Lavoratori di tutto il mondo: intervista a Beverly Silver – Parte IV

Le lotte sul luogo di lavoro e le lotte nelle strade.


Lavoratori di tutto il mondo: intervista a Beverly Silver – Parte IV Credits: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Scioperone_1962.jpg

Segue dalla terza parte.

Dove va la classe operaia statunitense? Dove vanno i lavoratori di tutto il mondo?

Per gentile concessione di Jacobin Magazine continuiamo la pubblicazione della traduzione dell'intervista a Beverly Silver, presidente del Dipartimento di Sociologia alla John Hopkins University. Silver è una delle più importanti figure della sociologia del lavoro e da sempre una militante per i lavoratori. Tra le sue opere Le Forze Del Lavoro e Caos E Governo Del Mondo firmato con Giovanni Arrighi, entrambi pubblicati da Bruno Mondadori.


[DOMANDA] Cosa pensi dell’argomento secondo cui le lotte si stanno spostando dal luogo della produzione alle strade o alla comunità?

[RISPOSTA] Questo ci riporta alla questione precedente dell’importanza relativa dello sfruttamento e dell’esclusione nel formare la classe lavoratrice mondiale. Guardandola oggi nel suo insieme, non penso che sia accurato dire che le lotte si stanno spostando in maniera predominante nelle strade, specialmente se parliamo delle lotte che hanno un serio impatto dirompente sull’andamento degli affari.

Le lotte sul luogo della produzione continuano a essere una componente importante dei conflitti operai in giro per il mondo. Al tempo stesso, gli esclusi - i disoccupati e quelli con un debole potere strutturale - non hanno altra scelta che portare la loro voce attraverso le azioni dirette nelle strade piuttosto che le azioni dirette sul luogo di lavoro.

La coesistenza delle lotte sul luogo di lavoro e delle lotte nelle strade è una caratteristica storica del capitalismo, come la coesistenza tra sfruttamento e esclusione. A volte questi due tipi di lotte procedono senza incontrarsi in maniera solidale, specialmente quando, storicamente, la classe operaia è stata divisa - sia dentro i paesi sia tra i paesi - per il grado in cui la loro esperienza è formata primariamente dalle dinamiche di esclusione o dalle dinamiche di sfruttamento.

Se pensiamo alle ondate di mobilitazione operaia di più grande successo, vediamo che hanno combinato la solidarietà implicita o esplicita, entrambe le forme di lotta. Anche l’occupazione della fabbrica di Flint [della General Motors, NdT] e la seguente ondata di scioperi nel ‘36 e nel ‘37 - un movimento fondamentalmente basato sul potere dei lavoratori sul luogo della produzione - è stata potenziata dalle lotte simultanee dei lavoratori disoccupati e la solidarietà della comunità.

Oppure, pensiamo ai recenti movimenti di massa che sono stati visti come interamente nelle strade - come l’Egitto nel 2011. In quel caso, Mubarak è stato costretto ad abdicare quando i lavoratori del Canale di Suez hanno usato il loro potere di contrattazione sul posto di lavoro entrando in sciopero sostenendo il movimento di massa nelle strade. è interessante notare anche che il movimento giovanile del 6 aprile che ha avviato l’occupazione di Piazza Tahrir era stato fondato nel 2008 in sostegno a un grosso sciopero operaio.

Un problema fondamentale per la sinistra odierna - anche questo non è una novità - è capire come combinare il potere di contrattazione sul luogo di lavoro e il potere delle strade, trovare i nodi per connettere disoccupati, esclusi e lavoratori salariati sfruttati. Questo è certamente più facile quando gli esclusi e gli sfruttati fanno parte della stessa famiglia o della stessa comunità.

Negli USA possiamo vedere esempi di questa intersezione nello sciopero dei portuali californiani del 2015 in sostegno delle mobilitazioni di strada di Black Lives Matter, e nella maniera in cui si intersecano le lotte sul posto di lavoro e nella comunità dei lavoratori immigrati.

[DOMANDA] Negli Stati Uniti oggi sembra che maggiori sforzi siano dedicati all’attivismo e all’organizzazione dei lavoratori coi salari più bassi nel settore dei servizi. Cosa pensi di questo? Dovremmo concentrare le nostre energie su questo? O dovremmo guardare a diversi tipi di lavoratori in settori e industrie diverse?

[RISPOSTA] Non è sbagliato dare grande attenzione a questi lavoratori. Se si vuole migliorare la condizione della maggioranza della popolazione, si deve migliorare la condizione di questi lavoratori.

Penso che parte dello scetticismo su questa questione sia che fino ad ora questa strategia non ha avuto molto successo. Anche qui è utile pensare al potere di contrattazione sul luogo di lavoro. Dentro Walmart [la principale catena di supermercati statunitense, NdT] non ha molto senso colpire il lato della vendita al dettaglio, ha senso colpire il lato della distribuzione.

Lo stesso vale per la ristorazione. Colpendo il lato della distribuzione, puoi sfruttare il potere di contrattazione sul luogo di lavoro. Al contrario, rimane una lotta confinata nelle strade. Questo ci riporta anche alla domanda su come e quando i lavoratori con forte potere di contrattazione sul luogo di lavoro esercitano quel potere in favore di più ampi obiettivi di trasformazione.

[DOMANDA] Insieme a Giovanni Arrighi hai sostenuto che la traiettoria del movimento operaio negli USA e in altri contesti nazionali è profondamente influenzata dalla relazione coi movimenti più ampi nella politica globale, nelle guerre e nei conflitti internazionali. La forza dei lavoratori negli USA come è stata influenzata dai recenti cambiamenti geopolitici.

