La linea dell’unità sindacale tra CGIL CISL e UIL

La CGIL da anni porta avanti la linea dell’unità sindacale con CISL UIL e a livello federale anche con altri sindacati minori. Si tratta di una linea corretta e cosa sta producendo questa posizione portata avanti dalle componenti più di destra del sindacato?


La linea dell’unità sindacale tra CGIL CISL e UIL

In linea di principio si potrebbe dire che la cosa più razionale sarebbe quella di avere un unico sindacato in quanto la classe dei proletari è sostanzialmente una. E seppur con delle sfumature al suo interno in linea generale l’interesse economico di fondo, cioè quello di lottare per l'aumento dei salari e la riduzione dell’orario di lavoro, corrisponde  all’interesse economico generale e unitario dell’intera classe dei lavoratori all’interno del capitalismo.  Per tanto visto che il compito principale del sindacato è quello di lottare sul piano economico e visto che nel capitalismo gli interessi economici principali sono i medesimi per tutta la classe dei lavoratori non si capisce come mai dovrebbero esistere diversi sindacati. Questo discorso generale è però tanto razionale quanto astratto cioè valido solo se si astrae dalle condizioni storicamente determinate del livello di coscienza della classe operaia o dalle peculiarità delle lotte avvenute nei singoli paesi. Infatti va da sé che una prima condizione per sviluppare l’idea del tutto razionale  dell’unità sindacale  è quella di avere un alto livello di coscienza di sé quale unica via per comprendere l’importanza di unire le forze nel proprio campo e in questo modo poter combattere adeguatamente la battaglia per l’egemonia.

In assenza di questa spinta unitaria dal basso, dalle coscienze sviluppate dei proletari, in cosa consiste l’unità sindacale operata dai dirigenti sindacali? Questo particolare caso dell’unità dall’alto, seppur parte da presupposti razionali, finisce invece per trasformare da un alto il problema dell’unità sindacale in una chimera e dall’altro, cosa ancora peggiore, un freno della stessa combattività dei lavoratori. L’unità sindacale dall’alto infatti non corrisponde all’unità degli interessi di classe, ma piuttosto alla mediazione tra gli interessi particolari dei diversi opportunismi sia quella dei singoli dirigenti sindacali che quelli della classi sociali cui realmente fanno riferimento i capi sindacali. Non dimentichiamo infatti che in una fase di scarsa coscienza e combattività la borghesia infiltra più agevolmente le stesse organizzazioni sindacali determinando la paradossale situazione che organizzazioni che dovrebbero fare gli interessi dei proletari in realtà hanno alla loro testa funzionari infiltrati dalla classe padronale. 

Non è un caso che da diversi anni persino la CGIL in nome dell’unità sindacale sta dismettendo tutti i processi democratici dal basso che dovrebbero essere la linfa vitale di un sindacato, perdendo in tal modo l’aderenza con la classe lavoratrice. Anche nei corsi di formazione di base che si svolgono nella stessa CGIL  si insegna che l’ABC della  trattativa non può che prevedere la costruzione del consenso e di una linea dal basso, in modo trasparente, aperto e partecipato seguendo un percorso, certamente faticoso ma dai risultati assicurati, di assemblee sui luoghi di lavoro.  Cioè la linea dovrebbe emergere con il dialogo dal basso e i dirigenti dovrebbero esclusivamente renderla esecutiva, questo darebbe forza al sindacato e farebbe da leva per una ripresa di coscienza e fiducia in questi corpi intermedi del tutto necessari nel capitalismo. Già con la centralità data alla concertazione tutti i processo democratici sono stati accantonati ma in più la linea portata avanti dell’unità sindacale dall’alto, puntando sui presunti vantaggi nei rapporti di forza che deriverebbero dall’unione dei dirigenti sindacali -cioè dalla concertazione e dalla mediazione con elementi di diretta espressione della borghesia-  senza alcun conflitto,  sta finendo per erodere le basi stesse del sindacato. Ogni qual volta infatti che una trattativa invece di svolgersi accumulando prima le forze dal basso avviene per vie oscure in trattative riservate dal contorno neocorporativo non può che ottenere risultati pessimi finendo in ultima istanza per allontanare gli stessi lavoratori dai sindacati.

In questo senso ogni militante cosciente dovrebbe lottare contro questa prassi e cioè attaccare costantemente tutti i dirigenti sindacali opportunisti  e adoperandosi al contrario per provvedere alla auto-convocazione delle assemblee iscritti, se necessario anche contro le indicazioni dei capi opportunisti mettendo in contraddizione tutte le scelte calate dall’alto. 

Ovviamente qui non si tratta di attaccare la CGIL in generale che nel panorama italiano ha rappresentato e rappresenta al momento l’unica opposizione di massa  al governo Meloni su tutti i fronti ma si tratta di distinguere tra base e vertice e anche comprendere l’essenza di una linea generale che declinata astrattamente può essere corretta ma applicata in modo sbagliato  può essere addirittura deleteria. 

24/05/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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