Modello spagnolo: una contraddizione utile contro la guerra

Mentre l’UE firma il riarmo al 5% del PIL entro il 2035, il governo Sánchez si muove tra pressioni popolari, contraddizioni interne e una parziale resistenza al consenso bellicista. Un’anomalia che parla anche a noi.


Modello spagnolo: una contraddizione utile contro la guerra Credits: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a4/Pedro_S%C3%A1nchez_We_must_protect_Europe%2C_so_Europe_can_protect_its_citizens_%2846710934572%29.jpg

Si è appena concluso il vertice della Nato all’AIA ed il risultato che ne è scaturito, per la stragrande maggioranza dei popoli europei è oltremodo inquietante: 35 capi di Stato dei paesi europei hanno sottoscritto un documento congiunto in cui si stabilisce che entro il 2035 le spese militari dei paesi aderenti all’UE debbono raggiungere il 5% del PIL. E’ evidente che questa scelta è il risultato congiunto di una serie di tendenze oggettive del capitalismo europeo in crisi, o meglio del capitalismo giunto al suo stadio imperialistico per cui, non essendoci una soluzione concreta alla crisi di sovrapproduzione le istituzioni europee appaiono agire con un meccanicismo che non intravede possibilità, o altre scelte praticabili, alla logica del riarmo e della guerra. Da un punto di vista dell’analisi delle tendenze oggettive dell’imperialismo, queste scelte appaiono inevitabili; tuttavia ciò che distingue l’analisi marxista della crisi dal meccanicismo ingenuo è che nella nostra ottica le leggi non sono necessità assolute, principi incontrovertibili, ma, appunto, tendenze; leggi generali che descrivono le dinamiche del rapporto tra uomo e natura e del rapporto degli uomini tra loro; ma anche della sovrastruttura politica attraverso la quale gli uomini descrivono e si rappresentano il movimento reale della loro storia. Il sostrato invisibile nel quale queste stesse leggi prendono forma è il conflitto tra le classi che opera incessantemente nel nostro agire quotidiano e che viene sistematicamente occultato dalla rappresentazione distorta per mezzo della quale l’egemonia politica operata dal capitale la fa apparire.

Secondo la nostra analisi gli Usa e l’Unione Europea – accanto al Giappone – rappresentano I due principali poli imperialistici esistenti nel Mondo. In queste regioni – ed in particolare negli Usa, in Inghilterra, in Germania ed in Francia – il grado di accumulazione e di centralizzazione del capitale ha raggiunto livelli altissimi, tanto alti che non sono più risolvibili per mezzo delle bolle speculative  o dei prestigiosi incantesimi operati dalla finanza. Con Donald Trump i rapporti di forza e le folli dinamiche di spartizione del mondo sono giunte al loro punto limite: se si vuole mantenere il dominio esercitato dall’occidente sul resto del mondo ci si deve armare ed ognuno deve fare la sua parte in funzione delle aree di influenza. Agli USA va il medio oriente ed il pacifico, alla Germania e ai suoi vassalli l’est dell’Europa sino alla Russia: si tratta di un accordo tra fratelli nemici in competizione fra loro ma le cui classi dirigenti si guardano bene di mettere chiaramente alla luce del sole i loro interessi e di occultarli attraverso l’esistenza di nemici più o meno immaginari.

Nel nostro caso specifico dobbiamo passare dalla dinamica oggettiva (la via d’uscita del capitale europeo attraverso il riarmo e la guerra) alle dinamiche soggettive della sovrastruttura politica; ossia a come gli uomini si rappresentano e descrivono nella loro coscienza questi stessi eventi. Qui va detto che, nonostante la roboante retorica di guerra operata dai media gli uomini sono comunque esseri pensanti e se anche non capiscono le leggi generali di sviluppo del capitalismo imperialistico, si rendono conto che è disumano osservare due anni di bombardamento costante della popolazione di Gaza, comprese donne e bambini, con un cinismo raccapricciante. Inoltre, dato che  una parte consistente del capitalismo europeo non ne trae grandi benefici emerge con sempre maggiore frequenza, anche da una parte dei meida mainstream e da un numero sempre maggiore di esponenti del socialismo europeo una critica alle politiche di genocidio sempre più marcata – non foss’altro che per giustificare, almeno in parte la nefasta preparazione ideologica ad una guerra sempre più aperta verso la Russia. Nonostante queste ambiguità – presenti prevalentemente nei partiti socialisti dell’UE – una parte consistente dell’opinione pubblica europea, soprattutto in quei paesi che sarebbero più devastati socialmente dalle politiche di riarmo, esprime forti perplessità, se non inquietudine e terrore, dalla possibilità d’attuarsi di queste politiche. Non sfugge a nessuno che in paesi come L’Italia o la Spagna – ma anche la Francia – una crescita così alta delle spese militari equivarrebbe ad una perdita del potere d’acquisto dei salari di dimensioni colossali, nonchè a costi sociali in termini di tagli ai servizi sociali di dimensioni inquietanti. Se c’è un dualismo tra l’operare meccanico delle istituzioni europee e l’inquietudine delle classi sociali subalterne rispetto a queste scelte, l’elemento che fa la differenza è dato tutto dalla politica, ovvero dal modo in cui questa soggettività prende forma, ovvero come acquista visibilità.

