Lo scorso 18 maggio, i portoghesi sono tornati alle urne per la terza volta in tre anni, trascinati dalla crisi di fiducia nel governo di minoranza guidato da Luís Montenegro e dalle crescenti tensioni sociali causate dall’impennata dei prezzi, dalla carenza di alloggi e dalle emergenze nei servizi pubblici. In un clima di stanchezza politica e di crescente polarizzazione, l’Alleanza Democratica (Aliança Democrática, AD) di centro-destra ha ottenuto il maggior numero di seggi, ma ancora una volta senza raggiungere la soglia di 116 deputati necessaria per governare da sola. Con il 31,8% dei voti, la coalizione guidata dal Partito Social Democratico (Partido Social Democrata, PSD) di Montenegro ha conquistato 91 seggi, confermandosi forza prevalente all’Assemblea della Repubblica ma vincolata alla necessità di cercare alleanze puntuali per far approvare le leggi.
Nonostante il centrodestra non abbia raggiunto la maggioranza assoluta, le notizie non sono affatto positive per l’opposizione di centro-sinistra, che ha visto un calo generalizzato dei consensi, a partire dal Partido Socialista (PS), che ha perso ben venti scranni, eleggendo solamente 58 deputati. A beneficiarne è stato il partito di estrema destra Chega, affermatosi come seconda forza politica del paese lusitano con ben sessanta deputati, un incremento di dieci unità rispetto alle elezioni dello scorso anno.
Il Partido Comunista Português (PCP), parte integrante dell’Unione Democratica Unitaria (Coligação Democrática Unitária, CDU), ha a sua volta vissuto il risultato più amaro della propria storia recente: appena 3 seggi, uno in meno rispetto alla tornata precedente, con una percentuale del 2,9% dei voti. Questo dato rappresenta tanto il segno della difficoltà della sinistra di parlare alle nuove generazioni, quanto la dimostrazione del tracollo elettorale vissuto dalle forze che avevano dominato la politica portoghese per oltre mezzo secolo. Alle spalle del PCP si muovono ancora le ombre lunghe del fallimento del programma di contrasto alle politiche dell’Unione Europea, denunciata fin dal 1985 dai comunisti portoghesi come un progetto di drenaggio di risorse e smantellamento dei diritti dei lavoratori.
Il dramma per i comunisti portoghesi - e per tutta la sinistra lusitana - è dunque duplice. Da un lato, la rappresentanza delle formazioni di sinistra (compreso anche il Bloco de Esquerda, che ha ottenuto un solo seggio) è ridotta ai minimi termini e la loro voce in Parlamento resta quasi inascoltata; dall’altro, l’ascesa travolgente del partito di estrema destra Chega, balzato al 22,8% e consacratosi come seconda forza politica nazionale, incarna esattamente quel “sistema di lotta tra gruppi economici e opzioni governative” denunciato nei discorsi della dirigenza comunista come minaccia alla democrazia e alla Costituzione della Repubblica.
Luís Montenegro, 52 anni, ha ostentato ottimismo sin dalla notte dello spoglio, lodando un “mandato rafforzato” per realizzare le promesse di taglio delle tasse e rigore sui conti pubblici. Eppure, il quadro parlamentare rimane frammentato, e neppure il sostegno di Iniciativa Liberal (IL), forza liberista e filo‑imprenditoriale, che sale a 9 seggi, basta ad avvicinare l’alleanza di governo alla maggioranza. Dal canto suo, il PCP non ha tardato a sottolineare come questo assetto favorisca il ricatto permanente dei partiti più estremisti, a partire da Chega, che possono imporre veti incrociati su ogni materia sensibile, dal bilancio alla riforma del mercato del lavoro.
Secondo il segretario generale del PCP, Paulo Raimundo, la conferma al governo di una coalizione di centro‑destra in alleanza gli interessi privati significa un’accelerazione delle politiche neoliberiste già intraprese negli ultimi anni di reggenza socialista e socialdemocratica. Un attacco che, ancora una volta, prende di mira la lunga parabola dell’inserimento di Lisbona nella Comunità Economica Europea prima e nell’Unione Europea poi, da cui, secondo il PCP, sono derivati i crolli progressivi di salari, pensioni e servizi pubblici, «finanziando con miliardi di euro le spese militari in luogo delle urgenti spese sociali», come affermato dallo stesso Raimundo.
