Il 31 ottobre 2024 il 4,76% dei lavoratori della scuola, università e ricerca ha aderito allo sciopero di settore proclamato dalla FLC e da alcuni sindacati di base, tra cui l’Unicobas. Un’adesione contenuta, nonostante le motivazioni oggettive per scioperare siano assai numerose.
La prima questione, quella più rilevante e sentita tra i lavoratori, è la compressione salariale. Nella legge finanziaria 2025 è, infatti, previsto un adeguamento salariale per il triennio 2022-2024 pari al 5,78%, a fronte di un’inflazione per lo stesso triennio del 17,3%. Un adeguamento salariale del tutto insufficiente a recuperare la perdita di salario reale riscontrata dai lavoratori del settore, che considerando gli stanziamenti previsti e l’inflazione è, quindi, maggiore del 10%. In un settore che ha già visto negli anni il blocco degli scatti di anzianità, aumento degli anni previsti per gli scatti di anzianità e periodi di vacanza contrattuale, la perdita di salario reale è tale da relegare sempre più i docenti italiani in fondo alla classifica dei salari dei paesi Ue dell’Europa occidentale, ovvero quelli a economia più avanzata e a maggiore innovazione tecnologica. La tendenza nel nostro Paese è stata in generale quella di puntare sull’abbassamento dei salari reali piuttosto che sull’innovazione tecnologica. Questa riduzione del salario reale nella scuola è stata maggiore che negli altri settori del pubblico impiego, anche per via del maggior numero di dipendenti di questo settore che lo rendono più rilevante per il bilancio di uno Stato in regime di austerità. Se in passato l’abbassamento del salario reale era compensato in parte da quello accessorio, negli anni i fondi stanziati per la contrattazione di istituto (il secondo livello nel settore scolastico) sono diminuiti sempre di più mentre sono aumentati sempre di più i carichi di lavoro richiesti a chi si prende incarichi aggiuntivi. Questo è avvenuto anche per via dei tagli effettuati sugli enti pubblici che hanno spostato una serie di funzioni una volta svolte dagli enti, come l’INPS (una volta INPDAP), alle scuole, e dalle segreterie scolastiche, sempre più oberate di lavoro e in calo di organici, ai docenti. Per sopperire al calo del salario reale molti lavoratori hanno preso questi ulteriori incarichi non richiesti dal loro contratto e fatto gli straordinari, tamponando di fatto le disfunzioni del sistema scolastico pubblico, sempre più con l’acqua alla gola per via dei tagli portati avanti di finanziaria in finanziaria.
Nelle motivazioni di sciopero, sebbene il tema principale fosse quello del salario, si inserivano anche altre importanti questioni come il sottofinanziamento dell’istruzione e della ricerca pubblica, il proliferare del precariato in questi settori, la difesa del contratto nazionale e l’autonomia differenziata, che incombe sul Paese e sull’istruzione pubblica. Il modello Trentino è sotto gli occhi di chi vuole vedere. Qui è già presente un contratto differente e peggiore di quello applicato ai lavoratori della scuola del resto del Paese. L’autonomia differenziata potrebbe, quindi, portare, oltre che a una frammentazione del Paese, anche a un indebolimento e frammentazione dei lavoratori con l’introduzione di contrattazioni regionali e gabbie salariali. Per questo in piattaforma dello sciopero era ben presente la questione del rifiuto dell’autonomia differenziata, al fine di salvaguardare il sistema di istruzione pubblico statale e il contratto di lavoro nazionale. Contratto che è continuamente attaccato non solo a livello nazionale, mediante leggi e decreti, ma anche negli istituti scolastici autonomi del Paese da parte dei dirigenti scolastici. Lo sciopero richiedeva anche pari diritti per i lavoratori a tempo determinato e la loro stabilizzazione. Il precariato tra i lavoratori del settore è incrementato negli anni a un livello tale da avere in media un lavoratore a tempo determinato ogni quattro lavoratori, con una distribuzione non omogenea tra centri e periferie, con queste ultime ovviamente più penalizzate. La crescita ininterrotta del precariato è da attribuire non all’incompetenza dei diversi governi e dei funzionari del Ministero, oggi “dell’Istruzione e del Merito”, ma a una precisa strategia atta a favorire i licenziamenti di massa futuri nel settore, mediante il non rinnovo dei contratti a tempo determinato. Il previsto calo demografico, infatti, comporterà una riduzione del numero di lavoratori necessari nella scuola, non essendoci nessuna intenzione di migliorare la qualità dell’istruzione pubblica mediante la riduzione del sovraffollamento delle classi.
