possibile soltanto costringendo il governo e lo Stato di questo paese a dover cambiare, quantomeno apparentemente, posizione. Nella consapevolezza che i problemi comuni che ci fanno soffrire, rendendoci inefficaci, possono essere risolti solo collettivamente, non naturalmente con l’imposizione della propria debolezza agli altri, ma nello sforzo comune di superare i nostri innegabili limiti.