Il 26 luglio si sarebbe dovuto aprire il XIX congresso della Cgil, con i congressi di base nei luoghi di lavoro. Tuttavia, in seguito all’accelerazione della crisi politica e alla caduta del governo Draghi, che rimarrà in carica “per sbrigare gli affari correnti”, il congresso è stato rimandato dalla segreteria uscente a dopo le elezioni del 25 settembre. Sarà un congresso importante, poiché la Cgil, nonostante i suoi profondi limiti, con i suoi 5 milioni di iscritti [1], è ancora oggi il più grande sindacato e attore sociale italiano.
Si affronteranno due diverse concezioni del sindacato. Quella concertativa della maggioranza, incarnata dal segretario uscente Landini, con la sua subalternità alla politica, come evidenziato anche dall’assist dato al governo Draghi in pieno sviluppo della sua crisi [2]. Dall’altra, invece, una minoranza che ritiene necessaria un’indipendenza del sindacato dai partiti liberisti e dall’abbraccio mortale con le politiche moderate delle dirigenze di Cisl e Uil, che ha reso la Cgil subalterna ai governi.
La minoranza si è ampliata per via delle scelte fatte dal gruppo dirigente del sindacato. Ciò ha determinato una maggiore unità di intenti con alcuni settori critici della maggioranza. La dirigenza dell’area “Riconquistiamo tutto” ha il merito di aver saputo mediare con queste posizioni critiche, producendo una convergenza e un allargamento della base congressuale. Sebbene tale risultato sia stato anche il prodotto della necessità, è apprezzabile che piuttosto che confinarsi, mediante un atteggiamento settario, alla testimonianza si sia lavorato per raggiungere questo risultato. Così come è importante che si sia riusciti a ricucire un rapporto con coloro che avevano abbandonato l’area di opposizione interna, pur rimanendo su posizioni critiche alla linea della maggioranza, riuscendo a far fronte comune in questo congresso. Ci auguriamo che questa unità d’azione sindacale proceda e si approfondisca anche dopo il congresso.
Il congresso è un momento centrale nella vita del sindacato, poiché è il momento in cui la base ha la possibilità di esprimere la linea politica dell’organizzazione da portare avanti nei prossimi anni e il gruppo dirigente incaricato a rendere concreta quella concezione del sindacato e del mondo. Ma è anche un’occasione importante di confronto, in cui possono emergere istanze collettive da agitare nella società e le azioni per renderle concrete.
Questo congresso si inserisce in un contesto difficile, di evidente crisi della società capitalistica, ma anche di sfiducia degli sfruttati nella possibilità di cambiamento. Sfiducia che si esprime sia sul piano politico, con l’astensione, che in quello sociale, con la difficoltà allo sviluppo di vasti movimenti di massa. Se il vecchio muore, il nuovo ha difficoltà a nascere.
La Cgil presenta delle grandi responsabilità, poiché, in qualità di più grande sindacato, potrebbe essere l’organo della concentrazione della mobilitazione. E invece, a causa della concezione neocorporativa della società dell’attuale gruppo dirigente, ha alimentato la sfiducia, utilizzando le mobilitazioni come mezzo per sedersi al tavolo delle trattative piuttosto che come occasione per rilanciare il protagonismo dei lavoratori necessario per ribaltare quei rapporti di forza sfavorevoli, che vedono la forza-lavoro sotto attacco della classe proprietaria dei mezzi di produzione.
In questi anni si è cercato di cogestire la crisi esistente e non di costruire un’opposizione sociale, che si mobilitasse per migliorare le condizioni di lavoro e incrementare il salario. Si è messo al centro della propria idea di sindacato il lavoro e non i lavoratori, ma non si è stati in grado di difendere adeguatamente né l’uno né l’altro. Tutto ciò mentre la controparte attaccava con decisione i lavoratori, mettendo in discussione la stessa legalità industriale conquistata, imponendo condizioni di lavoro sempre più precarie. E anche quando si è riusciti a tenere la linea difensiva, la situazione internazionale e l’incremento dell’inflazione hanno eroso diritti e salario alla classe lavoratrice. Situazione che peggiorerà ulteriormente in autunno, a causa della guerra e delle sanzioni.
