Lo sciopero delle toghe. Le ragioni a favore e contro la riforma della magistratura

Giovedì 27 febbraio i magistrati hanno incrociato le braccia a difesa della Costituzione e contro la separazione delle carriere voluta dalla maggioranza di centrodestra in Parlamento. Ma la riforma è solo un modo per mettere il bavaglio ai magistrati o un giusto intervento contro privilegi e potere? 


Lo sciopero delle toghe. Le ragioni a favore e contro la riforma della magistratura

I magistrati hanno incrociato le braccia giovedì scorso per uno sciopero indetto dalla loro associazione a difesa della Costituzione, che ha ricevuto una adesione molto alta, intorno all’ottanta per cento [1], con tante iniziative ed eventi in varie città italiane. Si sono presentati in piazza con coccarde tricolori appuntate sulle toghe e una copia della Costituzione tra le mani, per spiegare ai cittadini le ragioni del loro no alla riforma costituzionale sulla separazione delle carriere, voluta fortemente dalla maggioranza di centrodestra al governo ed attualmente in discussione in Parlamento (dopo l’approvazione in prima lettura alla Camera, adesso si trova in esame in commissione Affari costituzionali del Senato). 

Ma perché questa astensione? Non è stato certo uno sciopero voluto per ragioni economiche, anzi alla fine proprio gli scioperanti hanno perso la giornata di lavoro in busta paga; non è stato neppure uno sciopero che mirava a creare disagi ai cittadini, perché se disagi ci sono stati, essi sono stati limitati, in quanto le udienze e le trattazioni urgenti si sono svolte lo stesso; non è stato neanche uno sciopero contro il Parlamento, perché esso rimane sempre un interlocutore privilegiato per le argomentazioni critiche mosse al progetto di revisione costituzionale. Per giudici e pubblici ministeri lo sciopero è stato allora un mezzo estremo, al quale nella storia della nostra Repubblica hanno finora fatto ricorso solo in momenti eccezionali, quando sono stati messi in dubbio principi e valori fondamentali che interessano il mondo della giustizia e le garanzie per i cittadini. Ma lo sciopero rischia di non essere capito da tutti, prestandosi a strumentalizzazioni varie, a causa della sua lettura polisemica. Ed allora cerchiamo di capirne di più per meglio scegliere da che parte stare.

Il 16 gennaio la Camera dei deputati in tempi ristrettissimi (una sola settimana!) ha approvato in prima lettura il testo della proposta di legge governativa di riforma costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati [2], che ora si trova all'esame del Senato. Esso sottolinea che la magistratura è un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, che “è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente” e che “i magistrati si distinguono tra loro soltanto per la diversità delle funzioni”, ma introduce il principio della separazione delle carriere dei magistrati, separando i giudicanti dai requirenti, ma rinviando la relativa disciplina circa le modalità di accesso ad una successiva legge ordinaria (ci sarà un concorso unico o due diversi? Ci sarà un’unica scuola di formazione o due diverse?), e divide le attuali competenze dell’unico organo di autogoverno della magistratura, il Consiglio Superiore della Magistratura (Csm), fra tre nuovi organi: due Csm (uno per i giudici, l’altro per i pubblici ministeri), presieduti come ora dal Presidente della Repubblica, i cui componenti non saranno più eletti, ma scelti a sorteggio, ed un’Alta corte disciplinare, che giudicherà sui comportamenti tenuti dai magistrati e le cui decisioni potranno essere impugnate… soltanto dinanzi alla stessa Alta corte. Questo in due battute il succo della riforma costituzionale fortemente osteggiata dai magistrati e che richiede due diverse deliberazioni da parte di ciascuna Camera, ad intervallo non minore di tre mesi. Se la legge sarà approvata con la maggioranza di due terzi da ciascuna Camera nella seconda votazione, non si farà luogo a referendum popolare confermativo, necessario invece se la legge sarà approvata solo con la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione [3]. 

