Il 22 luglio 2025, in occasione del settantesimo anniversario dell’adesione dell’Italia alla NATO, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha pronunciato dichiarazioni che destano profonda preoccupazione e meritano una ferma condanna politica. In quell’occasione ha definito la NATO “un forte elemento di stabilità e di garanzia di pace in Europa”. Nei giorni successivi, in ulteriori interventi pubblici, ha ribadito che “i mutamenti intervenuti impongono impegno rinnovato e capacità di adattamento anche in ambito NATO”, aggiungendo che la grave e inaccettabile aggressione russa all’Ucraina ha imposto un’accelerazione al rafforzamento della NATO.
Parole che si collocano in piena continuità con la narrazione bellicista oggi dominante, fondata sulla logica dei blocchi contrapposti e sull’idea che la sicurezza si garantisca con la mobilitazione militare permanente, l’aumento della spesa bellica e la subordinazione della politica estera a interessi geostrategici non autonomi. Una retorica che non solo contribuisce ad alimentare l’escalation militare in Europa e nel mondo, ma legittima una visione regressiva delle relazioni internazionali, fondata sul dominio e non sulla cooperazione.
Un presidente garante della guerra
Che il Presidente della Repubblica si faccia interprete e promotore di tale linea è particolarmente grave. Il Capo dello Stato, in quanto garante della Costituzione, dovrebbe custodire e incarnare i suoi principi fondamentali. E il principio della pace è uno di questi, sancito con chiarezza dall’articolo 11, che stabilisce:
«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Sostenere apertamente una alleanza militare aggressiva, giustificare l’espansione degli arsenali, parlare di “adattamento” e “rafforzamento” della NATO come necessità storica, significa tradire lo spirito e la lettera della Costituzione repubblicana. Significa abbandonare una visione dell’Italia come Paese promotore di pace, neutralità attiva e cooperazione internazionale, per abbracciare un modello atlantista, militarista e neocoloniale.
Dal 1999 ad oggi: una coerenza inquietante
Non è la prima volta che Sergio Mattarella si schiera dalla parte della guerra. Nel 1999, da Ministro della Difesa del governo D’Alema, fu corresponsabile della partecipazione dell’Italia all’intervento militare NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia. Un’aggressione compiuta al di fuori del mandato delle Nazioni Unite, in palese violazione del diritto internazionale, giustificata mediaticamente come “guerra umanitaria”.
Quell’intervento, presentato come difesa dei diritti umani, si rivelò un’operazione di destabilizzazione geopolitica, che causò migliaia di vittime civili, la distruzione di infrastrutture essenziali e l’imposizione di un nuovo assetto etnico-politico nei Balcani funzionale agli interessi euro-atlantici. Fu anche la prima guerra condotta direttamente dalla NATO, segnando la trasformazione dell’Alleanza da patto difensivo a strumento di intervento globale.
Mattarella non ha mai preso le distanze da quella scelta, e oggi ne perpetua la logica, confermandosi interprete di una linea ideologica che legittima l’uso della forza militare come elemento centrale della politica estera italiana. Una linea in totale discontinuità con il dettato costituzionale e con la tradizione pacifista di ampi settori della società italiana.
La crisi irreversibile del blocco occidentale
Dietro la retorica della “sicurezza” si nasconde il fallimento del progetto egemonico occidentale. La NATO non è oggi un’alleanza difensiva, ma lo strumento militare di un blocco politico in crisi, incapace di accettare il tramonto del proprio dominio unilaterale. Dalla fine della Guerra Fredda a oggi, l’Alleanza Atlantica ha agito come una macchina di guerra permanente, allargando i propri confini, violando le sovranità nazionali, alimentando instabilità in nome della “sicurezza” e imponendo regimi economici funzionali agli interessi di Washington e delle multinazionali del complesso militare-industriale.
La guerra in Ucraina, lungi dall’essere un incidente imprevedibile, è il prodotto di una strategia espansionista della NATO ai confini con la Russia. Una strategia che ha sistematicamente ignorato gli appelli al dialogo, violato gli accordi internazionali e reso impossibile ogni soluzione diplomatica. Ora si parla di “rafforzamento”, di “difesa dei valori”, ma il risultato è un’Europa militarizzata, economicamente asfissiata, priva di autonomia politica, ridotta a retrovia operativa dell’imperialismo statunitense.
Contro i blocchi, per un mondo multipolare e democratico
Il mondo ha bisogno di un’altra prospettiva. Il multipolarismo non è solo un nuovo equilibrio tra potenze, ma l’occasione per superare l’ordine mondiale fondato sulla forza, sull’ingerenza, sull’unilateralismo. È l’opportunità di costruire un sistema di relazioni internazionali rispettoso della sovranità dei popoli, del diritto internazionale, dell’autodeterminazione, della cooperazione per lo sviluppo.
Non si tratta di scegliere un nuovo “padrone”, ma di rifiutare la logica dei blocchi e delle sfere d’influenza. Di restituire dignità alla diplomazia, alla politica, alla solidarietà tra i popoli. Di promuovere un disarmo generalizzato, a partire dal nucleare, e una riduzione drastica delle spese militari.
L’Italia fuori dalla NATO, per una politica di pace
In questo quadro, l’Italia dovrebbe uscire dalla NATO. Non per isolarsi, ma per recuperare una piena sovranità democratica. Per riconnettersi alla propria Costituzione antifascista, che ripudia la guerra e promuove la cooperazione tra i popoli. Per diventare protagonista di un’iniziativa internazionale fondata sulla pace, sulla giustizia sociale e ambientale, sul diritto dei popoli a decidere del proprio destino senza ingerenze.
È tempo di rompere con l’atlantismo, con la cultura della guerra, con la dipendenza politica e militare dagli Stati Uniti. È tempo che i popoli europei, e quello italiano in primo luogo, si oppongano al riarmo e alla logica della guerra permanente. La sicurezza non si costruisce con i carri armati, ma con i diritti, il lavoro, l’istruzione, la sanità, la protezione del clima, la dignità delle persone.
Contro la Presidenza ideologica, per una Repubblica pacifista
Il Presidente della Repubblica dovrebbe essere il garante di questi valori. E invece ha scelto di rappresentare l’Italia come Paese organico al blocco occidentale, subalterno agli interessi dell’imperialismo, protagonista della corsa al riarmo. Ha scelto di ignorare milioni di cittadini e cittadine che non vogliono guerre, che chiedono la pace, che ricordano ogni giorno la tragedia dei conflitti passati.
Noi rifiutiamo questo uso ideologico e partigiano della Presidenza della Repubblica. Denunciamo la complicità istituzionale con l’apparato bellico e con la strategia del dominio globale. Rivendichiamo il diritto del popolo italiano a vivere in pace, a scegliere la neutralità attiva, a costruire relazioni internazionali fondate sulla giustizia e sulla cooperazione.
La pace non è un’utopia: è una necessità storica e una scelta politica. Ed è una scelta urgente, da fare ora, nel rispetto della nostra Costituzione e della nostra dignità democratica.