Undici anni fa un grande movimento di popolo portò alla vittoria del Referendum contro la privatizzazione dell’acqua. “Acqua bene comune” era lo slogan che mobilitò sindacati, partiti, movimenti e realtà sociali. Cosa è rimasto di quella battaglia? Ben poco se pensiamo che nulla è cambiato.
Voci che, sulla base dell’esito referendario, dovevano essere eliminate dalla bolletta, come per esempio i profitti dell’impresa, sono state reinserite surrettiziamente sotto altre denominazione. Non parliamo della ripubblicizzazione: non solo non è avvenuta, ma è proseguito il processo di concentrazione delle gestioni a vantaggio di pochissime imprese multinazionali. Quello che doveva essere trattato come un monopolio naturale pubblico è si caratterizza sempre di più come un monopolio privato.
Ma attribuire ogni responsabilità ai governi e allo Stato sarebbe fin troppo facile. Dovremmo mettere in discussione lo strumento referendario e soprattutto la faciloneria con la quale venne gestita quella campagna dai movimenti.
Negli ultimi 20 anni è stato fatto poco o nulla e l’emergenza climatica sta palesando una situazione a dir poco surreale anche per le risorse idriche.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) destina circa 4,3 milioni di euro alle reti idriche e alla depurazione delle acque ma, per ammissione dei tecnici, per raggiungere l’obiettivo lo Stato dovrebbe investire cifre assai maggiori: ne servirebbero 60 miliardi. E anche in questo caso ce lo chiederebbe l’Unione Europea....
Reti obsolete, invasi inesistenti o fermi a 60 anni fa, quando paradossalmente c’era un centro-sinistra, prima versione, che investiva risorse in progetti di pubblica utilità. Le reti sono dei colabrodi con perdite stimate attorno al 40%. Vi sono pochi controlli ed è inesistente un piano di intervento strutturale.
Con l’abrogazione delle Province – ma nessuno parla di cancellare la fallimentare Riforma Del Rio-Renzi – mancano perfino i funzionari e gli uffici preposti al censimento e all’autorizzazione dei pozzi. L’Italia ogni anno paga multe salatissime all’Unione Europea per la mancata depurazione delle acque di fogna che confluiscono nei fiumi, inquinandoli. Altre sanzioni arriveranno per il mancato utilizzo dell’acqua depurata dopo l’uso in ambito industriale e agricolo. L’Italia green si scopre una mera illusione in un paese che non vuole investire nella manutenzione del territorio e nelle bonifiche per affrontare, una volta per tutte, le problematiche del dissesto idrico e geologico.
Non si capisce ancora chi dovrebbe occuparsi della manutenzione delle reti, molte delle quali da decenni abbandonate, eppure le residue aziende pubbliche che gestiscono l’acqua avrebbero utili tali da consentire investimenti adeguati. Sennonché anch’esse sono gestite alla stregua di imprese private con l’obiettivo quindi di massimizzare i profitti. Per non parlare dei colossi quali Acea, Suez ecc.
Le reti idriche sono per lo più quelle di 30 o 50 anni fa. Un quarto delle stesse risale addirittura a 70 anni fa. Un ammodernamento richiederebbe investimenti ben maggiori delle risorse del Pnrr ma consentirebbe anche di superare la dispersione idrica e mettere mano, una volta per tutte, alla depurazione delle acque.
Qualcuno sostiene che in Italia si paga per l’acqua meno che negli altri paesi europei. È innegabile che la fattura a carico delle famiglie presenti delle sperequazioni su base territoriale e regionale che differenziano inspiegabilmente i costi.
Altri ancora, in nome della fantomatica decrescita felice, asseriscono che in Italia si consuma troppa acqua; sarà colpa degli orti familiari ai quali si fa ricorso visto il rincaro di frutta e verdura? Ci sono intellettuali verdi (di vergogna?) che recentemente hanno asserito l’inutilità della doccia quotidiana come se l’igiene personale rappresentasse ormai un lusso.
Ma nessun intellettuale, e men che mai forza politica o di movimento, si è fatto carico del problema in termini reali e convincenti proponendo e sostenendo un grande investimento pubblico a favore dell’ammodernamento delle reti idriche e per la depurazione delle acque.
Ecco svelato l’arcano, siamo davanti a modelli green che bypassano il problema di fondo ossia l’urgente necessità dell’investimento pubblico non a favore delle armi ma per la salvaguardia del territorio.