Economia di guerra o speculatori all’assalto?

Tra speculatori, fake news e luoghi comuni: proviamo a districare i riflessi economici della guerra?


Economia di guerra o speculatori all’assalto?

La denuncia del ministro Cingolani è stata accolta con stupore dai gruppi economici dominanti. Tuttavia se le forniture di gas e petrolio provenienti dalla Russia rimangono ai livelli pattuiti dagli accordi, per quale ragione i costi saranno schizzati alle stelle?

Come riportano i media, il ministro Cingolani, senza giri di parole, parla di “truffa colossale”, mentre il premier Draghi invita alla calma; fatto sta che i costi di gas e derivati dal petrolio hanno subito un’impennata. Si diffonde inoltre la psicosi collettiva con la corsa agli ipermercati e vengono già annunciati blocchi dei trasportatori.

Quali azioni intraprenderà il governo? Interventi parziali come le misure di sostegno ai trasportatori. Ma da qui a contrastare l’aumento dei prezzi corre grande differenza; del resto l’acquisto al mercato libero e l’assenza di un’industria di Stato, generano effetti speculativi che spaziano dalla finanza all’accaparramento di prodotti.

È davvero improprio parlare di economia di guerra, in cui solitamente le nazioni riorganizzano il loro apparato industriale al fine di garantire la capacità produttiva in funzione dello sforzo bellico?

L’Italia non è (formalmente) in guerra, come del resto la Nato e i paesi Ue, ma intanto ingenti quantitativi di armi partono dagli aeroporti militari verso i paesi confinanti con l’Ucraina, talvolta camuffati da aiuti umanitari. E i grandi colossi dell’energia, nati in buona parte dopo le sciagurate privatizzazioni, fanno il bello e il cattivo tempo dettando l’agenda politica. Restano un dato oggettivo le ripercussioni della guerra e delle sanzioni alla Russia, sulle economie nazionali.

Nonostante l’impegno della Russia a garantire la consueta fornitura, si guarda ad altri paesi per l’approvvigionamento di gas e petrolio, ma anche di derrate alimentari; e se queste ultime dovessero arrivare dal continente americano ci ritroveremmo davanti a prodotti Ogm contro i quali, sul finire del secolo scorso e all’inizio dell’attuale, associazioni, movimenti, ricercatori hanno costruito documentate campagne per denunciarne gli impatti negativi sulla filiera produttiva e alimentare, tanto che l’Ue ha dovuto adottare alcuni regolamenti che ne prescrivono tracciabilità e limiti.

Sempre il ministro Cingolani aveva promesso di sostituire nel giro di 24-30 mesi l’intera fornitura di gas russo che ammonta al 40% del nostro fabbisogno nazionale, omettendo tuttavia di aggiornarci sui costi dei nuovi prodotti che sappiamo essere molto più elevati.

La Commissione europea da tempo sta lavorando per ridurre la dipendenza dai combustibili energetici russi. Da giorni gira la bozza di un piano comunitario che si prefigge l’obiettivo di tagliare due terzi delle forniture di gas entro l’anno corrente. A sua volta l’Italia sta concludendo un accordo con l’Egitto per importare gas liquefatto il quale, insieme a quello che proverrà dagli Usa, richiederà il funzionamento a pieno regime dei rigassificatori esistenti, attualmente funzionanti al 60% circa del loro potenziale, e la costruzione di uno nuovo galleggiante. Chi pensava a una svolta green dell’economia Ue, dovrà forse ricredersi alla luce della ricerca di nuovi fornitori, a costi e impatti ambientali decisamente maggiori nonché del piano di incremento delle produzioni nazionali di gas naturale liquefatto. Altre prospettive, meno battute, sono l'implementazione del biometano e dell’idrogeno rinnovabile. L’efficienza energetica agognata dall’Ue, per ridurre la dipendenza da altri paesi, ad oggi solo in minima parte si affida alle rinnovabili guardando piuttosto alle energie tradizionali.

Pesa, e non poco, sull’Ue il cambio sfavorevole dell’euro con il dollaro e la perdita di terreno dell’euro come moneta di riserva. Se l’Ue si comporta da colonia degli Usa non dobbiamo sorprenderci che anche la sua moneta ne risenta. Se poi consideriamo il rincaro delle tariffe, dei prodotti energetici e dei cereali, oggetto di speculazioni, gli scenari futuri per il vecchio continente sono tutt’altro che rosei.

Checché ne dica il Pd, la scelta di indossare l’elmetto e di sposare le sanzioni alla Russia potrebbe avere impatti negativi proprio sul nostro paese la cui economia è tra le più deboli dell’Ue.

