Il rebus talebano

Ora i talebani non sono certamente per sé, ossia coscientemente una forza antimperialista, quanto piuttosto una formazione decisamente reazionaria, ma lo sono stati in sé, ovvero al di là della loro consapevolezza, in quanto hanno di fatto egemonizzato la lunga lotta popolare per l’emancipazione nazionale degli afghani.


Il rebus talebano

 

Il Marx della maturità ha sostenuto con forza tutte le lotte anticolonialiste, anche quanto erano condotte da forze decisamente non rivoluzionarie. Al punto che arriva a scrivere, nell’articolo The Indian Revolt scritto per il giornale Tribune, “c’è qualcosa nella storia umana di simile a un meccanismo punitivo; ed è una legge del contrappasso storico che questo strumento sia forgiato non dagli offesi, ma da coloro che offendono. Il primo colpo inferto al monarca francese fu scagliato dalla nobiltà, non dai contadini. La rivolta indiana non è cominciata dai Ryots, torturati, disonorati e fatti denudare dagli inglesi, ma dai Sepoys, ben vestiti, nutriti, accuditi, viziati e coccolati”. Tanto che considerò l’insurrezione dei Sepoys “come il nuovo spettro che si aggirava per l’Europa, che avrebbe potuto causare una serie di crisi e aprire le porte a una nuova offensiva dei lavoratori. «L’India adesso è il nostro miglior alleato», scrisse Marx a Engels con entusiasmo”. Dal punto di vista di Lenin occorre sostenere ogni lotta per il diritto dei popoli all’autodeterminazione, a meno che tale lotta non sia di impedimento alla rivoluzione socialista.

Ora i talebani non sono certamente per sé, ossia coscientemente una forza antimperialista, quanto piuttosto una formazione decisamente reazionaria, ma lo sono stati in sé, ovvero al di là della loro consapevolezza, in quanto hanno di fatto egemonizzato la lunga lotta popolare per l’emancipazione nazionale degli afghani. È quindi evidente che i marxisti non potevano parteggiare con le potenze imperialiste che occupavano il paese, né con i governi collaborazionisti da loro imposti quando tentavano invano di contrastare le forze che si battevano per il diritto degli afghani all’autodeterminazione, sebbene tali forze fossero oggettivamente e altrettanto disgraziatamente egemonizzate dai reazionari talebani. È difficile naturalmente per dei progressisti dover ammettere questo dato di fatto, poiché non si può essere in nessun modo soddisfatti che la lotta antimperialista sia stata egemonizzata da forze inequivocabilmente oscurantiste. Tanto più che un dirigente dell’unico partito democratico e laico afghano ha sostenuto che il ritiro degli Stati Uniti e dei loro alleati è stato funzionale a riconsegnare il paese alla reazione talebana, per avere così la scusa per una nuova occupazione militare del paese. Naturalmente questa tesi appare volutamente provocatoria, ma contiene anche un elemento di verità. In altri termini, volendosi ritirare dall’Afghanistan, per concentrare meglio le proprie truppe contro la Repubblica popolare cinese e in secondo luogo contro la Russia, per le potenze imperialiste l’opzione di un governo autoctono egemonizzato dai talebani potrebbe essere una opzione meno peggiore di molte altre.

In effetti, non solo gli Stati Uniti stanno spostando la loro aggressività contro la Cina, da cui dipendono sempre più dal punto di vista economico, ma sono stati costretti al ritiro in quanto la prolungata e infruttuosa occupazione di Iraq e Afghanistan è divenuta sempre più impopolare. Tanto che la promessa del ritiro delle truppe era stata decisiva per la vittoria di Obama contro il candidato repubblicano McChain che era decisamente contrario. Al punto che Trump non ha potuto che farla sua per vincere la sfida con la decisamente più interventista Hillary Clinton e anche Biden ha dovuto seguire il copione predisposto dal suo predecessore, che a sua volta lo aveva ereditato da Obama.