Su questa scelta dei magistrati di scendere in piazza per porre l’attenzione dell’opinione pubblica su quanto sta accadendo nelle aule parlamentari, che potrebbe incidere non poco sui diritti e le libertà dei cittadini, si sono espresse diverse posizioni critiche, orientate sia in senso positivo che negativo. 

Critici ovviamente gli avvocati, che magari partono dalle sentenze di proscioglimento pronunciate recentemente nei processi contro Matteo Renzi e Matteo Salvini per dimostrare l’uso politico dello strumento giudiziario da parte della magistratura. La Giunta dell’Unione camere penali in un suo comunicato [4] ha addirittura considerato la protesta promossa “per nascondere gli scandali e per continuare a tutelare privilegi e potere”, “errata nel merito e nei modi”. “Separare le carriere – si legge nel documento - significa infatti rendere la giustizia penale più moderna, aderente al modello processuale vigente e rendere finalmente “terzo” il giudice come vuole l’art. 111 della stessa Costituzione. Avere due Consigli Superiori uno per i Giudici ed uno per i PM significa garantire ad entrambe le magistrature, giudicante e requirente, con piena indipendenza e autonomia, ma al tempo stesso garantire i magistrati dai condizionamenti che derivano inevitabilmente dall’avere un governo comune che ne amministra le carriere e la disciplina”. “Mentre ANM tenta di mostrare questo sciopero come svolto in favore dei cittadini e a tutela della indipendenza della magistratura – prosegue la Giunta - risulta sempre più chiaro che, invece, si tratta di una iniziativa volta alla tutela di tipo corporativo di una situazione di privilegio e di potere”. Quindi per i rappresentanti dei penalisti italiani la separazione delle carriere deve essere salutata con favore perché strumento di indipendenza e libertà dei magistrati, a garanzia dei cittadini. 

Critico pure Tullio Padovani, docente di diritto penale ed accademico dei Lincei, che ha definito lo sciopero eversivo [5]. “L’art. 40 della Costituzione garantisce a tutti – come è noto – il diritto di sciopero secondo le leggi che ne regolano l’esercizio: tutti, compresi ovviamente i magistrati, che legittimamente possono astenersi dal prestare la propria opera per le più diverse rivendicazioni, al pari di qualsiasi altro lavoratore. Ma, al pari di qualsiasi altro lavoratore, non proprio per tutte le rivendicazioni”. E mentre il Parlamento sta discutendo il progetto di riforma della magistratura, ecco che “l’Anm proclama lo sciopero non certo per manifestare una contrarietà ideologica già ampiamente espressa e sostenuta, ma per contrastare attivamente l’iter della legge, ricorrendo a una tipica ‘arma’ di lotta sindacale”. Peraltro, e qui arriva l’affondo di Padovani, “i protagonisti dell’astensione esercitano la giurisdizione, e cioè una funzione sovrana, e la loro opposizione si dirige in forma attivamente ostile contro un’altra funzione sovrana, quella legislativa del Parlamento, per indurlo a cambiare rotta”, potendo questa azione eversiva integrare addirittura un’ipotesi di reato, quella prevista dall’articolo 504 del codice penale che punisce la “coazione alla pubblica autorità mediante serrata o sciopero”. I magistrati allora vanno visti come pericolosi agitatori politici, che con lo sciopero hanno provato ad orientare l’azione legittima del Parlamento. 

