Il capo delegazione ucraina alle trattative di pace, esponente apicale del partito del presidente Zelensky, ha dichiarato che la pace con i russi era stata firmata nell’estate del 2022, pochi mesi dopo l’inizio della guerra. La Russia aveva chiesto esclusivamente la garanzia della neutralità dell’Ucraina e aveva cominciato a ritirare le sue truppe dai territori ucraini occupati. L’accordo è saltato per l’intervento a gamba tesa di uno degli esponenti di spicco della Nato, il premier britannico Boris Johnson che si precipitò a Kiev, di fatto imponendo agli ucraini di ritirare la loro firma dal trattato di pace. Del resto anche i precedenti accordi di pace, prima dell’inizio del conflitto, quando la Russia non riconosceva le repubbliche russofone distaccatesi dall’Ucraina e chiedeva esclusivamente uno statuto autonomo, saltarono a causa dell’Ucraina, anche in tal caso su forti pressioni della Nato. Del resto il presidente Zelensky aveva vinto le elezioni proprio perché, a differenza del suo predecessore, si era presentato in campagna elettorale come chi avrebbe risolto con un trattato di pace le ostilità con la Russia.
Peraltro, nel recente G20, Putin per la prima volta ha affrontato la tragedia della guerra, abbandonando la copertura ideologica dell’operazione speciale, non nascondendo gli orrori del conflitto e sostenendo la necessità di giungere ad accordi di pace, per intraprendere i quali il suo paese sarebbe pienamente disponibile. Purtroppo, tale disponibilità è destinata a essere vanificata in quanto il governo ucraino, pressato dall’estrema destra interna e dai finanziatori occidentali, che continuano a rifornire di armi il paese a patto che tali armi vengano sperimentate e messe ben in evidenza a spese dei russi, ha finito con il vietare per legge la possibilità stessa di intraprendere trattative con il nemico.
Dinanzi a tale impasse, il cancelliere tedesco e la presidente del consiglio italiana, nonostante siano due dei paesi che più duramente stiano pagando la guerra e l’embargo scatenato contro la Russia, hanno risposto che se Putin veramente volesse la pace, sarebbe facilissimo conseguirla: basterebbe ritirarsi da tutti i territori ucraini occupati. Naturalmente si tratta di condizioni assolutamente irricevibili, in quanto è evidente che nessun capo di stato potrebbe accettare, senza essere sconfitto, una resa senza condizioni ai propri nemici. È, dunque, evidente chi vuole la pace e chi impone il proseguimento della guerra. Del resto subito dopo Meloni, anche il capo dello stato italiano, dopo aver anche lui riconosciuto tutti gli effetti negativi della guerra, ha sostenuto l’esigenza di una pace in Ucraina, aggiungendo però subito, a scanso di equivoci, alle condizioni determinate dagli ucraini. Naturalmente, nessuna trattativa di pace potrà mai andare in porto se si premette che una delle parti in causa deve semplicemente accettare tutte le richieste e pretese della controparte.
Ma come fanno dei capi di Stato e di governo di paesi in cui cresce sempre di più fra i loro stessi popoli la richiesta e l’esigenza di porre subito fine alle ostilità ad assumere posizioni così intransigenti, cioè a pretendere, di fatto, una resa senza condizioni della Russia che, naturalmente, sarebbe unicamente conseguibile dinanzi a una completa disfatta della seconda potenza nucleare mondiale? Tanto più che puntare a una rotta completa di una grande potenza nucleare significa assumersi la piena responsabilità di portare avanti un conflitto che presumibilmente non può che concludersi con un’apocalisse nucleare? Siamo sostanzialmente al fiat iustitia, perat mundus, cioè l’affermazione del principio di giustizia è così fondamentale da essere disponibili a battersi per esso anche a costo di porre fine alla vita del genere umano. Si tratta di una posizione di principio ultra radicale, che né il popolo tedesco, né il popolo italiano potrebbe mai accettare. Come si fa, dunque, a sostenere una tale posizione in totale contrasto con la volontà generale, unico reale fondamento della sovranità popolare e della stessa democrazia moderna? Semplice, se si accettasse che un paese, nel caso specifico la Russia, potesse occupare impunemente territori di un altro paese, verrebbe meno lo stesso diritto internazionale. Naturalmente una posizione tanto estremista nel suo rigore potrebbe essere sostenuta esclusivamente se tale principio valesse in ogni caso in cui un paese occupa il territorio di un altro paese.
Ci si dovrebbe dunque aspettare che i vertici politici italiani e tedeschi, allo stesso modo, dovrebbero asserire che se veramente gli israeliani vogliono vivere in pace dovrebbero immediatamente ritirarsi da tutti i territori arabi occupati, in Palestina, Siria e Libano. Dovrebbero inoltre appoggiare con ogni mezzo necessario la guerra di liberazione nazionale condotta da palestinesi, siriani e libanesi, costi quel che costi, visto che per difendere il diritto internazionale, nel caso ucraino, non si indietreggerebbe neanche dinanzi al realistico rischio di una apocalisse nucleare in grado di spazzare via la vita umana sulla terra. Al contrario, paradossalmente i vertici italiani e tedeschi non parlano nemmeno di territori arabi occupati e si schierano in modo del tutto incondizionato dalla parte degli occupanti, nonostante si tratti di una occupazione che va avanti da molto più tempo di quella dei territori ucraini. Anzi, non solo nessuna arma viene data ai popoli in lotta contro l’occupazione, ma si fa di tutto per fornire anche le più potenti armi di distruzione di massa all'esercito occupante, nonostante sia guidato da un governo ultra sciovinista e guerrafondaio.
