L’odierna classe dirigente filippina ha scelto di non restare equidistante nello scontro sino-statunitense. Il presidente Ferdinand Marcos Jr. figlio del fu dittatore Marcos e della moglie Imelda, dopo l’elezione, ha riattivato in grande stile la cooperazione militare con Washington: l’accordo EDCA è salito a nove siti strategici (nuove basi a Cagayan, Isabela, Palawan e Cebu), con oltre 100 milioni di dollari di infrastrutture statunitensi già stanziati. Tutto l’esatto contrario del precedente presidente Duterte, attualmente in prigione all’AJA per aver decretato l’esecuzione stragiudiziale di spacciatori di medio livello criminale.
La decisione di Marcos Jr mira a una duplice funzione: deterrenza contro l’espansionismo cinese nel Mar Cinese Meridionale e consolidamento interno del potere marcosiano grazie all’appoggio del Pentagono.
L’opposizione “cinese” dei Duterte
A sud, il clan Duterte ora governato dalla figlia Sara Duterte, percorre la traiettoria opposta. Tuttora gode di vasto sostegno a Davao City. L’ex presidente Rodrigo Duterte, ora in custodia della Corte penale internazionale per omicidio e crimine contro l’umanità, aveva aperto canali energetici con Pechino, con lo scopo di evitare che il paese divenisse campo di battaglia fra le due superpotenze. Questa decisione gli è costata prima l’accusa e poi l’arresto e la conseguente deportazione all’Aja grazie agli aiuti americani indirizzati alla Corte penale.
La situazione è paradossale: il presidente Marcos junior ha come vicepresidente proprio Sara Duterte ma anche la vicepresidente è sotto impeachment ma ciononostante mantiene un discorso pragmatico: meno basi USA, più investimenti cinesi. Sara Duterte cerca protezione internazionale per il padre prigioniero.
Al centro geografico del paese stanno le oligarchie economiche la cui dipendenza esterna si spiega così: tra Luzon e le Visayas prosperano conglomerati (Ayala, SM, Lucio Tan) pronti ad accettare capitali di ogni provenienza, soprattutto cinesi, ma nel contempo timorosi di sanzioni USA che colpirebbero il flusso-chiave delle rimesse degli emigrati ossia oltre 38 miliardi $ nel 2024, quarta posizione mondiale. Questa economia delle rimesse rivela il limite strutturale di un modello che esporta manodopera e importa pressioni geopolitiche.
Il campo di battaglia militare è precipuamente marittimo. Sul mare gli attriti si moltiplicano: la China Coast Guard ha speronato e colpito con cannoni ad acqua unità filippine presso Scarborough e Sandy Cay, mentre Pechino dispiega navi da 10.000 t. e droni subacquei nelle acque filippine. Washington risponde potenziando basi logistiche e pattuglie congiunte, trasformando l’arcipelago in una futura linea del fronte indo-pacifico.
Mindanao: dove il conflitto incontra il dialogo
Proprio nel Sud musulmano di Mindanao, teatro di guerriglia islamista, s’innesta l’esperienza più originale della Chiesa cattolica: il movimento Silsilah, fondato nel 1984 dal missionario del PIME Padre Sebastiano D’Ambra. Proprio in questa regione delle Filippine è avvenuto un esperimento sociale e culturale i cui obiettivi sono sempre stati quelli di raggiungere un dialogo interreligioso. Ma le ricadute politiche non sono mancate. Il PIME si è guadagnato, grazie all’opera infaticabile di probi missionari, la stima della popolazione normale ed ha conseguito uno dei pochi e reali dialoghi tra cristiani e musulmani. La base di partenza è stata una base mistico-religiosa ma il dialogo è stato anche un dialogo integrale: corsi estivi residenziali che mettono allo stesso tavolo imam e catechisti; rete di “zone di pace” in Basilan e Zamboanga. Un peace-building politico, una mediazione discreta con il MILF e l’MNLF -movimenti di liberazione islamica armati che durante complessi colloqui hanno portato alla creazione della regione autonoma Bangsamoro.
Questa è diplomazia culturale: archivi orali di ex militanti Abu Sayyaf, programmi di scambio scuole-madrash. Ma soprattutto L'autorità morale di Padre D’Ambra — premiata anche dai vescovi filippini. L'accordo di pace tra il governo filippino e i gruppi combattenti islamici per l'autonomia dell'isola di Mindanao è stato siglato il 27 marzo 2014. Noto come "Comprehensive Agreement on the Bangsamoro", è stato firmato tra il governo delle Filippine e il Moro Islamic Liberation Front (MILF), il principale gruppo separatista musulmano del paese. La firma è avvenuta presso il Palazzo Malacañang a Manila, alla presenza del presidente filippino Benigno Aquino III e del primo ministro malese Najib Razak, con la mediazione della Malesia. Padre D'Ambra ha avuto un ruolo significativo nel promuovere il dialogo interreligioso e la pace a Mindanao. In riconoscimento del suo contributo, nel 2024, la Conferenza Episcopale delle Filippine gli ha conferito il "Bishop Jorge Barlin Golden Cross", la massima onorificenza della Chiesa filippina, per i suoi sforzi nel promuovere la pace tra cristiani e musulmani a Mindanao.
Si può dire che questa realtà ci spiega perché il cardinale filippino era uno dei papabili e spiega ancora di più perché non sia poi effettivamente diventato papa. Il Vaticano ha sicuramente un controllo politico della regione, a maggioranza musulmana.
L’arcipelago filippino resta bloccato tra le strategie dei giganti e l’interesse miope delle dinastie locali. Eppure, nelle periferie più fragili, come il sud dell’isola di Mindanao, il carisma di padre Sebastiano D’Ambra, missionario del PIME, dimostra che dialogo e sviluppo comunitario possono sottrarre terreno sia alla logica dei clan sia alla geopolitica delle portaerei. La sfida è trasformare queste isole di pace in architettura nazionale: senza un risveglio della società civile, i “quaranta ladroni” resteranno al timone, qualunque stendardo sventoli sopra le loro teste.