Stante tali condizioni oggettive, perché lo sciopero non è stato un successo? Le motivazioni di una bassa adesione sono da ricercare nelle condizioni soggettive. Probabilmente in altre epoche storiche, o in altri contesti, una tale riduzione del salario reale avrebbe determinato le barricate. La mancanza di prospettiva tra la classe lavoratrice, e in particolare tra quella della scuola, determina una sostanziale assenza di protagonismo dei lavoratori e, quindi, una bassa propensione alla lotta. I lavoratori della scuola vedono i propri problemi come individuali e nelle assemblee sindacali spesso, invece di avanzare rivendicazioni comuni, cercano di risolvere le loro beghe personali. Pratica incentivata da un certo modo di fare sindacato, che vede l’attività sindacale esplicitarsi essenzialmente nella consulenza e nei ricorsi legali, piuttosto che nell’organizzazione e nella mobilitazione. Lo sciopero più grande della loro storia, quello contro la “Buona Scuola” del maggio 2015, è stato percepito più come un parziale insuccesso che un parziale successo. Perché scioperare, rinunciando al proprio salario giornaliero, se non si ottiene quello che si rivendica? La riforma non è stata completamente arrestata e negli anni sono stati implementati dai diversi governi, in sordina, una serie di elementi presenti in quella riforma. Ultimi passi i progetti PNRR e l’introduzione del docente tutor e orientatore. Figure che sono state contrastate quasi esclusivamente nelle scuole superiori, dove la precoce attivazione e la maggiore consapevolezza professionale hanno favorito una maggiore capacità critica. Negli istituti comprensivi, invece, queste riforme non hanno ancora ben mostrato i loro velenosi frutti e i progetti PNRR sono stati accettati in modo acritico con l’idea di non cestinare le uniche risorse erogate, anche se non corrispondenti alle reali necessità della scuola. Dietro a questi progetti c’è però un’idea di fondo di scuola, sempre più aziendalistica e con un ampio utilizzo delle tecnologie al fine di ridurre i costi futuri.
Tornando allo sciopero, questo non è stato preparato come la situazione avrebbe richiesto. A Roma e provincia è stata indetta un’assemblea provinciale in videoconferenza due giorni prima dello sciopero stesso, non andando nella maggior parte degli istituti. L’iniziativa provinciale sarebbe dovuta avvenire con maggiore anticipo, in modo da motivare i lavoratori più coscienti a farsi promotori dello sciopero nei loro istituti, e sarebbe dovuta essere seguita da assemblee in ogni luogo di lavoro per convincere a scioperare anche i lavoratori più restii a farlo. Inoltre la proclamazione dello sciopero generale, il giorno prima dello sciopero di settore, non ha convinto molti a farlo, ma semmai a puntare su quella data per non perdere, nel breve periodo, due retribuzioni giornaliere. Sembra che lo scopo dello sciopero della scuola del 31 ottobre fosse più quello di preparare lo sciopero generale del 29 novembre di CGIL e UIL che quello di dar luogo a una importante mobilitazione di categoria. Anche l’idea di procedere da soli, invece di cercare una convergenza con gli altri principali sindacati, eccetto la CISL, ormai sempre più schierata dalla parte del governo, ha depotenziato la mobilitazione. La FLC ha senz’altro necessità di differenziarsi dagli altri sindacati di settore, in vista delle elezioni RSU previste nel 2025, ma avrebbe dovuto puntare a trovare una convergenza per dar luogo a una forte mobilitazione prima della definitiva approvazione della finanziaria.
Sebbene la mobilitazione di categoria poteva essere organizzata in modo più efficace, dato il livello dell’attacco governativo è importante lavorare per una riuscita dello sciopero generale del 29 novembre contro la finanziaria del governo Meloni, impegnandosi nei propri posti di lavoro a motivare i colleghi a scioperare. Una piena riuscita di questo sciopero potrebbe favorire il sorgere di una nuova stagione di protagonismo tra i lavoratori, al momento assente ma necessaria per invertire i rapporti di forza oggi sfavorevoli.