A questo punto verrebbe da chiedersi come si possono sostenere posizioni così apertamente in contraddizione inconciliabile le une con le altre, negando senza pudore anche i principi fondamentali della logica tradizionale, aristotelica, su cui da sempre si fonda ogni discorso razionale? Come si fa a sostenere allo stesso tempo nel modo più sfacciato tutto e il contrario di tutto? Semplice, basta controllare in modo ferreo gli strumenti del consenso, i mezzi di comunicazione di massa e gli apparati necessari a mantenere la completa egemonia sulla società civile, cioè il governo con il consenso dei subalterni. Tuttavia tali posizioni sono così palesemente contraddittorie che, pur controllando praticamente ogni strumento di comunicazione di massa, esse sono sempre meno accettate dagli stessi popoli occidentali, oltre a essere assolutamente indigeribili sul piano internazionale, a meno di non volersi isolare completamente. Tale rischio lo hanno capito persino i governi francesi, spagnolo e belga, corsi ben presto ai ripari dopo essersi resi conto che sostenere posizioni così apertamente autocontraddittorie non può che comportare la perdita di qualsiasi credibilità sul piano della politica internazionale.
Ci si potrebbe immaginare che tale perdita di credibilità sia compensata da significativi introiti economici. Paradossalmente, è vero esattamente il contrario: il sostegno senza se e senza ma ai settori più guerrafondai ucraini e israeliani significa condannare il proprio paese a precipitare in una spaventosa recessione. Significa dare un colpo terribile al proprio stesso impianto industriale. Italia e Germania erano profondamente legate alla Russia da cui importavano risorse energetiche a prezzi bassi e vendevano con ampi profitti i propri prodotti industriali. Oggi sono costrette a importare risorse energetiche dagli Stati uniti al doppio del prezzo, dalla Russia attraverso l’India a prezzi quasi raddoppiati o dal Qatar il massimo finanziatore di Hamas, che i vertici dei due paesi considerano una organizzazione terrorista.
Senza contare che ormai anche il “New York times” ha dovuto pubblicare la denuncia che sebbene Israele fosse da oltre un anno pienamente al corrente, in tutti i dettagli, dei piani omicidi di Hamas non ha fatto nulla per impedirli. Senza contare che i servizi israeliani erano pienamente al corrente del fatto che Hamas stesse da tempo addestrando i suoi uomini per realizzare tali piani. Infine, il governo israeliano era stato avvisato ancora due giorni prima dell’attacco di Hamas che il piano da così lungo tempo preparato stava per essere messo in pratica. Nonostante tutto ciò il governo e gli apparati di sicurezza non solo non hanno fatto nulla per impedire gli attacchi, ma hanno al contrario lasciato completamente sguarnito il confine dove era previsto l’attacco, spostando le proprie truppe a difesa degli avamposti delle colonie in Cisgiordania, che non solo violano il diritto internazionale, ma rendono assolutamente impossibile la soluzione a due Stati che tuttavia quasi tutte le classi dirigenti, nel modo più ipocrita, sostengono come unica soluzione possibile.
Ora, ci si dovrebbe domandare come mai le potenze occidentali e i loro alleati fanno di tutto per far continuare delle guerre nazionali e delle pratiche terroristiche quando ne sono, al contempo, le vittime? Come si fa a finanziare e a continuare ad armare una guerra che in appena due mesi ha fatto più vittime civili, donne e bambini di tutte le guerre contemporanee? Una guerra che in sessanta giorni ha sterminato più civili innocenti di venti anni di guerra in Afghanistan. Una guerra che ha gettato, in appena due mesi, sulla popolazione civile palestinese un numero di bombe quattro volte superiore a quelle impiegate per contrastare lo Stato islamico? Senza dimenticare che si tratta di un sostegno assolutamente impopolare nel proprio stesso paese, tanto che i democratici statunitensi si stanno completamente suicidando, lasciando con ogni probabilità la guida della più grande potenza nucleare e militare di tutti i tempi nelle mani di uno psicopatico, pluri-indagato e con ogni probabilità pluricondannato per reati estremamente gravi?
Tanto più che si tratta di politiche portate avanti dalle più diverse forze politiche nei paesi occidentali, da quelle più di destra al governo in Italia o in Israele a quelle di centro-sinistra al governo in Germania e Stati uniti. La sola risposta possibile è che la crisi di sovrapproduzione, che da decenni colpisce questi paesi, può essere aggirata e rinviata, nel caso in cui si intendesse mantenere il modo di produzione capitalistico, solo attraverso politiche imperialiste e guerre imperialiste sempre più aggressive. Ecco perché chi intendesse realmente contrastare la guerra e il terrorismo non può che combattere in primo luogo l’imperialismo quale fase superiore e/o suprema del capitalismo.