Ma partiamo proprio da queste ultime affermazioni per esaminarne il fondamento. È vero, diciamo noi, che i magistrati in Italia sono un po’ strani, bicefali, perché da una parte rappresentano uno dei tre poteri dello Stato democratico, quello giudiziario, ma d’altra parte sono anche dei pubblici funzionari e dei cittadini e, come tali, legittimati a criticare, protestare o scioperare contro quelle riforme legislative che toccano l’assetto dei poteri dello Stato, che possono snaturarne la struttura ed il funzionamento o minare nelle fondamenta i diritti e le libertà dei cittadini, primo fra tutti quello di avere un giudice imparziale e soggetto soltanto alla legge. La separazione delle carriere allora – temono i magistrati – potrebbe essere il grimaldello per scardinare anche la terzietà del pubblico ministero, che oggi agisce entro i confini della legge e per la ricerca della verità giudiziaria, senza intenti persecutori nei confronti di chicchessia, ma che un domani, separato dall’ex fratello giudicante, potrebbe venire assoggettato al potere esecutivo, alle indicazioni del ministro della Giustizia su quali reati perseguire e quali no. Per sottolineare quanto stiamo dicendo e dimostrare l’inutilità della separazione delle carriere tra giudici e PM basti osservare la vicenda processuale che si è recentemente conclusa con la condanna in primo grado del sottosegretario Delmastro. Mentre il pubblico ministero ha chiesto l’assoluzione, il tribunale si è invece pronunciato per la sua colpevolezza, dimostrando – come peraltro i magistrati sostengono da sempre - che PM e giudici sono liberi di decidere autonomamente, nonostante le due carriere non siano ancora separate, ed il giudice non è certo succube del PM. 

L’istituzione di tre nuovi diversi organi costituzionali (i due Csm e l’Alta corte) sarebbe un fatto estremamente dannoso, perché minerebbe la regola generale di buona amministrazione, costituzionalizzata all’articolo 97 della nostra Carta fondamentale. Il sorteggio poi dei componenti dei futuri Csm, previsto nella riforma, appare sicuramente umiliante per i magistrati, quasi a dimostrare che essi siano del tutto incapaci di scegliere liberamente da chi farsi rappresentare nel loro organo di autogoverno, senza contare che tale sistema, non del tutto democratico, verrebbe elevato a valore costituzionale, prevalente su qualsiasi altro diverso meccanismo di scelta che un domani si vorrebbe introdurre. 

In realtà dobbiamo constatare che esiste uno scarto enorme tra le ragioni ufficiali a favore della riforma e quelle reali, spesso non proprio celate. Basti pensare alle tante, a volte colorite, espressioni usate da autorevoli esponenti politici e di governo contro i magistrati, con il potere giudiziario che non deve disturbare il manovratore, il PM che non deve indagare su un politico, il giudice che non deve porsi contro il governo in materia di immigrazione o in altri settori, i magistrati che operano contro il governo e ai danni del Paese… Senza dimenticare le tante sciocchezze che si sentono in giro, che giudici e PM devono finirla di essere amici, di darsi del tu, di lavorare dentro lo stesso edificio o di prendere il caffè insieme… Quanti palazzi (e quanti bar) separati sarebbero necessari per evitare simili perniciose commistioni? 

Stando così le cose, per i fautori della riforma l’unica medicina sarebbe allora quella della separazione delle carriere. Ma in un sistema democratico moderno e liberale i poteri sono sempre tre (il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario) e non quattro (quello dei PM), perché quest’ultimo finirebbe prima o poi inevitabilmente inglobato dentro l’esecutivo. E questo non sarebbe certamente un bene. 

Note:

[1] https://www.ilsole24ore.com/art/oggi-sciopero-magistrati-contro-separazione-carriere-flash-mob-cassazione-AGWzxjAD.

[2] Atto C. 1917 di iniziativa della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e del ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

[3] Secondo molti sarà altamente probabile che la riforma venga sì approvata in Parlamento, ma sarà destinata ad essere oggetto di referendum popolare.

[4] https://www.camerepenali.it/cat/12961/lo_sciopero_indetto_da_anm_per_nascondere_gli_scandali_e_per_continuare_a_tutelare_privilegi_e_potere.html.

[5] https://www.unita.it/2025/02/27/riforma-della-giustizia-perche-lo-sciopero-dei-magistrati-e-eversivo/.

28/02/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Ciro Cardinale

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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