La politica “militarista e nazionalista” del regime fascista, in quanto trova la sua giustificazione ideologica nella mancanza di materie prime, è considerata da Antonio Gramsci non ancora “imperialista, che è grado più sviluppato dello stesso processo” [1]. Tanto più che essa appare dettata da ragioni di politica interna, ovvero dalla inadeguatezza della classe dominante e dalla corruzione della classe dirigente, più che da ragioni di politica estera. Appare allora naturale “domandarsi se le materie prime esistenti sono bene sfruttate, perché altrimenti non si tratta di politica nazionale (cioè di una intera classe) ma di una oligarchia parassitaria e privilegiata, cioè non si tratta di politica estera, ma di politica interna di corruzione e di deperimento delle forze nazionali” (6, 100: 775).
Inoltre, l’imperialismo militaristico propagandato dal regime fascista non solo non ha una giustificazione strutturale, ma è anche in contrasto con “tutte le tradizioni italiane, romane prima, cattoliche poi” (19, 5: 1988) che sono di natura cosmopolitica. Dunque, l’ideologia imperialista del regime mussoliniano è in evidente contrasto con la storia nazionale. Come osserva a tal proposito Gramsci: “il moto politico che condusse all’unificazione nazionale e alla formazione dello Stato italiano deve necessariamente sboccare nel nazionalismo e nell’imperialismo militaristico? Si può sostenere che questo sbocco è anacronistico e antistorico (cioè artificioso e di non lungo respiro)” (ivi: 1987). Del resto, osserva ancora acutamente Gramsci: “che il moto politico dovesse reagire contro le tradizioni e dar luogo a un nazionalismo da intellettuali può essere spiegato, ma non si tratta di una reazione organico-popolare” (ivi: 1988). A ulteriore dimostrazione dello spirito antipopolare del fascismo e della mancanza negli intellettuali tradizionale di un qualsiasi sentire comune con il loro stesso popolo, a ennesima conferma della loro attitudine tendenzialmente cosmopolita, nel senso più deteriore del termine.
L’ideologia imperialista del fascismo ha la propria origine nel preteso primato culturale degli italiani che appare a Gramsci anacronistico, dal momento che il mondo moderno è “talmente unificato nella sua struttura economico-sociale” (13, 26. 1618), che ogni monopolio culturale di un paese è destinato a non durare. Al punto che Gramsci si domanda se nell’epoca del mercato mondiale sia “ancora possibile, nel mondo moderno, l’egemonia culturale di una nazione sulle altre?” (ibidem).
Del resto, come mostra Gramsci, la pretesa del nazionalismo fascista di rafforzare la capacità egemonica italiana all’estero sanando il conflitto fra Stato e Chiesa mediante il concordato è in realtà solo apparente, in quanto tanto più la Chiesa si presenta all’estero come italiana, tanto più la sua influenza è combattuta dagli stati nazionali che gli consentono di agire solo a costo di mantenere il suo tradizionale cosmopolitismo. Come appare esemplarmente nel caso della diffusione dell’italiano a Malta. Come fa notare acutamente Gramsci: “la difesa della lingua e della cultura italiana a Malta […] è stata resa più difficile dall’esistenza del Concordato. Finché lo Stato italiano era in conflitto con la Chiesa, l’esistenza di una italianità organizzata a Malta (come in molti altri paesi del mondo) non rappresentava un pericolo per gli Stati egemonici: essa difficilmente poteva svilupparsi nella sfera nazionale e politica; rimaneva nella sfera del folclore e delle culture dialettali. Col Concordato, la quistione è cambiata: la Chiesa, amministrata da italiani e rappresentata localmente da italiani, non più in conflitto con lo Stato, in realtà si confonde con lo Stato italiano e non più col ricordo folcloristico della cosmopoli cattolica. Ecco dunque che il Concordato, invece di facilitare un’espansione di cultura italiana, la rende più difficile non solo, ma ha creato la situazione per una lotta contro i nuclei di italianità tradizionali (8, 106: 1003-004).
