La crisi di governo quale crisi della politica

A dominare incontrastato è ancora una volta il trasformismo, al punto che l’attuale classe dirigente di maggioranza e opposizione non appare nemmeno in grado di fare i reali interessi della classe dominante nel suo insieme.


La crisi di governo quale crisi della politica

L’aspetto più deprimente dell’attuale crisi di governo è il fatto che questa non abbia proprio nulla di politico. Bene, si potrebbe pensare, l’imperatore è nudo e grande è il caos sotto al cielo, quindi la situazione dovrebbe essere eccellente. Purtroppo però, tale concezione presuppone la presenza di una reale e credibile alternativa, un partito rivoluzionario guidato da grandi ambizioni e capace di divenire reale avanguardia degli sfruttati. In assenza di ciò, resta soltanto il vecchio che non muore e il nuovo che non può nascere, ovvero in mancanza dell’alternativa reale di un modo di produzione in grado di risolvere le contraddizioni dell’attuale, resta unicamente il reciproco andare a fondo delle classi in lotta. Anzi, l’impressione ancora più allarmante è che la lotta di classe sembra essere condotta in modo sempre più unilaterale dalle sole classi dominanti.

Ciò non toglie che i vigenti rapporti di produzione costituiscano, a livello internazionale, un oggettivo ostacolo allo sviluppo delle forze produttive e che anche la capacità di egemonia della classe dominante, tanto in Italia quanto negli Stati Uniti, appare in evidente crisi. Basta dare uno sguardo all’attuale classe dirigente, in primo luogo nel nostro paese, che forse mai ha raggiunto un livello così squallido e grottesco. A dominare incontrastato è ancora una volta il trasformismo, male endemico della sedicente vita “politica” italiana, al punto che l’attuale classe dirigente, sia essa di maggioranza che opposizione, non appare nemmeno in grado di fare i reali interessi della classe dominante nel suo insieme. In questo contesto, non stupisce che, nella crisi generalizzata dei paesi a capitalismo avanzato, l’Italia si sia conquistata da tempo la maglia nera.

Alla base di ciò risulta chiaro il ruolo del pensiero unico neoliberista che, non a caso, si è andato affermando a partire dalla “fine delle ideologie. Solo con la fine dello spirito dell’utopia, delle grandi ambizioni (di cambiare il mondo), della politica e dello stesso principio speranza può affermarsi – nella tenebra del quotidiano – la riduzione di ogni significativa visione del mondo alla mera gestione dell’esistente. Nell’intero arco parlamentare non vi è più nessun reale politico, ovvero qualcuno che si interessi della totalità del paese, che ambisca a esprimere la volontà generale, fondamento della democrazia moderna, ma assistiamo alle gesta di tanti piccoli politicanti intriganti, mossi esclusivamente da misere ambizioni personali, rivolte esclusivamente al proprio “particulare”. Non è certo un caso che il presidente degli ultimi due governi avesse un feeling particolare con Donald Trump. Non è nemmeno un caso che il nostro paese sia rappresentato all’estero dall’emblema stesso dell’uomo qualunque, dell’uomo senza qualità, del qualunquista per il quale persino la distinzione fra destra e sinistra è priva di senso.

Un’intera classe dirigente che mira esclusivamente alla propria sopravvivenza e autoriproduzione, tanto che la compagine governativa e tutti i cosiddetti responsabili sono uniti esclusivamente dalla paura che con il prossimo momentaneo esercizio della volontà popolare – ovvero con le prossime elezioni – una parte significativa di essi dovrà rinunciare a una bella fetta dei propri privilegi.

