Il 25 gennaio al Teatro Flavio di Roma “Prospettiva Unitaria” ha presentato a cura della Commissione politica congiunta delle quattro organizzazioni promotrici, Costituente Comunista, Movimento Rinascita Comunista, Patria Socialista e Resistenza Popolare, il documento politico come base di discussione per la costruzione di un nuovo partito comunista. È un progetto del quale si sentiva la necessità e il Cantiere di lavoro è già stato aperto. Con quest’articolo si presentano alcune osservazioni su alcuni punti del documento che si spera possano essere se non accolte in toto quanto meno essere di interesse. Il documento è ben articolato, in 8 punti si delinea il quadro generale delle motivazioni per la nascita del nuovo partito comunista che rappresentano nell’insieme anche un quadro di riferimenti politici attuali e si spera che possano diventare credibili anche per i non pochi comunisti che sono politicamente in diaspora da decenni.
Il primo punto del documento “Chi siamo” presenta i riferimenti storico-ideologici, largamente condivisibili. Penso però che per l'Unione Sovietica si possa obiettivamente dire di più in quanto ha rappresentato purtroppo una vittoria storica del capitalismo, che fino ad oggi non è stata adeguatamente analizzata, sia a livello della fase finale, che coincide con l’era di Gorbaciov, sia per l’azione devastante che è stata compiuta dagli Usa e dall’Ue contro i movimenti comunisti dei vari paesi del blocco socialista che avevano un riferimento soprattutto ideologico e politico nell'Unione Sovietica. In finale viene citato Mu'ammar Gheddafi che, come è noto, è stato ucciso il 20 ottobre del 2011. Al di là delle vicende che hanno rappresentato una fase che si è conclusa, come sappiamo, tragicamente per la Libia e che ha messo in evidenza come il capitalismo distrugge tutto e non esita ad uccidere chi non l’appoggia; tuttavia non penso che questo personaggio possa rappresentare un modello da condividere, peraltro tutti ricorderanno come Mu'ammar Gheddafi è stato amico di silvio Berlusconi e le performance dei loro incontri in particolare quelle realizzate a Roma a Villa Borghese dal 10 al 13 giugno del 2009, che hanno fatto molto discutere.
Il secondo punto, “La nostra storia”, presenta un’articolazione largamente condivisibile ma su un passo alcune osservazioni sono indispensabili per meglio focalizzare il quadro storico che si presenta nella fase in corso perché sono cruciali per la costruzione del nuovo partito comunista. A pagina 9 si legge: «Il “Partito nuovo” di Togliatti ha mancato l’appello alla rivoluzione socialista, e la cosa necessita una più precisa analisi, ma ha contribuito a costruire una democrazia repubblicana assai avanzata negli ideali espressi dalla Costituzione, da un’organizzazione istituzionale inedita nella storia monarchica autoritaria del nostro paese; ha sostenuto in maniera decisiva l’organizzazione della classe operaia e delle sue lotte contro il padronato e contro le mafie, determinando un netto miglioramento delle condizioni di vita per tutto il popolo; ha svolto un fondamentale ruolo pedagogico-educativo diffondendo una cultura di progresso, di diritti e di pace tra milioni di persone».
Premesso che il “Partito nuovo” di Togliatti ha avuto il suo riferimento strutturale in relazione alla formazione della Costituzione e quindi nella fase della nostra storia tra il 1946 e la fine del 1947. La Costituzione è andata in vigore il primo gennaio del 1948 e le relazioni con il “Partito nuovo” sono state ben ombreggiate, ma hanno di fatto cancellato la possibilità per il partito comusta italiano che il comunismo in Italia si potesse raggiungere con processi rivoluzionari, ai quali è stata sostituita l’unica strada possibile delle libere elezioni. La storia, di questi circa 77 anni è nota ed è stata complessivamente una storia di fallimenti politici soprattutto per i lavoratori, ciò nonostante, oggi, il comunismo in Italia si possa affermare soltanto con libere elezioni, che ritengo che siano processi rivoluzionari adeguati ai nostri tempi. Si tratta di una evidenza politica che non è cancellabile e che è da condividere pienamente ma senza che il nuovo partito comunista venga strutturato sul “centralismo democratico” che nel documento politico viene presentato come centrale ed acquisito. Al riguardo bisogna riconoscere che dal dopoguerra ad oggi il “centralismo democratico” del “Partito nuovo” di Togliatti ha di fatto massimamente agevolato e servito il ceto medio e la borghesia italiana e, per certi aspetti, anche i fascisti che oggi sono al governo. Riprenderò il tema nelle conclusioni.