Dunque, come sottolinea Gramsci, “nel mondo moderno un imperialismo culturale e spirituale è utopistico: solo la forza politica, fondata sull’espansione economica, può essere la base per un’espansione culturale” (8, 106: 1004). Detto altrimenti, nel mondo moderno l’imperialismo è vincente solo sulla base di un predominio “economico-finanziario” e non su basi meramente ideologiche in quanto, nota Gramsci, “un paese, se può avere «cronologicamente» l’iniziativa di una innovazione, non ne può però conservare il «monopolio politico» e quindi servirsi di tale monopolio come base di egemonia? Quale significato quindi può avere oggi il nazionalismo? Non è esso possibile come «imperialismo» economico-finanziario ma non più come «primato» civile o egemonia politico-intellettuale?” (13, 26: 1618). Tanto più che in caso di contrasti d’interessi fra potenze imperialiste le ragioni ideologiche hanno un peso relativo, esse si risolvono essenzialmente in quanto “quistioni di forza” (6, 60: 728). Dunque, per limitarci a un caso esemplare, il predomino dell’imperialismo statunitense si fonda su meri rapporti di forza: “la «visibilità», la possibilità di calcolare tutto il potenziale navale, fa nascere le quistioni di prestigio, cioè trova la sua massima espressione nella flotta di guerra, quindi le lotte per la parità tra due potenze. Esempio classico: Inghilterra e Stati Uniti. In ultima analisi la base della flotta, come di tutto l’apparato militare è posta nella potenzialità produttiva e in quella finanziaria dei vari paesi, ma le quistioni vengono poste su basi «razionalistiche». L’Inghilterra mette in vista la sua posizione insulare e la necessità vitale per lei di mantenere permanentemente i collegamenti con i domini per l’approvvigionamento della sua popolazione, mentre l’America è un continente che basta a se stesso, ha due oceani uniti dal canale di Panama ecc. Ma perché uno Stato dovrebbe rinunziare alle sue superiorità strategiche geografiche, se queste gli danno condizioni favorevoli per l’egemonia mondiale? Perché l’Inghilterra dovrebbe avere una certa egemonia su una serie di paesi, basata su certe sue tradizionali condizioni favorevoli di superiorità, se gli Stati Uniti possono essere superiori all’Inghilterra ed assorbirla con tutto l’Impero, se possibile? Non c’è nessuna «razionalità» in queste cose, ma solo” rapporti di forza.
Allo stesso modo, l’egemonia ideologica è possibile solo su di una salda base economica, come dimostra l’”espansione a carattere imperialistico ed egemonico” (12, 1: 1524) della cultura francese è avvenuta in modo organico nel corso del XIX secolo grazie allo sviluppo industriale conseguente alla conquista del potere politico da parte della borghesia. Tale sviluppo organico della cultura attraverso l’imperialismo francese è “quindi ben diversa da quella italiana, a carattere immigratorio personale e disgregato, che non refluisce sulla base nazionale per potenziarla” (ivi: 1524-25). Perciò, la preparazione, talvolta notevole, degli intellettuali non ha potuto essere posta al servizio dell’affermazione dell’egemonia italiana, in quanto la situazione d’arretratezza economica e politica non ha permesso un loro impiego efficiente in patria. Essi hanno finito per cercare impiego individualmente all’estero contribuendo “a rendere impossibile il costituirsi di una salda base nazionale” (ivi: 1525).
In realtà dietro alle “tendenze monopolistiche di carattere nazionalistico e repressivo”, che si affermano in epoca fascista nella forma del protezionismo culturale, dietro “i piani grandiosi di egemonia non ci si accorge di essere oggetto di egemonie straniere; così come, mentre si fanno piani imperialistici, in realtà si è oggetto di altri imperialismi” (23, 75: 2253). Per cui l’esaltazione da parte degli intellettuali di regime del primato culturale degli italiani serve solo a “non sentire il peso dell’egemonia da cui si dipende e si è oppressi” (ibidem), ovvero si esalta “il proprio imperialismo per non far sentire quello a cui si è soggetti di fatto” (6, 38: 713): la Germania nazista.
In conclusione, Gramsci ritiene che l’“imperialismo straccione italiano” dell’epoca fascista aveva una funzione essenzialmente ideologica, paragonabile a quello degli oppiacei che consentono di evadere, momentaneamente, dall’assoggettamento reale che si subisce. Più in generale, anche durante l’ultra nazionalista regime fascista il popolo italiano è in realtà “subordinato all’egemonia intellettuale e morale” (23, 75: 2253) di un altro popolo. Tale stridente paradosso con la tanto propagandata autarchia dipende oltre che dall’arretratezza sul piano economico, da un distacco fra intellettuali e popolo per cui, ad esempio, il pubblico non sente come propria la letteratura così detta nazionale e va, dunque, a ricercare “la «sua» letteratura all’estero” (ibidem). Ne conclude Gramsci che “in questo fatto è posto un problema di vita nazionale essenziale” (ibidem).
Note:
[1] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1977, p. 775. D’ora in poi citeremo quest’opera fra parentesi tonde direttamente nel testo, indicando il quaderno, il paragrafo e il numero di pagina di questa edizione.