Certo, si potrebbe dire che dietro la destabilizzazione del governo Conte bis vi sia quantomeno il piano di Confindustria, in rappresentanza della classe economicamente dominante che, stanca di governi populisti, invoca la necessità di un nuovo governo tecnico che – come i precedenti: Amato, Ciampi, Dini e Monti – realizzi un nuovo massacro sociale ai danni delle classi sociali subalterne, scaricando direttamente su di esse gli effetti nefasti di una crisi prodotta esclusivamente dalla rovinosa prospettiva di una restaurazione del liberismo delle origini, ossia di un liberismo non contaminato da alcuna istanza democratica e tanto meno socialista.

Dunque, per quanto l’attuale classe dirigente possa essere insulsa, chi sta dietro ad essa, ovvero i poteri forti espressione della classe dominante, ha prospettive ancora più decisamente antipolitiche, mirando a sfruttare cinicamente la devastante crisi economica – potenziata dalla peggiore risposta immaginabile alla pandemia – per affermare nel modo più sfacciato la propria dittatura di classe, bastonando il can che affoga, ovvero le classi subalterne. Una proposta talmente egoista da apparire irricevibile persino agli stessi rappresentanti del Partito sedicente democratico, che in passato hanno costantemente coperto i più efferati massacri sociali dei cosiddetti governi tecnici.

Peccato che, andando alle urne, si eviterebbe il giustamente paventato governo Draghi, ma solo per finire dalla padella nella brace, visto che – avendo ridotto oligarchicamente il numero dei parlamentari e non modificando la legge elettorale fatta su misura per favorire la Lega – si avrebbe un governo guidato da Salvini, Meloni e Berlusconi, ossia l’equivalente maccheronico del governo Trump.

Infine, la terza alternativa in campo – ossia un governo Conte ter o semplicemente un rimpasto con l’appoggio interno o esterno e quindi sotto ricatto degli esponenti maggiormente trasformisti e individualisti dell’arco parlamentare – non potrebbe che peggiorare le cose, favorendo l’affermazione, in un prossimo futuro, di un governo tecnico esplicitamente antipopolare e oligarchico o di un governo espressione diretta della componente più reazionaria della borghesia e della classe dominante.

Tanto più che il secondo governo Conte ha già fatto, per quanto gli era possibile, gli interessi della classe dominante borghese nel suo complesso, dimostrando il più cinico disinteresse per le classi subalterne e, in particolare, per la questione meridionale, sebbene proprio dal Centro-Sud sia arrivato una parte consistente del consenso elettorale su cui si è fondata la compagine di governo.

Particolarmente imbarazzante – a ulteriore conferma della crisi complessiva dell’intera classe dirigente – è il costante scaricabarile fra governo e presidenti delle regioni sulle misure da adottare per far fronte alla pandemia. Anche in questo caso a prevalere è sempre il populismo e i miseri interessi di bottega per cui si tendono a prendere – in maniera del tutto indifferente al dramma in corso – le misure che rafforzano il politicante di turno di fronte alla borghesia che, nonostante tutto, attualmente mantiene la capacità di egemonia sull’opinione pubblica. Dal momento che la borghesia è complessivamente contraria alle misure di prevenzione che possano ostacolare la propria sete di profitto, presidenti di regione e governo non attuano alcuna seria misura di contrasto alla diffusione della pandemia, se non, da un lato imponendo misure restrittive quasi esclusivamente nel momento in cui le classi subalterne hanno a disposizione del “tempo libero”, dall’altro risarcendo con gli interessi i membri della classe dominante che in queste condizioni non possono realizzare il proprio profitto. Il tutto a discapito del debito pubblico.

Ancora più allarmante è la posizione della sinistra, la cui componente parlamentare non ha trovato di meglio che riproporsi come il più fedele difensore del governo Conte, mentre quella “extraparlamentare” che ha dato alcuni segni di vita, non è andata oltre alla riproposizione di un sedicente centrosinistra egemonizzato dal Pd e disponibile a imbarcare, in un altrettanto sedicente governo antifascista, persino la riedizione del Partito dell’uomo qualunque. Dunque, l’ideale sostanzialmente distopico della sinistra è di dare vita alla variante maccheronica del governo Biden.