Inoltre, il PCP rimprovera al governo Montenegro di aver costruito la propria campagna sul mito della “governabilità forte”, quando le carte parlano di una maggioranza inesistente. Ciò che si prepara, ammoniscono i comunisti, è l’ennesimo governo di minoranza: una somma di annunci roboanti divisi da negoziati lampo, affidati a voti di fiducia su ogni provvedimento. Di fronte a questo rischio, il PCP ha già annunciato una serie di iniziative legislative per la tutela del lavoro, inserite in quattro progetti di legge depositati l’8 giugno per abolire la decadenza dei contratti collettivi, ripristinare il principio del trattamento più favorevole, ridurre l’orario settimanale a 35 ore e rafforzare i diritti dei lavoratori notturni e a turni.
La strategia del PCP è chiara: costituirsi come argine parlamentare alle politiche di deregolamentazione del lavoro promosse dal governo, opporsi ai tagli alla sanità pubblica e difendere il diritto alla casa. In particolare, i comunisti hanno richiamato l’attenzione sulla drammatica situazione abitativa, con migliaia di famiglie che fanno la fila sotto la pioggia per ottenere un medico di base o rischiano lo sfratto per canoni esorbitanti. Le denunce più vibranti non risparmiano lo stesso Montenegro: «Non può esserci accordo con chi pretende di svendere il patrimonio pubblico agli interessi privati», ha dichiarato in una recente conferenza stampa il responsabile economico del PCP.
Dal canto suo, Montenegro promette il rilancio economico attraverso la riduzione delle tasse sul reddito e sulle imprese, un riassetto della pubblica amministrazione e investimenti «mirati» su sanità e istruzione, purché subordinati ai vincoli del Patto di Stabilità europeo. Proprio quel Patto che, ricorda il PCP, nel corso dei decenni ha imposto rigidi limiti di spesa, consegnando funzioni sociali sempre più depauperate e un’erosione sistematica della sovranità nazionale.
Sul versante elettorale, i comunisti non nascondono la propria preoccupazione per l’astensione e il disincanto crescente verso la politica. Seppure l’affluenza nazionale si sia attestata intorno al 58,3 %, terzo miglior risultato dall’ingresso nel XXI secolo, nelle aree metropolitane principali, quelle di Lisbona e Porto, il calo di quasi due punti percentuali rispetto al 2024 denuncia una stanchezza che ogni giorno alimenta l’estremismo. Un fenomeno che il PCP attribuisce alla delusione per le «promesse mancate» dei partiti tradizionali e alla percezione di un Parlamento sempre più distante dai problemi concreti delle persone.
Non mancano, allo stesso tempo, segnali di mobilitazione tra le formazioni della sinistra radicale. Il Bloco de Esquerda e il partito Livre, pur avendo raccolto complessivamente percentuali modeste (rispettivamente 2 % e 4,1 %), hanno messo sul tavolo proposte per la nazionalizzazione di settori strategici e un piano nazionale per l’emergenza casa. Il PCP, pur avendo perso consenso rispetto al 2024, si propone oggi come lo snodo di una possibile alleanza progressista in vista delle amministrative e delle prossime scadenze europee.
In questa cornice, la conferma di Luís Montenegro a primo ministro – ufficializzata dal capo dello Stato Marcelo Rebelo de Sousa – apre una fase politica nella quale il PCP si accinge a svolgere il ruolo di opposizione dura, tenendo alta la bandiera dei diritti dei lavoratori e rivendicando l’alternativa di un modello basato sulla democrazia economica e sulla riconquista della sovranità nazionale.
Il governo di minoranza che nascerà dopo il voto del 2 luglio per l’investitura in Parlamento dovrà misurarsi con i numeri ristretti dell’AD, costringendo Montenegro a cercare intese difficili con forze eterogenee. Un’eventualità che il PCP vede come una chance per «imporre porre al centro della discussione politica la volontà popolare», spinta dal timore che le élite eurocratiche continuino a riscrivere le regole in un’ottica di austerità.
In questo quadro, il PCP intende giocare la sua partita all’opposizione, denunciando ogni tentativo di svendere il servizio pubblico e rivendicando un’alternativa fondata sul lavoro, sull’uguaglianza e sulla giustizia sociale. La vera posta in gioco, per i comunisti, è impedire che il Portogallo diventi «un laboratorio di politiche neoliberali al servizio delle grandi imprese», rilanciando invece l’idea di una Repubblica in cui la partecipazione dei cittadini e la solidarietà siano i pilastri per «una vita migliore per tutti», come affermato dal leader comunista Raimundo.