Il punto 3, “Per una prospettiva unitaria” delinea in parte la fase in corso, ma il finale si presenta troppo generico e andrebbe meglio ponderato. A pagina 15 leggiamo:
“La crisi del movimento comunista italiano ha d’altronde le sue specificità che ne fanno un caso unico. Molte organizzazioni di classe presenti nel paese si mostrano subalterne ideologicamente alle battaglie culturali condotte dagli intellettuali della borghesia. La cultura dominante lancia il più fuorviante e mendace dei messaggi: l’intero movimento comunista mondiale è in crisi profonda o è in via d’estinzione. La realtà delle cose ci dice esattamente il contrario: il movimento comunista mondiale vive oggi una fase di grande crescita. È stato ed è determinante nella costruzione di quel grande fronte antimperialista planetario che sta positivamente cambiando il quadro internazionale”.
Premesso che si sta discutendo di costruire un partito comunista italiano e non un partito comunista mondiale, non si coglie alcun riferimento specifico sulle condizioni di vita dei lavoratori, né a livello mondiale né a livello della realtà italiana. Queste condizioni di vita sono in generale in alcuni stati molto precarie, anche se la crescita di movimenti comunisti ha portato benefici rilevanti. Ciò non significa che il nuovo partito comunista italiano, che si vuole far nascere, non debba essere impegnato anche nel movimento comunista mondiale, ma deve però primariamente presentare un quadro di obiettivi irrinunciabili in relazione alla fase in corso affinché la classe operaia italiana diventi classe dirigente e possibilmente, per gradi, insieme ai lavoratori dei paesi nei quali i partiti comunisti sono in stato avanzato. Attenzione, la crisi del movimento comunista italiano è stata voluta dai comunisti del partito comunista italiano, il quale, il 3 febbraio del 1991, si è autosciolto. Questo partito comunista aveva co-firmato la nostra Costituzione e buona parte dei suoi dirigenti e iscritti sono diventati progressivamente nel tempo liberisti eccellenti.
Sui punti che seguono, 3-4-5-6, si sorvola per motivi di spazio, verranno certamente approfonditi con i contributi dei lavori del Cantiere. È importante evidenziare che si presentano 4 interrogativi:
6.1. È vero che la forma-partito sarebbe superata? (p. 38);
6.2. È vero che il comunismo sarebbe “storicamente morto”? (p. 39);
6.3. È vero che il contesto internazionale sarebbe sfavorevole al progetto di costruzione del partito comunista? (p. 40);
6.4. Perché in Italia è necessario il partito comunista? (p. 41).
Il documento si conclude con i punti 7 “dalla parte giusta della barricata” (p. 42) e 8 “I nostri compiti e l’appello al popolo” (p. 44).
Se questo progetto finalizzato alla costruzione di un nuovo partito comunista dovesse fallire, in quanto sarà molto difficile che ne avremo in tempi brevi un altro, il quadro politico italiano per i lavoratori si aggraverà ulteriormente. Questo al di là delle già preoccupanti tendenze in corso. Non avremo nessuna spiaggia comunista unitaria di contrasto e il silenzio politico dei comunisti continuerà. Questo documento rappresenta un’occasione importante e non va sprecata e liquidata con un generico “non sono d’accordo”, ma non è facile presentare opzioni alternative su punti cruciali. Con quest’articolo si è cercato di focalizzare l’attenzione su alcuni temi che si ritengono prioritari. Al di là dei valori politici del documento e delle politiche estere, che qui non vengono commentate, le quali com’è noto sono sempre in relazione con i quadri geopolitici che cambiano continuamente, si è scelto di presentare due temi che sono d’importanza notevole e quindi vanno approfonditi: l’organizzazione del partito e le politiche interne.
L’organizzazione di un nuovo partito comunista è non facile da realizzare in quanto deve tenere conto dei fallimenti politici delle organizzazioni precedenti. Ovviamente ognuno può avere opinioni diverse ma a riguardo del “centralismo democratico” di Togliatti che è un punto centrale in questo documento e, come si è detto prima, bisogna riconoscere che dal dopoguerra ad oggi “ha di fatto massimamente agevolato e servito il ceto medio e la borghesia italiana e, per certi aspetti, anche i fascisti che oggi sono al governo”. I fascisti, che oggi sono al governo, hanno avuto la strada spianata anche perché i comunisti hanno lasciato deliberatamente spazi sociali vuoti, in quanto si sono riconvertiti gradualmente, soprattutto dopo l'autoscioglimento del 1991, in liberisti d’eccellenza. Certo per i giovani è complicato cogliere la sostanza di queste osservazioni, ma il nuovo partito dovrà avere attenzione per la storia recente anche nell’ambito delle attività di una possibile scuola di formazione della quale non se ne potrà fare a meno. Si tenga conto che sia il compromesso storico di Enrico Berlinguer del 1973 e sia lo scioglimento del partito comunista del 1991 sono stati teorizzati prima ai massimi livelli del partito e poi tradotti in scelte politiche. Scelte politiche che sono state, quindi, fatte votare dagli organi di partito, anche territoriali, seppur con resistenze che sono state assorbite, e che sono state