L’unità dei comunisti e la ricostruzione del partito

È ragionevolmente auspicabile la costruzione di una Costituente Comunista al fine di conseguire l'obiettivo della ricomposizione dei comunisti in un unico partito?


L’unità dei comunisti e la ricostruzione del partito

L’unità dei comunisti è una delle questioni più discusse e controverse presenti nel dibattito politico del movimento comunista di ogni paese. La riduzione della frammentazione, l’unificazione dei compagni divisi in troppi partiti(ni) ed innumerevoli micro-organizzazioni, la ricomposizione della diaspora comunista, sembrano essere uno degli obiettivi più importanti e desiderati dalla maggior parte dei compagni/e. È oggi possibile immaginare una via, un percorso da intraprendere nel nostro paese per provare a raggiungere questo ormai “mitico” obiettivo? È ragionevolmente auspicabile la costruzione di una “Costituente Comunista”?

Siamo nel pieno del XX congresso del partito della Rifondazione Comunista, in cui la maggioranza uscente guidata dal segretario Paolo Ferrero si confronta con un’opposizione composta dai compagni dell’ex terzo documento e da altri critici della linea di maggioranza tra i quali l’europarlamentare Eleonora Forenza. Un congresso in cui, al centro del dibattito, ci sono le modalità con cui il PRC si confronterà con le diverse realtà della sinistra anti-liberista ed anti-capitalista del paese.

Se nel primo documento la maggioranza continua a perseguire l’idea di un’unità degli anti-liberisti, attraverso la costruzione di un “soggetto unico della sinistra” assimilabile a Syriza, verso il quale cedere sovranità ed in cui agire col sistema “una testa un voto” (nonostante gli interlocutori attuali del PRC offrano ben poche garanzie), per i compagni del secondo documento la linea auspicabile è quella di una più marcata autonomia del partito comunista, comunque collocato in un fronte sociale-politico della sinistra. Un fronte nel quale i comunisti devono necessariamente confrontarsi con altre soggettività politiche, sociali e di movimento, per la costruzione di percorsi e battaglie comuni, mantenendo però una sostanziale autonomia di azione ed analisi.

Sullo sfondo, ma in collegamento con la questione del rapporto con la sinistra anti-liberista, rimane il problema del rafforzamento del partito della rifondazione comunista, un partito mai debole come oggi, dopo anni di errori e linee politiche fallimentari, in fase di contrazione per quanto riguarda il numero di iscritti e militanti ed in difficoltà dal punto di vista dell’insediamento sociale. Un rafforzamento che per molti compagni/e non può prescindere da ragionamenti legati all’unità dei comunisti, ed alla ricostruzione di un vero e coerente partito comunista unito ed autonomo, ancorato saldamente ai principi del leninismo ma in grado di rispondere alle attuali esigenze delle classi subalterne, della classe lavoratrice, del proletariato.

Unità dei comunisti: un obiettivo importante ma difficile

Il rafforzamento non più rimandabile del PRC (che ad oggi rimane la realtà comunista più strutturata e di gran lunga più diffusa nel territorio) deve dunque essere articolato necessariamente come ragionamento sull’unità dei comunisti. Banalmente, se i militanti comunisti “sciolti nel movimento” o attivi nelle tante (troppe?) organizzazioni e micro-organizzazioni marxiste oggi esistenti, invece di agire in autonomia, quando non in contrapposizione tra loro, sviluppassero le proprie lotte in forma sinergica, attraverso la discussione dialettica in un comune intellettuale collettivo basato sul centralismo democratico, l’efficacia delle azioni di lotta del movimento comunista sarebbe certamente molto più grande, per non parlare della maggior credibilità che potrebbe avere nella classe un partito finalmente unito, rispetto a tante piccole organizzazioni in conflitto tra loro. La storia dimostra però che questa auspicabile unità è un processo molto più difficile da avviare e perseguire di quanto si possa immaginare, irto di ostacoli spesso insormontabili di natura teorica e pratica.

Condivisione dell’obiettivo strategico

Parlare di comunismo senza aver chiara la condivisione dell’obiettivo strategico da perseguire è un’evidente contraddizione, ma nei tempi bui nei quali ci troviamo ad operare, ribadire concetti che sembrano scontati non è un operazione inutile. È evidente che per parlare di unità dei comunisti non si può prescindere dalla condivisione della necessità del superamento rivoluzionario del capitalismo, della collettivizzazione dei mezzi di produzione, che nella fase socialista passa per la statalizzazione, sotto il controllo dei consigli dei lavoratori e del proletariato. Non si possono quindi confondere (come avviene nei partiti socialdemocratici) gli obiettivi tattici propri di una fase non rivoluzionaria, con quelli strategici.