In conseguenza di questa concezione del mondo, di ricerca costante del compromesso, le lotte del sindacato non sono state mai portate avanti fino in fondo, anche per salvaguardare l’unità con Cisl e Uil. Spesso si è colpevolmente fatto cadere nel vuoto quello che la base del sindacato aveva tenacemente cercato di costruire, dando sempre credito a ogni cenno di trattativa del governo di turno. Ciò, insieme alla crisi dei partiti politici della classe operaia, ha favorito la disillusione e la passività dei lavoratori. Oggi è ancora più complesso mobilitare la classe lavoratrice a difesa dei propri interessi e per conquistare un ruolo di direzione della società. Eppure questa strada, sebbene in salita, è necessario percorrerla, come unica via di uscita dalla crisi sempre più distruttiva di questa società.
Alla Cgil è mancata quella visione strategica d’impostazione della propria linea sindacale per poter resistere all’offensiva dei governi e del padronato e conquistare terreno. Un esercito che arranca, mancando di una direzione adeguata, è destinato a perdere la guerra contro un nemico più ben organizzato e deciso nelle proprie azioni. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, e la crisi rende il nemico ancora più aggressivo e disposto a spostare il baricentro della legalità industriale sempre più a proprio vantaggio. Quando si sta perdendo il conflitto è necessario cambiare gli ufficiali, scegliendone di più adatti. Il congresso è senz’altro un momento importante di questa selezione, ma ancora più decisiva sarà la possibilità di selezionare gli ufficiali sul campo di battaglia, nel vivo del conflitto sociale.
Il conflitto è sia il prodotto delle concezioni che un catalizzatore di idee, e il movimento reale può modificare velocemente le concezioni dei soggetti sociali. Oggi è necessario ricostruire tra i lavoratori la consapevolezza dei propri interessi collettivi, e questa ricostruzione non può che passare dal mobilitarsi insieme per ottenere incrementi salariali e condizioni migliori di lavoro. È necessario ottenere vittorie parziali, ma che siano generalizzabili, per poter rinsaldare nei lavoratori la fiducia che gli scioperi e le mobilitazioni sono strumenti ancora validi dell’agire collettivo. Nella sconfitta tende a prevalere l’individualismo, il si salvi chi può, non gli interessi collettivi, tanto che lo smart-working dai più è percepito come una modalità di lavoro che viene incontro ai loro bisogni personali piuttosto per quello che è, ovvero una moderna forma di attacco alle condizioni di lavoro per reintrodurre il cottimo. È necessario metodicamente agitare gli obiettivi del programma minimo, facendoli vivere tra la classe lavoratrice come credibili e realizzabili.
Nel congresso, quindi, dovremmo avere anche la capacità, mediante l’adozione di ordini del giorno ben indirizzati, di far fronte comune con quella parte critica della maggioranza su alcune questioni specifiche per far prendere impegni concreti, non eludibili, al sindacato. Questo perché “ogni passo di movimento reale è più importante di una dozzina di programmi” [3].
Per queste motivazioni è necessario sostenere attivamente il secondo documento congressuale, “Le radici del sindacato”, impegnandosi concretamente nel proprio luogo di lavoro. I comunisti e i sinceri progressisti non possono mancare l’occasione di dare il loro significativo apporto per rilanciare, anche mediante l’azione sindacale, la lotta di classe degli sfruttati e organizzare l’opposizione sociale ai piani del capitale. In assenza di un’azione cosciente adeguata, potremmo fare anche ottime analisi ma saremmo rilegati dalla storia alla pura testimonianza.
Note:
[1] Uno dei principali limiti è senz’altro il gran peso dei pensionati che coprono circa la metà degli iscritti, segno evidente di una minore sindacalizzazione delle nuove generazioni.
[2] In tal senso deve essere interpretato il comunicato stampa della Cgil, che è un sostegno acritico al governo Draghi, quando solo qualche giorno prima lo stesso sindacato aveva denunciato come il governo non avesse preso nessun impegno concreto per risolvere la crisi sociale.
[3] Karl Marx, Critica del Programma di Gotha, 1875.