attuate a livello nazionale quasi senza contrasti di rilievo: i risultati sono purtroppo noti. I comunisti, comunque, dal 2009 non sono presenti in parlamento e questo è stata la più grande vittoria del capitalismo corrente italiano in questa fase storica ma ovviamente l’obiettivo odierno non è quello che i comunisti debbono essere rappresentati in parlamento, ma è quello di rappresentare una spiaggia politica di contrasto ai processi liberisti in corso. L’organizzazione del nuovo partito comunista in estrema sintesi potrebbe presentarsi ancora con un impianto di Comitato centrale, Direzione nazionale e Segreteria con un Segretario generale. Quest’impianto potrebbe andare bene se però si tiene conto che l’Italia di oggi non è quella del 1948 e che “una sezione del partito sotto ogni campanile” non è né possibile e né avrebbe senso per contrastare le politiche di governo e quelle dell’Ue. Oltre ad una sede a livello nazionale e, possibilmente, in ogni regione sarebbe difficile che con le quote dei tesserati, le uniche sulle quali bisogna contare, si potrebbero attivare sedi territoriali, ma queste saranno scelte che si potranno fare a livello locale. In concreto, nella iniziale attività del partito il ruolo degli iscritti sarà decisivo se lo statuto del partito gli riconoscerà che è un soggetto pensante e non soltanto un ricercatore di altri iscritti. Una sezione nazionale alla quale ci si possa iscrivere sarebbe un’innovazione importante perché in Italia ci sono pendolari che frequentano poco i luoghi di residenza e di domicilio e anche perché la storia dei comunisti in Italia degli ultimi decenni è anche storia di screzi vari d’ogni tipo. C’è incompatibilità conclamata e anche un odio diffuso interpersonale per via delle scelte politiche, che hanno determinato processi di miseria. Tanto che a livello locale tra comunisti a volte non ci si saluta. Con la sezione nazionale si potrebbe superare una situazione di impossibile convivenza in una sezione locale o comunque obiettivamente ridurla. C’è il problema della comunicazione tra iscritti e dirigenti regionali e nazionali che si può in parte attenuare con le nuove tecnologie di comunicazione online che potrebbero essere utilizzate. Sarebbe importante una pubblicazione, anche online, dell’organo del partito che dovrebbe essere aperta anche agli iscritti e non soltanto al segretario generale e ai membri della direzione e comitato centrale e a personaggi di altri partiti intesi come alleati, che c’è da scommettere non mancheranno.
Le politiche interne sono sempre state attuate in relazione alle vicende politiche del momento. Il documento non dice no alle alleanze e come ho letto in interviste si sarebbe favorevoli a fare alleanze con la sinistra anticapitalista, che però in Italia non esiste o, meglio, ha delle adesioni minime, non di rilievo. Esiste invece ed è ben organizzata e rappresentata in parlamento una sinistra anticomunista che spesso si confonde con quella anticapitalista. Il tema delle alleanze non deve caratterizzare le politiche interne del nuovo partito che dovranno essere sempre contro i governi, che oggi è di destra, ma non è da escludere che potranno essere di centrosinistra. Governi che, come lo sono stati, saranno contro la classe operaia favorendo sempre la borghesia corrente ed il ceto medio che comunista non è mai stato. Pensare che con un governo di centrosinistra allargato di Campo Largo si possa avere in Italia una svolta a favore della piena occupazione, della sanità e istruzione per tutti e che si possa assicurare una casa a tutti è infantilismo politico. Chi dice che questa svolta si possa realizzare con un governo di centrosinistra di “campo largo” è politicamente un disonesto. Questo nuovo partito, che si spera nascerà realisticamente al di là del consenso che riceverà, potrà certo governare se avrà i voti necessari, ma diversamente si dovrà necessariamente collocare all’opposizione dentro o fuori dal parlamento e fare in concreto l’opposizione. Quindi è necessaria la formazione di una cultura politica di opposizione ed è qui che giocherà il suo ruolo l’iscritto al nuovo partito. Si spera che non sarà soltanto un tesserato senza anima politica ma un riferimento nella società. Però per svolgere questo ruolo dovrà essere formato. Per Questo il partito dovrà organizzare corsi di approfondimento sulle evidenze politiche del momento che caratterizzano la fase in corso.
In conclusione, si mette in evidenza la distanza tra il “centralismo democratico” e le aspettative dei comunisti che sono attualmente in diaspora, i quali non sono pochissimi. Il documento presenta il “centralismo democratico” al punto 6.1.: “È vero che la forma-partito sarebbe superata?” (p. 38-39). Viene titolato come se fosse un interrogativo aperto ma poi leggendo si evidenzia che si delinea una condizione base e non removibile. La distanza verso un equilibrio su questo punto è enorme. La “forma partito” che verrà adottata si spera che si presenti come un riconoscimento del fallimento storico del “centralismo democratico”. Sul tema tuttavia sarà necessario delineare un’alternativa credibile e, al riguardo, la ricerca è appena iniziata. Vedremo.