Quindi, lo spirito dell’utopia della sinistra si riduce a sognare una riedizione ancora più spostata a destra dei governi di centrosinistra che hanno funestato la “seconda Repubblica”, le cui politiche antipopolari hanno portato sempre più membri delle classi subalterne a perdere lo stesso principio speranza in un mondo migliore, favorendo ogni volta il ritorno al governo di destre sempre più aggressive e reazionarie dal momento che più la sedicente sinistra si sposta al centro e più la destra può radicalizzarsi e presentarsi come alternativa.

Si dirà che i firmatari dell’appello dell’Anpi non rappresentano la reale sinistra (di classe), ciò non toglie che quest’ultima, a forza di dividersi per puri pregiudizi settari, è ormai priva di una voce che sia in grado di avere un reale effetto sul senso comune e l’opinione pubblica non riuscendo nemmeno a essere egemone all’interno del proletariato e della stessa classe operaia.

In conclusione, al mercato delle vacche per il voto di fiducia al senato, il presidente del consiglio – privo di qualsiasi argomento politico – è stato in grado di tracciare esclusivamente il perimetro della nuova maggioranza fondato sull’“euro-atlantismo”, ovvero sull’aperto sostegno all’imperialismo europeo e sulla convinta adesione alla Nato Nonostante questo, nessuno nella “sinistra” parlamentare si è

sognato di bofonchiare la benché minima obiezione, confermando la propria vocazione a rappresentare la stampella più sicura dell’ennesimo governo antipopolare.

Così, i campioni del trasformismo continuano a farsi pregare – nonostante la piena benedizione del Vaticano – ben sapendo di poter accrescere il proprio prezzo e potere di ricatto, giocando sul fatto che il governo resta in vita solo per l’attaccamento dei politicanti alla poltrona, per l’astensione dei renziani, per i voti di un paio di transfughi da Forza Italia – fra cui una fedelissima di Berlusconi – e per tre senatori a vita, su cui si potrà ben poco contare in futuro.

La maggioranza, inoltre si regge grazie anche ai voti dell’ex segretario del sindacato post-fascista, passato direttamente nelle fila del Pd, dell’erede di uno dei più famigerati palazzinari – che peraltro sostiene apertamente di detestare questo governo – e, infine, sulla fiducia a tempo del più spietato esponente dei governi tecnici, un liberale di destra ultraconservatore.

Senza contare che il governo mirerà, pur di tenersi in piedi, a stendere tappeti d’oro a liberali e popolari di centrodestra cui si appella apertamente lo stesso presidente, con una ripresa in grande stile del patto del Nazzareno, nonostante la rottura con Renzi. Inoltre, con l’avvicinarsi al semestre bianco, nel corso del quale le camere non potranno essere sciolte, non solo crescerà il potere di ricatto dei trasformisti di ogni risma, ma anche i tentativi di convincere Draghi o un altro esponente “super partes” delle classi dominanti, a guidare un governo di unità nazionale – mirando a includervi persino Salvini – che “finalmente” avrà il consenso della stessa Confindustria e che potrà cominciare a far pagare l’enorme debito pubblico accumulato, a forza di donazioni a tutti i settori della classe dominante borghese, alle classi subalterne.

Il fatto che tale scenario non si sia ancora realizzato dipende essenzialmente dalla tempistica, in quanto l’“uomo della provvidenza” – cui nessuno potrà dire no, tanto meno il Pd – in grado di guidare con la necessaria autorevolezza il prossimo massacro sociale dei ceti subalterni, ha ritenuto che i tempi non siano ancora sufficientemente maturi per tale funesto scenario. Scenario, naturalmente, che non è affatto necessario, in quanto starà al rilancio del conflitto sociale dal basso la possibilità di riaprire la partita facendo cadere da sinistra il governo borghese di turno.

22/01/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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