Dunque, dovendosi necessariamente ritirare, la conquista del potere da parte talebana – certo non così rapida e assoluta – comporta dei decisi vantaggi per gli Stati Uniti. In primo luogo crea un ulteriore problema ai paesi confinanti antimperialisti, come la Cina, l’Iran e la stessa Russia attraverso le repubbliche centro-asiatiche ex sovietiche. Inoltre l’oscurantismo dei talebani fa passare decisamente in secondo piano i crimini perpetuati dall’occupazione imperialista. Per cui le parole, in un altro contesto, decisamente più facilmente condivisibili del governo cinese – che giustamente chiede che gli invasori statunitensi siano chiamati a rispondere degli enormi crimini perpetrati in venti anni di occupazione – sembrano destinate a cadere nel vuoto. Dal momento che l’accusa che più viene rivolta agli Stati Uniti, anche da parte della sinistra egemonizzata dal pensiero dominante, è di aver tradito gli afghani ritirandosi dal paese. Come se la ventennale occupazione militare avesse consentito bene o male l’affermazione nel paese di diritti umani, di liberalismo, democrazia e della stessa emancipazione della donna, ora a rischio dopo il ritiro degli imperialisti. Tanto che parte significativa dell’opinione pubblica progressista europea si è bevuta subito la pretesa di aprire corridoi umanitari per mettere in salvo civili, donne, bambini e tutto coloro che sarebbero minacciati dai talebani; pretesa che, come sappiamo bene, è da sempre stata utilizzata come scusa per poter intervenire, anche militarmente, violando la sovranità nazionale di uno Stato straniero. Peraltro questa è la parola d’ordine dell’imperialismo europeo, sempre più in difficoltà rispetto al ruolo di poliziotto buono che pretenderebbe di interpretare, dal momento che ha colto la palla al balzo per scaricare sui soli Stati Uniti il fallimento dell’intera alleanza atlantica.

Altrettanto ipocrita è chi pretende di rilanciare l’interventismo “democratico” lanciando l’allarme contro la possibilità che l’Afghanistan divenga un narco Stato, come se non lo fosse già diventato proprio durante l’occupazione imperialista, che ha favorito un aumento esponenziale della produzione di eroina, che ha letteralmente inondato il mercato mondiale. Non a caso il giornalista statunitense Mumia Abu-Jamal aveva denunciato subito prima della guerra che uno dei principali motivi dell’intervento e dell’occupazione statunitense dell’Afghanistan era proprio impedire ai talebani di condurre a termine la loro lotta contro la produzione dell’oppio.

Inoltre le potenze imperialiste stanno facendo di tutto affinché la “società civile” afghana, la sua classe dirigente e dominante, ovvero la parte più istruita e i lavoratori più specializzati chiedano asilo nei paesi imperialisti. In tal modo, si intende lasciare l’Afghanistan senza i tecnici necessari per rimettere in moto un’economia da anni drogata dagli “aiuti umanitari” delle potenze imperialiste. Se si conta che tutte le riserve all’estero dello Stato afghano sono state bloccate, insieme a tutti i previsti e promessi aiuti, è estremamente probabile che i  talebani finiscano per dover continuare a convivere con la sempre più diffusa coltivazione di oppio, come è già avvenuto durante la lotta all’occupazione, in cui non era stato possibile continuare il loro contrasto alla produzione di stupefacenti, dovendo imporre anche ai produttori di oppio il pagamento di una tassa necessaria a finanziare la lotta di liberazione.

Così mentre i progressisti dei paesi a capitalismo avanzato si sono ancora una volta fatti convincere dalla bufala dell’intervento umanitario, in realtà i paesi ex occupanti stanno cercando di portarsi via tutti i più significativi e validi professionisti del paese, costringendo i talebani a fare ancora una volta la parte dei cattivi, ruolo che certamente gli si addice e che sanno interpretare – per il loro patente oscurantismo – meglio di molti altri.

