Osservazioni sui primi due libri dell’Emilio di Jean Jacques Rousseau

Un’opera datata ma che ci dice ancora molto su come armonizzare teoria ed esperienza nella progressione nello sviluppo della persona e sulla lotta alle concezioni dominanti che incarnano un freno regressivo al progresso umano.


Osservazioni sui primi due libri dell’Emilio di Jean Jacques Rousseau

In questo trattato sull’educazione Jean Jacques Rousseau affronta il tema dello sviluppo della natura umana: un’opera scientifica, rigorosa, multiforme divenuta immortale proprio per la sua struttura logica di fondo, tendente sempre a legare le scelte educative alla riflessione storica e filosofica sulla società e sull’uomo.

Egli ripercorre le tappe fondamentali dello sviluppo della persona raggruppandole in cinque periodi durante i quali il pedagogo segue lo sviluppo del fanciullo adeguando i propri metodi e insegnamenti: “dai zero ai due anni dove prevale lo sviluppo del corpo, dai tre ai dodici anni dove è importante aiutare il fanciullo nello sviluppo dei sensi, dai tredici ai sedici l’intelletto, da diciassette ai diciannove il ragionamento e la sensibilità e poi, a vent’anni, il senso morale” [1].

L’obiettivo di Rousseau è quello di creare un Uomo che abbia costruito, pezzetto dopo pezzetto, i propri “concetti” attraverso l’esperienza personale, facendo attenzione che questi “concetti” non siano invece, come accade in una educazione non accorta, il mero, rapido, accumularsi e sedimentarsi di quelle dannose concezioni che in ogni epoca risultano dominanti ma che al tempo stesso ne sono il segno decadente.

Specie nei primi anni di vita, Rousseau tiene quanto più possibile il fanciullo al riparo da queste forze negative che operano nella società sotto forma di vizio e pregiudizio e che tendono a plasmare nuovi uomini sulla base delle vecchie “relazioni”, tanto più che la mente di un bambino così piccolo è come una cera calda, ossia facilmente plasmabile e altrettanto facilmente imprimibile. Pertanto, in questa fase, il buon pedagogo predilige la natura alla società come maestra di vita.

Non si tratta di una natura in senso estremo ovviamente, non si tratta di lasciare il bambino al proprio destino e sperare che se la cavi da solo – anche se in molti tratti del trattato Rousseau eccede, forse, in questa direzione ingannando il lettore superficiale – o “ritornare a camminare a quattro zampe” – come sosteneva Voltaire facendosi beffa dei principi pedagogici esposti in questo trattato. Si tratta invece di una “natura contemporanea” cioè della natura dell’uomo che ha fatto proprie tutte le conoscenze del mondo a tal punto da riuscire a spiegarle ad un bambino senza l’ausilio di dotte lezioni bensì con astuti esercizi che ne stimolino la creatività, che non rigetta le conquiste della scienza ma che le inserisce in un graduale processo di apprendimento. Il fanciullo non apprende la gravità terrestre o i principi della fisica in un laboratorio ma con l’esperienza della natura mediata dal suo interesse e tanto più forte è l’interesse quanto meno il fanciullo sente l’imposizione esterna di un maestro.

Dai primi due libri di questo trattato emergono con forza alcuni concetti fondamentali dell’opera.

L’attesa inattiva cioè la costruzione dell’opera di sviluppo non mediante la continua imposizione di ordini ma mediante la continua “osservazione” e il continuo intervento per liberare il fanciullo dai pericoli che lo circondano in modo che egli possa fare l’esperienza in libertà. Si badi bene che ciò non implica un rilassamento del pedagogo bensì un impegno ancora più forte che consiste in una presenza costante ma inattiva dove quest’ultima caratteristica non deve essere intesa nel senso dell’inoperosità ma, al contrario, è da intendersi proprio come una operosità costante che fa ampio uso dell’osservazione e che avviene nell’ombra, cioè che non interrompe l’esperienza del fanciullo ma ne favorisce la libertà, eliminando ostacoli e pericoli senza cedere alla logica – questa sì inoperosa e inattiva – del comando e dell’ordine. L’inattività è intesa dunque nel senso di essere inattivi se l’attività consiste nei metodi irrazionali del pensiero dominante che preferisce impartire frustranti comandi di non facere standosene comodamente “seduti in poltrona” anziché consentire la libera espressione dell’iniziativa del fanciullo rimuovendo solamente i possibili pericoli, giacché in ogni caso egli non comprenderebbe il senso della limitazione impostagli e non ne potrebbe dedurre alcun insegnamento, all’infuori del sentirsi insicuro nel seguire il proprio intuito temendo il rimprovero.

