La storia è ironica: ciò che un tempo era una cosa, domani diventa il suo contrario, diceva Hegel. Mi riferisco alla notizia secondo cui i leader dei ribelli alawiti avrebbero inviato, stando a fonti di stampa, una lettera al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e al ministro degli Esteri Gideon Sa’ar. La lettera sarebbe stata trasmessa attraverso mediatori che operano tra la popolazione alawita e Israele e chiede protezione allo stato ebraico.
I leader alawiti si sono ribellati al governo centrale di Damasco, controllato dalle milizie di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), guidate da Al Jolani, oggi noto con il nome di Aḥmad Ḥusayn al-Shara. Quest'ultimo è un jihadista legato al defunto califfo dell’ISIS, Al Baghdadi, con il quale ha trascorso alcuni anni nel famigerato carcere americano di Camp Bucca.
La vita di Al Jolani è esemplare di molti jihadisti e terroristi che, nel tempo, hanno intrattenuto rapporti ambigui – e talvolta persino di complicità – con gli Stati Uniti, oltre ad aver avuto forti legami con i servizi segreti turchi. Cresciuto tra violenze e guerre perpetrate contro le popolazioni siriane favorevoli al governo di Assad, Al Jolani ha vissuto il suo momento d'oro alla fine dello scorso anno, quando, alla guida delle milizie di al-Sham, è partito da Idlib e ha travolto l'esercito di Damasco in pochi giorni, entrando trionfalmente nella capitale siriana.
L'esercito di Al Jolani è composto da jihadisti di varia estrazione: al suo interno vi sono ceceni e uiguri, noti per la loro spietata violenza. Ciononostante, l'Unione Europea lo ha riconosciuto come presidente della Siria, certificandone il ruolo con una visita di Stato della troika europea, che lo ha presentato come un "lottatore per la libertà". Anche il governo americano guidato da Biden, alla fine del 2024, si era allineato alle posizioni dell'UE, ma pare che da qualche settimana l'amministrazione Trump non sia più così convinta che Al Jolani sia un sincero democratico, come piace immaginarlo a Bruxelles.
La realtà è che Al Jolani è da tempo un uomo dei servizi segreti turchi e, di conseguenza, nelle mani del presidente turco Erdogan. La Turchia, dopo anni di strategie, è riuscita a ottenere un successo del tutto inaspettato: rovesciare il regime degli Assad e insediare a Damasco un proprio uomo, proprio Al Jolani. Quest'ultimo ha applicato alla lettera le politiche filo-turche trasmesse da Erdogan. In particolare, con il supporto delle milizie turcomanne e dell'aviazione turca, ha iniziato ad attaccare i curdi del Rojava, da sempre nel mirino di Ankara.
Nella zona costiera, invece, il governo di Al Jolani ha lasciato campo libero ai propri scagnozzi, che si sono lanciati in una feroce caccia ai capi alawiti fuggiti dopo la caduta di Assad. Gli alawiti, armatisi, si sono affidati a un vecchio generale della famiglia Assad, che ha condotto una serie di operazioni di guerriglia fino a colpire la città di Latakia, infliggendo pesanti perdite alle milizie di Al Jolani.
Inizialmente, i ribelli alawiti erano riusciti a ottenere vittorie in città come Latakia, Qardaha, Jableh, Banias e Tartus, ma il loro successo è stato di breve durata: le forze governative hanno rapidamente ripreso il controllo della regione. Da quel momento, per la popolazione civile alawita è iniziata una feroce persecuzione: migliaia di civili inermi sono divenuti bersaglio di violenze su larga scala, con un bilancio di circa 2.000 vittime tra le strade e le abitazioni. Un noto osservatorio per i diritti umani con sede a Londra ha stimato il numero dei morti in circa 2.000.
Il 4 marzo, circa 7.000 alawiti terrorizzati – in gran parte anziani, donne e bambini – si sono accalcati davanti al compound di Hemian, dove si trova la base aerea russa, implorando protezione dalla repressione perpetrata dai jihadisti uiguri e ceceni. Il comandante della base russa si è detto disponibile a proteggere i rifugiati, accogliendoli all'interno del compound.
La sconfitta alawita ha costretto i leader della comunità a chiedere aiuto a Israele, ma, al momento, non è nota la risposta dello Stato ebraico.
Anche se può sembrare cinico, la verità è che Al Jolani considera la questione alawita un problema secondario: il suo vero compito è spazzare via il Rojava, come richiesto da Erdogan. Da quando ha preso il potere a Damasco, sta perseguendo questa missione con estrema determinazione.
I curdi del Rojava hanno tentato di resistere, ma con l'insediamento della presidenza Trump le truppe americane presenti nella regione – il cui scopo era, tra l’altro, quello di sfruttare il petrolio siriano per il mercato nero – hanno cessato di garantire protezione dall’esercito turco. Di conseguenza, i leader del Rojava si sono trovati costretti a negoziare un accordo con l’esercito di Al Jolani.
Il 10 marzo 2025, dopo mesi di tensioni e scontri sporadici, è stato ufficialmente annunciato un accordo tra l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est (AANES) e il nuovo governo siriano guidato da HTS. Questo patto, mediato indirettamente da Turchia e Russia, potrebbe segnare un punto di svolta nella regione curda.
L’accordo prevede diversi punti chiave:
- Riconoscimento limitato dell’autonomia curda – HTS accetta formalmente l’esistenza dell’ AANES, ma solo come entità amministrativa locale, senza riconoscimento ufficiale di governo autonomo.
- Integrazione delle SDF – Le Forze Democratiche Siriane (SDF) verranno integrate nelle forze armate siriane sotto il controllo di HTS, ma il comando rimarrà, per ora, in mani curde. In cambio, le SDF dovranno interrompere i legami con il PKK e la cooperazione con gli Stati Uniti.
- Pattugliamenti congiunti con la Turchia – Per garantire la sicurezza, le forze curde e quelle di HTS collaboreranno con la Turchia nel monitorare le aree più sensibili.
- Apertura delle frontiere per il commercio – HTS permetterà ai curdi di commerciare, ma imponendo nuove tasse e controlli.
Questo accordo, chiaramente imposto da Ankara, rappresenta un successo strategico per Erdogan. Per i curdi, invece, è una scelta obbligata più che una vittoria politica. Molti temono che HTS possa revocare l’intesa in futuro.
Due giorni dopo la firma, l'aviazione turca ha bombardato postazioni del Rojava. Questo attacco potrebbe avere due obiettivi:
- Prevenire un consolidamento curdo nel Nord-Est – Ankara vuole interrompere qualsiasi rafforzamento dell'autonomia curda.
- Testare la reazione di HTS – Se HTS non reagisce, dimostrerebbe di non avere il pieno controllo del territorio, rafforzando la posizione della Turchia.
Nei prossimi giorni, sarà cruciale osservare le reazioni di Russia, Stati Uniti e Iran, perché una nuova fase di guerra potrebbe essere imminente.
In sintesi, l’accordo del marzo 2025 è solo una vittoria temporanea per i curdi, che rischiano di perdere ogni autonomia nel lungo termine.