In tal modo, puntando ancora una volta tutti i fari dei grandi mezzi di comunicazione – sotto il loro controllo – sull’emergenza umanitaria, i paesi imperialisti impediscono una reale comprensione di quanto sta avvenendo grazie alla conoscenza della storia che, non a caso, Marx ed Engels definivano l’unica reale scienza, di cui tutte le altre non erano che partizioni. Si tende, in effetti, a far dimenticare che la reazione e l’oscurantismo oggi di nuovo al potere in Afghanistan è stato – come di consueto – favorito, storicamente, proprio dagli Stati Uniti e dai loro più fedeli alleati. Tale incondizionato appoggio a quei terroristi islamici – che l’ideologia dominante armava e sosteneva in ogni modo spacciandoli come combattenti per la libertà – era funzionale a favorire la controrivoluzione più violenta, per impedire che la riforma agraria e l’eccezionale sviluppo dell’emancipazione femminile garantita dai comunisti, che avevano conquistato il potere, sconfiggesse l’oscurantismo e il blocco reazionario. In effetti, il governo rivoluzionario marxista-leninista “fece distribuire le terre a 20.000 contadini, abrogò l'ushur (ovvero la decima dovuta ai latifondisti dai braccianti) e bandì l'usura, regolò i prezzi dei beni primari, statalizzò i servizi sociali garantendoli a tutti, diede il riconoscimento al diritto di voto alle donne, legalizzò i sindacati, vietò i matrimoni forzati e lo scambio di bambine a scopo economico, sostituì leggi tradizionali e religiose con altre laiche, mise al bando i tribunali tribali e rese pubblica a tutti l'istruzione, anche alle bambine che in precedenza non potevano andare a scuola. Queste riforme si scontrarono fortemente con le autorità religiose locali e tribali”.

Naturalmente, come al solito, le forze controrivoluzionarie nazionali e internazionali hanno finito per avere pieno successo grazie ai gravi errori compiuti dalle forze rivoluzionarie. Queste ultime hanno innanzitutto compiuto l’imperdonabile errore di dividersi e di combattersi in modo fratricida, persino fra le due frazioni in cui si era diviso il partito marxista-leninista, che aveva conquistato il potere. In un primo momento prevalse la fazione di sinistra che, ragionando astrattamente, ha ritenuto di poter imporre dall’alto, per decreto, ai contadini – per ragioni storiche estremamente arretrati – la collettivizzazione delle terre, finendo così per perdere il sostegno delle grandi masse del paese che si erano conquistati grazie alla radicale riforma agraria che aveva, inizialmente, redistribuito le terre alle masse di contadini poveri.

In tal modo si sono trovati con un paese spaccato in due, dove i colti abitanti delle città – quando non erano parte della classe dominante e dirigente espropriata del potere e dei propri privilegi – appoggiava convintamente le forze comuniste, mentre le arretrate masse agricole finivano per cadere nell’inganno dei fondamentalisti islamici, fortemente foraggiati da Stati Uniti, Turchia, Arabia Saudita, Pakistan.

Così la folle guerra fratricida fra sinistra e destra del partito marxista-leninista ha spaccato le avanguardie comuniste che – naturalmente – erano una minoranza, favorendo così, involontariamente, il blocco della reazione finanziato, armato e sostenuto ideologicamente dall’imperialismo e dai suoi alleati islamisti e oscurantisti. Così i talebani, conquistata Kabul nel 1986, procedettero all’esecuzione di Najibullah, ultimo presidente comunista del paese, che fu trovato vicino gli uffici dell’Onu. “Fu il primo atto simbolico dei talebani a Kabul. Fu un omicidio premeditato: i talebani arrivarono all'alloggio di Najibullah intorno all'una di notte, tramortirono lui e il fratello, li caricarono su una camionetta portandoli nel palazzo presidenziale oscurato. Qui evirarono Najibullah e gli misero i genitali in bocca, lo legarono dietro una jeep trascinandolo per varie volte intorno al palazzo, poi lo finirono con una pallottola. Suo fratello venne torturato allo stesso modo e poi strangolato. I due cadaveri vennero appesi a una garitta di cemento davanti al palazzo a pochi isolati dal complesso dell'ONU”.

Siamo così giunti da una situazione estremamente avanzata, in cui a contendersi il potere nel paese, alla fine degli anni settanta, erano i comunisti di sinistra e i comunisti più gradualisti, al disastro totale attuale in cui gli afghani sembrano costretti a dover scegliere fra la peste dell’occupazione imperialista e il colera delle forze oscurantiste e reazionarie islamiste. Con la sinistra ridotta ai minimi termini e incapace di offrire una reale e credibile alternativa a delle masse popolari sempre più private – dall’ideologia dominante e tradizionalista – di quel barlume di coscienza di classe che aveva acquisito fra l’inizio degli anni settanta e la metà degli anni ottanta.

03/09/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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