Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché segretario del partito politico Lega per Salvini premier, Matteo Salvini ha condotto una campagna mediatica contro i sindacati CGIL e UIL, e in particolare contro il primo e il suo segretario Landini, poiché non avrebbero rispettato le condizioni di garanzia per l’utenza indicendo, a suo dire, gli scioperi di venerdì per far fare ai lavoratori il “weekend lungo”. C’è da dire che tali campagne di stampa non sono un’invenzione del ministro-capo politico Salvini, ma sono state lanciate già in passato negli ultimi decenni per mettere il lavoratore dei cosiddetti servizi pubblici in sciopero contro i lavoratori utenti di tali servizi, i “cittadini”, che sarebbero vittime dell’arbitrio degli scioperanti, sostenendo di volta in volta che lo sciopero è inutile, dannoso per la collettività o realizzato per “prendersi un giorno di vacanza”. Essendo tali scioperi fatti il più delle volte per migliorare tali servizi che vivono una contrazione costante della spesa pubblica a loro destinata, e quindi, nella completa mistificazione operata sulla categoria di salario indiretto trasformata ormai in servizi al cittadino, una contrazione costante della parte di ricchezza sociale dedicata ai salari piuttosto che ai profitti.
Salvini non parla solo per se stesso, il silenzio del resto del governo su questo tema fa presagire che questa sia la posizione di tutto il governo della destra, e che Landini e il suo sindacato la CGIL, siano rei di voler esercitare un’opposizione sociale alla politica economica e alle riforme costituzionali del governo stesso. Opposizione ancora debole, ma potenzialmente pericolosa per la tenuta del governo della destra. Non a caso il ministro Salvini attacca la CGIL e auspica una nuova legge per limitare ulteriormente la possibilità di sciopero, in particolare nei servizi essenziali, settori dove lo sciopero è già limitato da due leggi: la legge 146/1990 e la legge 83/2000.
Tali servizi, considerati essenziali, sono i trasporti, la sanità, la scuola, le poste e le telecomunicazioni, la raccolta e smaltimento dei rifiuti, le dogane, l’approvvigionamento energetico e i prodotti energetici, la giustizia, i musei e i luoghi di cultura, l’assistenza e la previdenza sociale, le risorse naturali e i beni di prima necessità, compresa la gestione e manutenzione dei relativi impianti. In questi settori lo sciopero deve essere indetto con un preavviso di almeno 10 giorni, ma tale limite può essere aumentato, come prevede la legge 146, da accordi stipulati tra i sindacati e la controparte datoriale. Nella scuola tale limite è infatti superiore, ed è previsto un preavviso di 15 giorni per poter indire uno sciopero. Un’altra forte limitazione allo sciopero in questi settori è imposta dalla così detta rarefazione oggettiva, ovvero si prevede che tra uno sciopero e il successivo deve essere previsto un intervallo di tempo in cui non siano presenti agitazioni sindacali per assicurare la continuità del servizio. Tale intervallo nel caso dei trasporti è di 20 giorni.
Ulteriori limitazioni alla possibilità di sciopero in questi settori sono imposte dalla necessità di garantire comunque i servizi essenziali a un livello minimo. Ovvero i lavoratori di questi settori, in numero e secondo criteri di selezione stabiliti da accordi tra le parti, devono garantire le prestazioni indispensabili, che devono comunque essere assicurate. Nei trasporti pubblici ciò comporta la necessità di garantire le cosiddette “fasce di garanzia”, ovvero degli intervalli al mattino e alla sera in cui il servizio è comunque assicurato all’utenza, garantendo la possibilità di andare e tornare dal luogo di lavoro. Le comunicazioni per gli scioperi in questi settori sono molto stringenti e devono essere inviate per iscritto alla controparte e a una serie ampia di soggetti istituzionali, diversi da settore a settore. Infine ogni sciopero deve prevedere una procedura obbligatoria di raffreddamento dell’agitazione sindacale e di conciliazione delle controversie.
Molte delle normative previste sono demandate alle parti, quindi la possibilità che tale accordi siano più o meno favorevoli alla parte datoriale o quella sindacale dipende molto dai rapporti di forza che si sono costruiti. In caso di un mancato accordo la Commissione di Garanzia può infatti stabilire dei regolamenti che prevedano le indicazioni sugli scioperi in questi settori. Non sono mancati casi, come quello nel 2018 del trasporto pubblico locale, in cui poco tempo dopo essere stato sottoscritto un accordo tra sindacati e controparte datoriale la Commissione di Garanzia ha emanato regolamenti con limitazioni aggiuntive.
Inoltre il Prefetto o il competente ministero possono esercitare il potere della precettazione per prevenire o reprimere il conflitto tra Capitale e Lavoro. Ciò viene fatto nel nome di un interesse “collettivo” superiore dello Stato. Tale potere è antecedente al 1990, quando non erano previste limitazioni particolari al diritto di sciopero, ma le autorità potevano intervenire per motivi quali l’ordine pubblico, le calamità naturali o altre cause di disagio per la popolazione. Potere che Salvini ha già utilizzato in passato, anche in situazioni molto discutibili come a fine settembre, giustificando il provvedimento con la necessità di garantire il torneo internazionale di golf Ryder Cup tenutosi a Roma. Potere che il ministro ha minacciato e poi usato anche per limitare lo sciopero del 17 novembre, riducendo lo sciopero nei trasporti pubblici per quel giorno a 4 ore.
Il disubbidire ai provvedimenti di precettazione comporta rilevanti sanzioni, che dai provvedimenti amministrativi possono passare al penale e comportare la perdita del proprio lavoro. Il contrastare la precettazione comporta innalzare il livello di scontro con lo Stato e, solo se si costruiscono adeguati rapporti di forza, si può forzare il provvedimento. Ci sono stati casi in cui i lavoratori si sono spinti a questo livello di scontro e, tanto più lo sciopero è sentito dalla classe lavoratrice, tanto più si può violare il provvedimento di precettazione. Uno sciopero perché sia sentito richiede organizzazione e deve offrire ai lavoratori una possibilità di ottenere dei risultati, anche parziali. Riuscirà lo sciopero del 17 novembre ad aprire una nuova stagione di conflitto sociale che inverta i rapporti di forza oggi favorevoli alla coalizione della destra e alle classi sociali che essa rappresenta? Sarà l’inizio di una nuova stagione, che archivi finalmente da parte della CGIL la stagione della concertazione, o la fine di un conflitto sociale non ancora adeguato all’attacco in atto? Fra le due, noi auspichiamo la prima prospettiva.