Libia, il caos come approdo voluto dalle forze imperialiste

Quello della Libia costituisce con ogni evidenza un esempio di grande successo di institution-destroying (distruzione di istituzioni), avviato con fredda e cinica consapevolezza da alcuni governi occidentali. In particolare è risultato di centrale evidenza il ruolo del governo francese, capeggiato all’epoca da Sarkozy


Libia, il caos come approdo voluto dalle forze imperialiste

 

Non bisogna perdere di vista il carattere globale della guerra scatenata contro il regime di Gheddafi, preferendo il caos distruttivo della lotta di tutti contro tutti ad un regime autoritario che manteneva comunque un profilo antimperialista intorno a cui poteva crescere un protagonismo autonomo del continente africano. Per le classi dominanti occidentali è molto meglio il Califfo Al Baghdadi con la sua truppa mercenaria spolverata di islamismo radicale; e l'ISIS è molto più in sintonia con il pensiero neoliberista delle pur fallimentari esperienze dei regimi arabi.

di Fabio Marcelli

Quello della Libia costituisce con ogni evidenza un esempio di grande successo di institution-destroying (distruzione di istituzioni), avviato con fredda e cinica consapevolezza da alcuni governi occidentali. In particolare è risultato di centrale evidenza il ruolo del governo francese, capeggiato all’epoca da Sarkozy, che agiva sia per bilanciare la perdita del caposaldo costituito dal dittatore tunisino Ben Alì (estromesso dalla rivoluzione popolare di gennaio 2011) che per rompere le uova nel paniere ad alcuni “alleati”, specie l’Italia, fin dal 1959 stabilmente insediati con profitto nel petrolio libico grazie all’ENI e all’azione dei vari governi, dapprima democristiani e da ultimo berlusconiani o di centrosinistra.

Non bisogna tuttavia perdere di vista la dimensione globale della guerra contro Gheddafi e il suo regime. Da questo punto di vista essa rientra a pieno nella controffensiva strategica scatenata dai vecchi centri del potere occidentale contro le realtà emergenti dei cosiddetti BRICS, con i quali stava per saldarsi l’iniziativa del colonnello che da tempo aspirava a un nuovo ruolo dell’Africa e aveva investito ingenti risorse a vantaggio del continente in un’ottica di acquisizione di autonomia. 

Un altro aspetto di questa controffensiva, in Africa, è stato costituito dalla guerra in Costa d’Avorio contro Gbagbo e il suo progetto di Banca africana. Insomma, i gruppi di potere capitalistici vogliono evitare con ogni energia che si crei in Africa qualcosa di analogo all’attuale primavera latinoamericana. Molto meglio i banditi fondamentalisti, si chiamino essi Boko Haram (Nigeria), Shabab (Somalia) o appunto Ansar Al Sharia (Libia). Ciò spiega come, dopo qualche iniziale titubanza, anche Obama e la NATO tutta si siano allineati a francesi e britannici, con il chiaro intento di portare la guerra alle estreme conseguenze con l’eliminazione fisica di Gheddafi.

E’ innegabile, in questo senso, il carattere antimperialista del regime gheddafiano, anche se si possono nutrire fortissime riserve sul suo carattere autoritario e dittatoriale e sulle violazioni dei diritti umani perpetrate in un’ottica non sufficientemente attenta alle necessità di un’unità nazionale peraltro difficilissima da conseguire in un territorio, come quello libico, sostanzialmente privo di tradizioni nazionali vere e proprie. Con ciò, sia ben chiaro, non si vogliono certamente avallare le farneticazioni di Napolitano sulla presunta assenza di statualità della Libia che avrebbe a suo dire addirittura reso lecita l’aggressione.  E’ in effetti indubbio che, come riconosciuto oggi anche da molti giovani che a suo tempo presero parte all’insurrezione antigheddafiana, si trattava di uno Stato in grado di offrire prestazioni sul piano sociale superiori al resto dell’Africa e del mondo arabo. 

Un altro insegnamento che si può ricavare facilmente dall’esperienza libica è quello relativo all’impossibilità di controllare le forze fondamentaliste una volta scatenate. Esempio vivente (ora non più) di tale insegnamento ben può essere indicato nella persona del diplomatico statunitense che funse dapprima da loro riferimento per poi finirne ammazzato a Bengasi.

Ulteriore insegnamento riguarda poi la strumentalizzazione del ruolo delle Nazioni Unite. Lo snaturamento della risoluzione del Consiglio di sicurezza che permetteva l’uso della forza limitatamente alla protezione dei civili ha reso possibile i bombardamenti indiscriminati delle forze NATO che hanno liquidato la forza militare di Gheddafi. Insegnamento che Russia e Cina hanno saputo trarre, tanto è vero che non si sono ovviamente prestate ad analoga manovra per quanto riguarda la Siria.

La situazione attuale in Libia è quello di un caos totale con la frammentazione in vari gruppi e sottogruppi, in sostanza la guerra di tutti contro tutti. Né si vede davvero come se ne potrà venire a capo, a parte le ridicole smargiassate di Gentiloni, Pinotti e Alfano. Occorrerebbe un paziente lavoro di ritessitura basato sull'intelligence, la cui rete sembra, per quanto riguarda l'Italia, ancora relativamente efficiente, per individuare le forze che possano fungere da promotrici del recupero della sovranità e unità nazionale libica, tenendo però ben presente che le forze imperialiste non sono per nulla interessate a tale recupero e si muovono tutto sommato meglio nell'attuale caos, nonostante esso produca danni anche economici, oltre che umani e sociali, molto ingenti. 

Occorre quindi promuovere l’intelligence e la diplomazia dal basso per ricreare uno spazio di relazioni democratiche e paritarie con le forze libiche non assoggettate alla logica fondamentalista. Per le classi dominanti occidentali, del resto, molto meglio il Califfo Al Baghdadi con la sua truppa mercenaria spolverata di islamismo radicale che un Gheddafi o un Assad. Paradossalmente, come dimostrato da Zizek, l'ISIS è molto più in sintonia con il pensiero neoliberista di quanto non lo siano le pur fallimentari esperienze dei regimi arabi. Per la sinistra ciò comporta la necessità di una riflessione profonda sulle realtà del sottosviluppo e la prospettiva rivoluzionaria, che va compiuta valorizzando esperienze fondamentali di resistenza vittoriosa al fondamentalismo, come quella di Kobane e della Rojava.

28/02/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Fabio Marcelli

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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