Superamento delle categorie teoriche del marxismo

Tra le questioni più complesse di natura teorica che costituiscono un ostacolo all’unità, certamente c’è quella relativa alla lacerazione esistente tra diverse categorie del marxismo. In primis quella tra la tendenza c.d. “marxista-leninnista” e la tendenza c.d. “trotzkista”.

Le organizzazioni ed i compagni che afferiscono a tali categorie spesso si trovano fianco a fianco nelle lotte per il salario nelle sue diverse accezioni (con quadri militanti di grande spessore in entrambi i campi), ma la loro divisione sembra insanabile quando si parla di questioni internazionali, o di antimperialismo, o di Europa, con una vera e propria contrapposizione sull’analisi dei conflitti di Libia, Siria, Donbass, solo per citarne alcuni. Un argomento di tali sconfinate proporzioni non può esser certo affrontato con una breve riflessione, ma è evidente che ad ottant’anni di distanza dal conflitto tra maggioranza e minoranza del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, in una situazione di terribile arretramento delle condizioni del proletariato, con particolare riferimento a quello d’occidente, un ragionamento su come superare, almeno parzialmente, una lacerazione tanto profonda andrebbe avviato, con la consapevolezza che un possibile passo avanti potrebbe esser fatto solo attraverso un confronto lungo ed approfondito, un’analisi scientifica scevra da dogmatismi e posizioni precostituite, un atteggiamento “laico” e la predisposizione ad uno studio attento e contestualizzato della storia, basato su fonti assolutamente certe, non inquinate dagli interessi imperialistici della propaganda occidentale.

È ovvio, però, che l’avvio di un percorso per l’unità dei comunisti non può esser vincolato alla risoluzione di questo annoso problema teorico e storico, che come già scritto non può che prevedere tempi lunghi di studio e pratiche di lotta comuni, per potersi anche solo avvicinare al risultato sperato.

Gli elementi fondamentali su cui basare una possibile unità: i rapporti col centrosinistra e con la sinistra non-comunista, l’Europa, le lotte

L’attuale parcellizzazione delle organizzazioni comuniste è dovuta, nella maggior parte dei casi, a divergenze di linea per quanto riguarda la tattica politica e le alleanze. Per questo motivo, uno degli elementi dirimenti per poter iniziare a ragionare sull’unità dei comunisti è quello dell’autonomia dei marxisti e dei rapporti con la “sinistra” non comunista. È evidente, alla luce degli errori del passato e della natura filo-padronale ormai accertata del PD, che nessun percorso di unità può essere fatto se non si considera definitivamente superato l’orizzonte del centrosinistra. Qualsiasi ambiguità in merito a rapporti politici ed elettorali ad ogni livello col PD ed i suoi alleati ed interlocutori, ovvero con formazioni politiche che hanno nel PSE il soggetto internazionale e nella borghesia la classe di riferimento, è un ostacolo insormontabile per qualsiasi ragionamento sull’unificazione. D’altronde, anche un ragionamento legato a possibili strette organizzative con soggetti di sinistra non comunista come Sinistra Italiana rappresenta un ostacolo insormontabile. I comunisti, in questa fase storica, devono necessariamente coordinarsi con altre forze di sinistra, politiche, sociali e di movimento, per opporsi all’avanzamento della borghesia, nell’ottica del fronte unico antiliberista, ma pur partecipando a lotte comuni su punti specifici con tali organizzazioni, non si può in alcun modo cedere sul piano dell’autonomia di analisi ed organizzazione marxista.

Un altro elemento derimente per interloquire sul tema dell’unità è la questione dell’Europa. Prendere atto dell’irriformabilità dell’UE, anche alla luce del percorso fallimentare fatto da Syriza e dal suo segretario, il primo ministro della repubblica ellenica Alexīs Tsipras, naufragato di fronte all’arroganza dei dirigenti di UE e BCE è oggi un elemento determinante per avviare percorsi comuni di unificazione. Si può ovviamente ragionare sulla necessità di sostenere in questa fase un percorso di lotta interna all’UE, basato sul rifiuto del debito e dei trattati, fatto assieme ad altre formazioni del GUE, per rendere evidenti le contraddizioni e la natura filo-padronale dell’unione, ma non si può prescindere dall’obiettivo dell’uscita dall’Euro e dall’UE di fronte al ricatto dei burocrati di Bruxelles. Parimenti, non ci possono essere ambiguità in merito al rifiuto della NATO e delle politiche imperialiste ad essa collegate (aggressioni alla Siria ed al Donbass, rapporti con Israele, ingerenze nelle politiche dell’America latina, ecc)

Infine, un elemento fondamentale su cui avviare un possibile percorso di unità è la questione del rapporto con la classe e con i movimenti in lotta, in primis quello dei lavoratori; ragionamento nel quale rientra a pieno titolo la questione del rapporto col sindacato e della necessaria costruzione dei consigli dei lavoratori per contrastarne le burocrazie. È evidente che oggi il rapporto con la classe sia uno dei principali problemi da risolvere. I comunisti sono stati per troppo tempo in posizione di retroguardia nell’organizzazione delle lotte e per troppo tempo si è ritenuto che il ruolo possibile dei partiti comunisti e di sinistra fosse quello di rappresentare elettoralmente chi praticava il conflitto, non di esserne avanguardia. È invece proprio nelle lotte che è possibile e necessario costruire l’unità, è nelle lotte che è possibile formare i quadri di un futuro partito della classe lavoratrice!