Alcuni “Stati canaglia”, così definiti dagli Usa e dai loro sudditi quando conveniva, per motivi geostrategici o economici, fare la loro la guerra commerciale o la guerra vera e propria, potrebbero ben presto tornare tra i privilegiati partner economici con il ritiro delle sanzioni a loro carico. C’è poi un altro timore per niente infondato, viste le dichiarazioni del ministro risalenti a non moltissimo tempo fa: la penuria, costruita ad arte per far impennare i prezzi, di gas e petrolio, sancirà la svolta verso il nucleare di ultima generazione?

“A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina” è una delle frasi più celebri di Giulio Andreotti. Si tratta di un luogo comune ma può essere utile per confutare la vulgata ufficiale secondo la quale l’aggressione della Russia all’Ucraina sarebbe la madre di tutte le sventure. Se esiste un’emergenza dovremmo guardare ai valori dei prezzi alla produzione che già nel gennaio 2022 (aumento superiore del 30% su base annua) risultavano fuori controllo.

Il rincaro dell’energia inizia ben prima della guerra in Ucraina e forse è uno dei fattori scatenanti della stessa, oltre agli altri innumerevoli di carattere geostrategico sui quali abbiamo già scritto ampiamente. Aumentando i costi, sono totalmente negative le ripercussioni sulle produzioni più sensibili, dall’acciaio alle fonderie, dalla carta alla ceramica, potendo aggravare la crisi dei distretti industriali del made in Italy; se saranno fuori controllo i costi delle materie prime e dell’energia, il rischio di produrre a prezzi eccessivi e senza acquirenti diventa un’ipotesi concreta.

In questo modo i margini di profitto delle multinazionali, alle prese con il rincaro delle materie prime e dei costi energetici, scenderebbero così in basso da paralizzare interi settori produttivi, vanificando la tanto decantata ripresa economica postpandemica. Da qui un possibile rilancio delle rilocalizzazioni in altri continenti del nostro apparato industriale che parevano avere subito un rallentamento, se non addirittura un’inversione di tendenza.

Nel frattempo, miliardi di profitti vengono accumulati tra hedge fund, speculazioni finanziarie e operazioni varie grazie alle differenze di prezzo sull’approvvigionamento di materie prime. E anche le sanzioni di carattere finanziario alla Russia, volte a escluderla o penalizzarla nei mercati dei capitali, quale risvolto avranno nelle transazioni finanziarie nostrane? E quali saranno le ripercussioni nell’economia reale?

Da anni ormai il mercato europeo del gas, al pari di altri, come quello dell’elettricità e dei permessi per la CO2 (perché anche i permessi di inquinare, in questa società dove tutto diventa merce, hanno un mercato), è fortemente finanziarizzato; la speculazione e le scommesse sui prezzi futuri regnano sovrane sulle cosiddette commodity, ossia materie prime (prodotti agricoli, energia), e determinano l’attuale impennata dei prezzi.

Mentre la speculazione finanziaria farà affari d’oro sulla guerra in corso, a pagarne le conseguenze saranno i cittadini, che subiranno il rincaro dei generi di prima necessità, mentre il ruolo dei governi nazionali sarà quello di contenere la dinamica salariale (“per non accrescere il debito”, come in altre circostanze), con la conseguente ennesima perdita di potere di acquisto e l’impoverimento di strati crescenti della popolazione.

Mentre i paesi europei subiscono i contraccolpi delle speculazioni, a Versailles si sono riuniti i capi delle nazioni Ue per parlare del nuovo modello di difesa, il cosiddetto esercito europeo, stanziando finanziamenti all’apparato militare e per “investire di più e meglio nelle capacità di difesa e nelle tecnologie innovative”.

Se parlare di economia di guerra può suonare improprio a qualcuno, non è sbagliato scrivere che le economie del vecchio continente sono parti integranti di questo scontro, e non solo per le continue offerte all’Ucraina di armi, avendone ipotizzato un futuro ingresso nella Ue (insieme a Georgia e Moldova). La guerra in corso avrà ripercussioni assai negative proprio sulle economie del vecchio continente che hanno già accresciuto le loro spese militari e rischiano di pagare un prezzo ancora più elevato con la subalternità politica ed economica agli Usa i quali, invece, da questa guerra hanno tutto da guadagnare.

Con la subalternità politica cresceranno le servitù militari, i dispositivi militari con le basi Usa e Nato dislocate nel nostro paese, il business delle industrie militari italiane che vendono armi di ultima generazione in tutto il globo, inclusi i paesi dove vengono violati quei diritti umani tanto cari ai nostri governanti quando si parla di Ucraina, ma non nel caso dello Yemen, dell’Arabia Saudita, della Palestina, del Donbass e degli stessi Usa, basti vedere gli omicidi su base razziale della sua polizia e il trattamento riservato a Julian Assange, reo di avere rivelato i crimini di guerra del paese modello della democrazia e della libertà.

A mo’ di esempio, a proposito della doppia morale borghese o capitalistica, ricordiamo i quasi mille miliardi di euro di forniture militari italiane all’Egitto di Al Sisi.

18/03/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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