Spirito e corpo. Secondo Rousseau tali elementi sono fortemente legati e lo sviluppo sano del corpo tende a sviluppare bene lo spirito, l’uno è la base dell’altro. Afferma Rousseau nel secondo libro: “Man mano che l’essere sensitivo diviene attivo acquista una capacità intellettuale proporzionata alle sue forze; ed è proprio in virtù della forza eccedente quella necessaria alla conservazione che si sviluppa in lui la facoltà speculativa atta ad impiegare questo sovrappiù di energia per altri usi”.

Arriviamo ad un altro pilastro della esposizione del grande pensatore francese e cioè la progressione nello sviluppo, intesa come il legame dialettico che sussiste tra lo sviluppo della coscienza e lo sviluppo dell’attività sensibile cioè di quella esperienza pratica che il fanciullo può condurre con le proprie forze. La teoria intesa come lo sviluppo della coscienza e la formazione di quei “concetti” di cui si accennava prima, sono in rapporto con l’esperienza pratica e nulla è più rischioso di introdurre o avviare un fanciullo ad apprendere concetti tanto più complessi dell’esperienza che egli può realmente fare. J-J. Rousseau insiste molto nel condannare l’insegnamento di un linguaggio complesso prima che determinati concetti espressi con determinate parole si siano già aperti un varco nella mente del bambino. Un insegnamento precoce, cioè inadatto ad essere compreso dal bambino, produce sostanzialmente una visione distorta e falsa della realtà andando a costituire la base per lo sviluppo dei vizi difficile poi da estirpare.

In conclusione, io non sono uno studioso di pedagogia e sono spinto a queste letture sostanzialmente dal desiderio di educare al meglio mia figlia di appena un anno, e per questo le mie sono poco più che riflessioni grezze intorno all’argomento, ma trovo i principi espressi nei primi due libri del trattato di Rousseau molto interessanti ed istruttivi. Credo che, lasciando qui da parte alcuni punti di partenza storici che Rousseau assume e che inevitabilmente sono cambiati rispetto alla situazione attuale, l’opera possa essere generalizzata, o meglio possiamo generalizzare due macro-principii: rapporto teoria-esperienza e progressione nello sviluppo e lotta alle concezioni dominanti. Credo infatti che in ogni epoca storica l’uomo sviluppi la necessità di lottare contro le concezioni dominanti che tendono al ristagno del pensiero se non al regresso, per aprirsi ad una nuova visione del mondo di liberarsi delle vecchie catene per accrescere la propria coscienza senza “saltare i passaggi”. L’Uomo, nella sua formazione, ha sempre dinanzi a sé una realtà “sfuggente”, egli cioè tende a classificare l’esperienza valida per un determinato periodo. Tale classificazione dà i suoi frutti ma appena le cose sembrano filare per il verso giusto la realtà sfugge nuovamente alla classificazione sinora operata e che sembrava acquisita, aprendo il varco ad un nuova crisi che richiede a sua volta una nuova classificazione. Facendo un esempio banale, la televisione per un bambino di un anno può apparire come una “cosa” misteriosa e luminosa che attira interesse per l’insieme di suoni e colori; egli trova interessante il telecomando perché esercita attraverso di esso la padronanza sull’oggetto, così come vede fare agli adulti. Ad una età più avanzata il medesimo oggetto diviene attraente perché interagisce sul piano della fantasia (negativamente o positivamente) ossia il fanciullo è maggiormente attratto dal fatto che la televisione incarni un racconta-storie colorato e sempre disponibile che, per i genitori, sopperisce alla necessità di dare risposte all’esperienza sociale del fanciullo; ad un’età ancora superiore si possono aggiungere, in modo sempre via via più complesso, l’accostamento al televisore del concetto di dispositivo elettronico, di oggetto di arredo o di strumento per l’egemonia delle classi dominanti (se si è formato il concetto di egemonia sociale) ecc.

Trovo inoltre interessante accostare i principi pedagogici, espressi in questo trattato, anche allo sviluppo della coscienza dei gruppi sociali. Se per un verso è vero che il pedagogo, cioè il partito cosciente, è il solo in grado di dare una direzione consapevole perché “vede lontano”, per un altro verso tale direzione non può avvenire mediante una fredda esposizione di principi astratti e incomprensibili, cioè che non tengono conto dello stato di reale coscienza del gruppo, ma piuttosto mediante l’esperienza e tale esperienza si sviluppa per gradi partendo dalle condizioni reali.

 

Note:

[1] Introduzione all’Emilio di Francois e Pierre Richard.

29/10/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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