[RISPOSTA] Questa è una domanda grande e importante. Penso che il grosso della discussione sui movimenti operai si concentri sul lato economico, ma il lato geopolitico è altrettanto, se non di più, importante per capire le prospettive e le possibilità per gli operai e per i movimenti operai, per il passato e per il futuro.

Quindici anni fa, proprio prima dell’11 Settembre, sembrava di essere alla vigilia di una grande ripresa del conflitto sul lavoro negli USA, con l’epicentro tra i lavoratori immigrati. C’erano stati grossi scioperi. Poi la dinamica è cambiata.

La guerra al terrore ha dato la spinta alla coercizione e alla repressione per mantenere lo stato di cose esistente, non solo sul luogo di lavoro, nei termini di ostilità dei datori nei confronti del sindacato, più in generale, nei termini dell’impatto dell’atmosfera di guerra permanente sulle prospettive per l’organizzazione.

[DOMANDA] La coercizione e la repressione sembrano fondamentali per il capitalismo. Qual è oggi la differenza nella relazione tra operai, movimenti operai e la geopolitica?

[RISPOSTA] Penso che rispondere a questa domanda sia importante per mettere l’attuale atmosfera di guerra permanente nel contesto più ampio della crisi del potere mondiale degli USA e del loro declino egemonico.

Dobbiamo guardare alla relazione storica di lungo termine tra i diritti dei lavoratori e la dipendenza degli stati dalla classe lavoratrice per combattere le guerre. Discutiamo per primo il secondo punto.

Una delle più note, ma non molto discussa, radici della forza del lavoro - o quantomeno dell’istituzionalizzazione dei sindacati e dell’approfondimento dei diritti democratici negli USA e nell’Europa occidentale, e parzialmente nel mondo -è stata la natura particolare della guerra nel ventesimo secolo, incluse caratteristiche come l’industrializzazione dei metodi di guerra e la leva militare di massa.

Per combattere questo tipo di guerra, le potenze centrali, le potenze imperiali, hanno avuto bisogno della cooperazione della classe lavoratrice, sia come soldati combattenti al fronte sia come lavoratori che mandano avanti le fabbriche. La guerra dipende dalla produzione industriale per ogni cosa, dagli armamenti agli stivali. Da qui l’assunto condiviso da tutti per cui durante le due guerre mondiali chi fosse riuscito a mantenere in funzione le fabbriche avrebbe vinto la guerra.

In questo contesto era cruciale la cooperazione degli operai e la relazione tra guerra e disordini civili era inconfondibile. I due picchi più alti di conflitto lavorativo nel ventesimo secolo sono stati quelli immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale e alla Seconda. Durante le guerre, si preparano le condizioni per il conflitto.

Non è un caso che il movimento per i diritti civili sia cominciato dopo la Seconda Guerra Mondiale e durante la Guerra di Corea, e che il movimento per il potere nero sia avvenuto durante e dopo la Guerra del Vietnam.

Gli stati hanno cercato di assicurare la cooperazione dei lavoratori attraverso la mobilitazione di sentimenti nazionalisti e patriottici, ma questo non è stato sostenibile senza tangibili avanzamenti dei diritti dei lavoratori. Quindi, nel ventesimo secolo l’espansione dello stato sociale è andata di pari passo con l’espansione dello stato di guerra.

Mettendola in una maniera diversa, il nazionalismo della classe operaia ha potuto sostituire l’internazionalismo della classe operaia solo nella misura in cui gli stati hanno legato la vittoria nelle guerre all’innalzamento degli standard di vita e all’espansione dei diritti dei lavoratori, sia sociali sia civili.

[DOMANDA] Pensi che sia ancora così, nel contesto di quella che sembra guerra permanente?

[RISPOSTA] La natura della guerra è cambiata in molti aspetti. Come il capitale ha riorganizzato la produzione in risposta alla forza del lavoro, così lo stato ha ristrutturato l’apparato militare per diminuire la sua dipendenza dai lavoratori e dai cittadini per muovere guerra.

Il movimento di massa contro la guerra del Vietnam e il rifiuto dei soldati al fronte di continuare a combattere, sono stati dei punti di svolta che hanno avviato una ristrutturazione alla base dell’organizzazione e della natura della guerra.

Oggi vediamo i risultati di questa ristrutturazione con la fine della leva militare di massa e la crescente automazione della guerra. Con la crescente dipendenza dai droni e da altre armi ad alta tecnologia, i soldati americani sono lontani dal pericolo diretto, non interamente, ma molto più che in passato.

Questa è una situazione differente rispetto a quella che collegava i movimenti dei lavoratori e la guerra nel ventesimo secolo. Lo stato sociale e lo stato di guerra si sono divisi nel ventunesimo secolo. Rimane una questione critica ma irrisolta se, sotto queste nuove condizioni, l’internazionalismo operaio vincerà sul nazionalismo operaio.

In questa discussione mi sono concentrata sugli USA, ma la trasformazione della natura della guerra ha effetti più larghi. A metà del ventesimo secolo molti paesi coloniali erano incorporati nel processo di guerra imperiale come fornitori di soldati e materie prime per gli sforzi di guerra, portando a un simile rafforzamento e militanza della classe operaia.

Oggi, in molti paesi del Sud Globale, c’è una situazione per cui la guerra moderna degli USA porta a una complessiva disorganizzazione e distruzione della classe lavoratrice nei paesi dove vengono impiegate le armi ad alta tecnologia. L’attuale “crisi dei migranti”, sia nelle sue origini sia nelle sue ripercussioni, è un pesante contraccolpo di questa nuova era di guerra.

Continua sul prossimo numero

02/09/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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