La costruzione dell’unità dal basso, il confronto tra le strutture esistenti e la Costituente Comunista

Ripartire dalle lotte sembra in effetti la soluzione migliore per provare a costruire l’unità dei comunisti ed è nelle lotte che dovranno quindi crescere le nostre avanguardie, i quadri del futuro partito comunista. Ma l’unità nelle lotte non può che esser praticata attraverso la loro elaborazione ed organizzazione in uno spazio di confronto costituito da un fronte unico anticapitalista, ancorato ad un programma minimo di fase, nel quale far confluire i comunisti e gli anticapitalisti ovunque collocati. Sono gli obiettivi comuni legati al programma minimo il possibile collante e ciò che può permettere ai compagni di sperimentare l’efficacia dell’unità nella lotta. È nella lotta a riforme come il Jobs act, la buona scuola, la legge Fornero, che si può costruire l’unità; è nella lotta per il sistema elettorale proporzionale puro e per la modifica dell’art.81 della Costituzione, è nel fermo contrasto alle privatizzazioni, nella difesa del territorio, nella lotta per i contratti collettivi nazionali di lavoro e soprattutto in quelle per la riduzione dell’orario di lavoro e per la difesa del salario nelle sue tre accezioni (diretto, indiretto, differito).

In sostanza, alle operazioni “dall’alto” caratterizzate da “fusioni politiciste a freddo” (sperimentate con la stessa nascita del PRC) è necessario sostituire dei percorsi di lotta comune dal basso, che abbiano come protagonisti il corpo militante comunista ovunque collocato.

Ma quale può essere il ruolo auspicabile delle organizzazioni e dei partiti comunisti attuali in questo percorso di riorganizzazione? Si è spesso parlato degli errori e dei limiti delle dirigenze che guidano le organizzazioni esistenti, dell’autoreferenzialità che spesso caratterizza tali burocrazie, degli scivolamenti a destra utili a cercare di riconquistare poltrone perdute o di atteggiamenti settari necessari solo al proprio automantenimento. E troppo spesso tali dirigenze sono uno specchio della propria base militante, formata da compagne e compagni generosi ma inclini a favorire il mantenimento dello status quo nel proprio partito più che a pungolare dal basso dirigenze e segreterie per arrivare ad un necessario cambiamento e “salto in avanti”.

Per tutte queste ragioni, durante l’attuale congresso del PRC, in alcuni circoli della minoranza romana e successivamente nel congresso di federazione è stato proposto il seguente contributo al dibattito:

“Il PRC, nell'ottica di un rafforzamento dell'organizzazione e nel tentativo di ridurre la parcellizzazione dei comunisti, si impegna ad avviare percorsi per favorire il dialogo ed il confronto con le altre organizzazioni marxiste e con i compagni ovunque collocati che costituiscono la diaspora comunista, al fine di conseguire l'obiettivo della ricomposizione dei comunisti in un unico partito” [1].

È questo, ovviamente, un tentativo di “smuovere le acque”, di contrastare i pericolosi progetti di unità della sinistra indistinta proposti dalla maggioranza favorendo l’unità dei comunisti a partire dal dialogo tra strutture marxiste, ma anche e necessariamente con i compagni ovunque collocati della cosiddetta diaspora (la maggior parte dei quali non hanno oggi tessere di partito, ma sono attivi nei movimenti). Un’unità che come già scritto deve passare per la costruzione del conflitto sociale anticapitalista in un comune fronte di lotta, in modo da sperimentare nella pratica la propria affinità politica.

L’obiettivo finale naturalmente è quello di arrivare ad un appuntamento Costituente, per la costruzione del Partito Comunista, un partito che oggi servirebbe terribilmente alla classe proletaria ma che ancora non c’è. Il percorso è lungo ed irto di ostacoli. Agire dentro e fuori ai partiti marxisti esistenti al fine di avviare un percorso comune per l’unità dei comunisti è una soluzione obbligata e la stampa comunista, a partire da “La città Futura” non può che essere al servizio di questi tentativi.

Facciamo il primo passo ed entriamo in contatto.

Chi non lotta ha già perso.


Note:

[1] Emendamento integrativo sull'unità dei comunisti X Congresso di Rifondazione Comunista proposto come integrazione al Paragrafo 10, prima della parte che inizia da “Rifondazione comunista è diventata, da Chianciano in poi,...”

18/03/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Roberto Villani

Lavoratori autoconvocati della scuola

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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