BREMA. Dalle lotte tribali alla rifondazione dello Stato Islamico con l’occupazione di territori e l’instaurazione di un’economia a sostegno del progetto di conquista nel nome di Allah, dalla guerra cruenta con la sconfitta dell’ISIS e, nonostante la disfatta, alle pesanti azioni terroristiche organizzate nei Paesi del Medio-Oriente e in Paesi dell’odiato occidente, non si può scrivere ancora la parola fine. Il Gruppo degli economisti legati all’Università di Brema che da tempo sostengono, studiando, una politica economica alternativa per l’Europa sta analizzando anche l’economia dello Stato Islamico verificandone l’attuale condizione e le possibili prospettive. Approfondimento non semplice: si è lontani dai centri di potere decisionale dell’ISIS e non ci sono contatti con i responsabili delle scelte economiche dello Stato Islamico o di quello che ne rimane. Il controllo dei territori che vennero conquistati permise all’ISIS l’utilizzo di molte risorse finanziare che servirono per l’amministrazione della cosa pubblica e per la sovvenzione delle operazioni militari. Lo Stato Islamico venne indicato anche per il sostegno di donazioni esterne che, però, nel periodo più florido economicamente rappresentarono il 5% delle sue entrate. Infatti, il sostentamento derivava da attività illegali nei territori controllati: la vendita sul mercato nero di petrolio estratto e di fatto rubato dai giacimenti siriani e iracheni garantì alle casse dello Stato Islamico un’entrata giornaliera di circa un milione di dollari. In realtà, pur trattandosi di una cifra cospicua era già inferiore rispetto a quella che si stimava nel secondo semestre del 2014, ovvero tre milioni. Il motivo della riduzione non è stato l’inizio dei raid aerei della coalizione a guida statunitense, ma soprattutto il crollo del prezzo del greggio a livello mondiale. Poi, anche la perdita del distretto petrolifero di Baiji, dove erano prodotti 300 mila barili di combustibile al giorno già prima della conquista da parte dell’ISIS. Al momento si stima che le milizie dello Stato Islamico controllino ancora almeno in parte il bacino petrolifero di Deir ez Zour, nella zona orientale della Siria, e qualche distretto al nord dell’Iraq.
La tecnica dell’ISIS, dunque, rimane l’estrazione e la raffinazione del greggio, poi la vendita a contrabbandieri locali e anche stranieri, che acquistando il petrolio a basso prezzo lo mettono sul mercato a prezzo molto concorrenziale. Argomento “spinoso” sia da analizzare sia da essere supportato da prove in particolare sui mercati in Turchia, Kurdistan e Iran. Per il trasporto si sono sempre utilizzati mezzi “rudimentali”, addirittura zattere. Quel che contava e conterebbe ancora è la “porosità” dei confini che erano poco osservati nei Paesi interessati e “complici”. Occorrerebbero notizie certe sulle attuali azioni turche e irachene: consentono ancora questi viaggi di contrabbando o per l’ISIS ci sono difficoltà?
Su queste strade transitava anche il traffico illegale di reperti archeologici: analisti hanno calcolato che il saccheggio dell’area archeologica di al-Nabuk, nel 2014, procurò un guadagno di 36 milioni di dollari. Non vanno dimenticati i riscatti dei rapimenti (65 milioni di dollari nel 2014) e gli introiti dei pedaggi per mezzi e persone (il traffico di esseri umani ha prodotto e, probabilmente ancora produce, quote da 100 a 400 dollari a persona). Quanto rimane delle riserve negli istituti bancari che erano aperti nei territori sotto il controllo ISIS ? Si stimavano tra i 500 milioni e un miliardo di dollari. Uno Stato tribale – non va mai dimenticato che da secoli il mondo islamico è diviso in tante tribù e che il traffico di esseri umani è datato nella Storia – vive anche di propaganda (adesso facilmente diffusa via web) e tra le cose che uno Stato deve avere è la sua moneta: nel corso del 2014 l’ISIS annunciò la diffusione di una propria moneta, i Dinar in oro, in argento e rame, ma ovviamente venne considerata l’impossibilità che tale moneta fosse strumento di scambio sul mercato.
Considerato che per sopravvivere l'ISIS ha necessità di fondi ci si domanda a quali strategie economiche si adatta adesso, in un momento di evidente crisi, per mantenere le sue attività, sia terroristiche sia di amministrazione territoriale. C’è la voce autofinanziamento con il racket organizzato sui territori occupati che sono in fase di abbandono. Ci sono le piattaforme online e i social media, mentre rimangono, ma in evidente fase di perdita, sia il contrabbando sia il controllo di giacimenti petroliferi, in particolare dopo l’intervento della Russia e le accuse di Mosca nei confronti della Turchia “ponte di collegamento tra i traffici clandestini di Daesh e il mercato petrolifero globale”.
Venne pubblicato ormai due anni fa un rapporto secondo il quale sarebbe esistita una fatwa con la quale il consiglio degli ulema del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi avrebbe autorizzato l’espianto di organi dei prigionieri dell’ISIS con lo scopo di trarne profitto con la loro commercializzazione internazionale.
Ci si interroga anche sul ruolo dell’Europa e dei Paesi UE, tra cui l’Italia. Si vuole focalizzare l’attenzione sulla coalizione internazionale con l’azione nei cinque aspetti: supporto militare ai governi impegnati contro Daesh, contrasto (anche con strumenti legislativi ad hoc) al fenomeno dei foreign fighters, interruzione delle linee di finanziamento, aiuti umanitari e isolamento ideologico attraverso l’esposizione della vera natura del Califfato. L’Italia, con Stati Uniti e Arabia Saudita, presiede il Counter-ISIL Finance Group (CIFG), un organismo che ha il compito specifico di contrastare la rete dei finanziamenti per la struttura economico-finanziaria dello Stato Islamico.
La realizzazione del Califfato è da sempre un’ambizione complessa, con costi elevati per le attività terroristico-militari, poi per l’amministrazione del territorio con milioni di persone, per cui la questione del finanziamento rimane centrale nella strategia dello Stato Islamico e in quanti attualmente lo guidano. L’ISIS a molti analisti sembra agire secondo schemi riportabili a quelli di un gruppo criminale organizzato che trova nel controllo capillare dei territori occupati l’elemento per coprire le voci di spesa.
Rimangono tuttavia tanti interrogativi e, soprattutto, permane stagnante la possibilità di “forzare” un dialogo con gli economisti dell’ISIS: come scrivere che le mafie possono essere colpite nella gestione delle loro economie e, dunque, che occorrerebbe dialogare con gli economisti di mafia, camorra, n’dragheta e via dicendo.