Cosa è successo al vertice NATO? I cittadini europei hanno osservato il premier spagnolo Sanchez assumere una posizione netta contro il genocidio in Palestina, per poi dissociarsi platealmente dalla decisione degli altri leader di sottoscrivere l'aumento della spesa militare al 5%. Si tratta forse di un socialista impazzito che, discostandosi dal suo gruppo, ha scelto di unirsi alla lotta antimperialista, subendo gli attacchi di Trump?

La Spagna è uscita dalla Nato? Evidentemente no. Il punto è che il suo governo è sostenuto da una serie di forze politiche e sociali che non gli danno l’appoggio incondizionatamente, ma solo in funzione delle politiche che Sanchez porta avanti in Spagna

La coalizione del governo Sanchez è composta dal PSOE che, per le specificità spagnole, si colloca lievemente a sinistra del PD, da Sumar che fa parte dell’area di governo e che rappresenta una scissione a destra del movimento di sinistra radicale Podemos. Quest'ultimo fornisce un supporto esterno al governo, valutando le singole proposte. Nel caso dei partiti baschi e catalani il governo Sanchez ha siglato accordi politici con questi partiti (due di questi di sinistra radicale, altri semplicemente autonomisti) per cui non sono entrati nel governo ma hanno siglato degli accordi politici su alcune questioni. Il governo Sanchez ha stipulato accordi politici con i partiti baschi e catalani (due dei quali di sinistra radicale, altri semplicemente autonomisti). Questi partiti non sono entrati a far parte del governo, ma hanno siglato intese su specifiche questioni politiche.

E’ in questa specificità spagnola che si colloca la parziale autonomia del governo Sanchez rispetto a tutti gli altri governi europei. Non è il prodotto di una scelta singola ma il frutto di una serie di spinte e contraddizioni in cui si muove la società spagnola nel quadro complessivo dominato dall’imperialismo europeo. Ricordiamo, inoltre, che il vertice dell’Aia si è tenuto in un clima di mobilitazione contro il riarmo organizzato dalla piattaforma NOT REARM FOR EUROPE che, di fatto, nasce dalle formazioni di sinistra del Parlamento Europeo. E’ dentro questo percorso che si collocano anche il Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana. Si tratta di un percorso che condividiamo appieno? No. 

Dal nostro punto di vista è sempre un ragionamento che si colloca dentro i quadri di compatibilità dell’UE; tuttavia, il principio ribadito più volte da Sanchez e ripreso da Giuseppe Conte per cui non è accettabile tagliare lo Stato sociale per raggiungere il 5% del PIL in armamenti è una parola d’ordine che noi dobbiamo sostenere affinchè per le classi popolari sia per lo meno credibile l’idea di contrastare la guerra imperialistica e di portare avanti politiche, favorevoli ad una più equa redistribuzione del reddito. 

Il problema, a nostro avviso, non è quello di fissarsi sulle parole o sui singoli aspetti con cui vengono attuate certe politiche, ma di costruire intorno ad esse un conflitto sociale che renda praticabile un’alternativa concreta. Riflettere su quanto accaduto in Spagna – e, in forme diverse, anche in Francia con Mélenchon – può aiutarci a delineare una linea d’azione anche per l’Italia.

Il partito basco erede di Herri Batasuna, i catalani della sinistra indipendentista e, in parte, anche Podemos, ci mostrano che è possibile contrastare i fascismi (e in Spagna Vox e il Partido Popular sono molto simili ai nostri partiti di destra) senza necessariamente subordinarsi o prostrarsi alle politiche della socialdemocrazia europea.

Non sappiamo se questo esperimento sia destinato a durare, ma è indubbio che una parte degli antiimperialisti spagnoli, almeno per un momento, si sia sentita rappresentata dalle forze politiche che ha votato. Non si tratta di un modello da idealizzare o copiare pedissequamente in altri contesti, ma di una tendenza oggettiva da cogliere per valorizzare il nostro operato, inserirci nelle contraddizioni esistenti e portare avanti le nostre parole d’ordine. In un contesto politico e sociale in cui la classe lavoratrice è più mobilitata su questi temi, è più facile uscire dal recinto in cui le classi dominanti tentano di ricacciarci e provare ad esercitare un’egemonia culturale.

Naturalmente, tutta questa lettura politica viene accuratamente rimossa dal radar dei media mainstream, troppo impegnati a puntare il dito sui guai giudiziari di Sánchez – come se esistesse da qualche parte un governo borghese miracolosamente immune dalla corruzione. D’altronde, pretendere che colgano le particolarità di un esperimento politico fuori dai soliti binari è chiedere troppo: molto più comodo raccontare la solita telenovela scandalistica.

Ed è proprio per questo che testate alternative come questa devono esistere: per dire quello che loro non solo non dicono, ma fanno di tutto per non far capire.

04/07/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Francesco Cori

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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