La strada non obbligata che portò alla guerra dei 6 giorni in Palestina

Dopo la crisi di Suez, nel 1964 nacquero l'OLP e Fatah, con l’obiettivo di liberare la Palestina tramite la lotta armata. Le crescenti tensioni e i raid israeliani, come quello di Samù nel 1966, portarono all’escalation che culminò nella Guerra dei Sei Giorni del 1967


La strada non obbligata che portò alla guerra dei 6 giorni in Palestina Credits: Questa immagine è stata scattata dalle Israel Defense Forces ed è rilasciata con licenza Creative Commons dall'unità portavoce delle I.D.F.

Gli anni che seguirono la crisi di Suez furono anni di scarsa attività militare e le infiltrazioni palestinesi furono molto limitate fino ai primi anni 60 quando nel 1964 fu fondata l'olp per input perlopiù egiziano. L'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) fu fondata il 28 maggio 1964 a Gerusalemme, durante una riunione di 422 personalità palestinesi, su iniziativa della Lega Araba. L'obiettivo principale dell'OLP era la "liberazione della Palestina" attraverso la lotta armata. L’iniziale Statuto dell'OLP dichiarava che la Palestina all'interno dei confini del mandato britannico era una singola unità regionale e combatteva l'esistenza e l'attività del sionismo. Capo dell'olp fu nominato il siriano palestinese Ahmad Shukeiri avvocato e diplomatico moderato.

Contemporaneamente nacque in quello stesso periodo Al-Fatah, noto anche come Fatah, fu costituito nel 1959 nel Kuwait da un gruppo di palestinesi, tra cui Yasser Arafat e Salah  Khalaf. Il nome "Fatah" deriva dall'acronimo inverso di "Harakat al-Taḥrīr al-Filasṭīnī" (Movimento di Liberazione Palestinese)3. Al-Fatah divenne rapidamente una delle principali forze di resistenza palestinese e nel 1965 iniziò la guerriglia contro Israele. Dopo la guerra dei sei giorni del 1967, Al-Fatah assumerà un ruolo dominante all'interno dell'OLP3.

L'OLP e Al-Fatah erano necessariamente legati, Al-Fatah rappresentava una delle principali componenti dell'OLP. Entrambe le organizzazioni condividevano l'obiettivo di liberare la Palestina e svolgevano un ruolo cruciale nella politica palestinese e nella lotta contro Israele.

Al-Fatah il 1 gennaio 1965 si distinse per quella che fu la prima coerente azione militare dei gruppi palestinesi organizzati. Durante questa operazione, un gruppo di guerriglieri palestinesi fece esplodere una sezione della rete idrica nazionale israeliana vicino al villaggio di Aylaboun, causando danni significativi. Questo attacco segnò l'inizio delle operazioni di guerriglia di Fatah contro Israele e portò alla morte del primo militante del gruppo, Ahmad Muhammad Musa, noto come. L'operazione rappresento il momento cruciale della storia di Fatah.  I palestinesi dimostrarono di avere capacità militari e condurre attacchi contro obiettivi israeliani. La notorietà  e La fama di Fatah Ehi sia crebbe quando nel corso influenza nella lotta palestinese per la liberazione del 1965, gruppi palestinesi, sotto il nome Fatah, intensificarono le loro attività di guerriglia. Gli attacchi erano  condotti da piccoli gruppi di combattenti che infiltravano il confine per colpire obiettivi militari e civili israeliani. Le operazioni includevano sabotaggi di infrastrutture, come linee ferroviarie e impianti di irrigazione.

Le ritorsioni israeliane contro questi attacchi furono estremamente violente ma quella che più di tutte è passata alla storia come la più violenta e spietata rappresaglia israeliana e la operazione Shredder del 13 novembre 1966. Il Raid fu una risposta agli attacchi palestinesi, in particolare un attacco avvenuto vicino al confine della Striscia di Gaza con l’uso di mine che aveva ucciso tre soldati israeliani. Il villaggio di Samù si trovava nella Cisgiordania sotto amministrazione del regno hashemita. Circa 400 soldati israeliani, supportati da 40 mezzi corazzati e 10 carri armati penetrarono nel territorio giordano, l'obiettivo era colpire le infrastrutture palestinesi e i gruppi di guerriglia che operavano dalla Cisgiordania. L'operazione, come spesso accadenelle operazioni israeliane causò la distruzione di numerose case di civili e la morte di 16 palestinesi non armati. 54 palestinesi furono feriti e 15 veicoli furono distrutti. Il Raid di Samù aumentò la crescente ostilità tra Israele e la Giordania, cosa che porterà alla Guerra dei Sei Giorni nel 1967. La risposta internazionale fu la  condanna dell'operazione da parte delle Nazioni Unite, con  la Risoluzione 228, che condannava Israele per la violazione della Carta delle Nazioni Unite e dell'Accordo di Armistizio Generale.

Questo però non fermò Israele che il 7 Aprile 1967 fece un'altra operazione militare, stavolta lungo il confine siriano delle alture del golan iniziando una penetrazione che dimostrerà come Israele allora come adesso considera di sua pertinenza il nord le dello Stato quasi fino a Damasco. Il 7 aprile 1967, Israele lanciò un'operazione militare su larga scala contro le basi militari siriane. Aerei da guerra israeliani Mirage abbatterono sei MiG siriani durante una scaramuccia sul confine meridionale della Siria, uno dei quali precipitò proprio nella capitale Damasco. Nel 1967, le tensioni tra Israele e i suoi vicini arabi, in particolare Siria e Egitto, erano molto alte. La Siria aveva firmato un trattato di mutua difesa con l'Egitto, e entrambi i paesi stavano mobilitando truppe lungo i confini con Israele.

I giorni che portarono alla guerra dei sei giorni.

Il 15 maggio 1967 Israele celebrò l'anniversario della sua Fondazione con un'enorme parata militare a Gerusalemme come provocazione verso l'Onu che continuava a ribadire che la capitale dello Stato ebraico fosse Tel Aviv. Contemporaneamente Al Cairo una sfilata di carri armati di produzione sovietica t 55 e 62 passava per il centro di della città. Mentre il capo di Stato maggiore egiziano era a Damasco confermando la promessa di Nasser di difendere La Siria dagli attacchi israeliani che si facevano sempre più incessanti. La Siria nel contempo respingeva le accuse israeliane di lasciare mano libera ai guerriglieri di Fatah sostenendo che ciò non fosse vero. La sfilata di carri al Cairo non impressionò Israele, come non impressionò né la Giordania né la Siria che si sentivano insicure di fronte ad Israele, malgrado avessero la protezione egiziana.

Il 18 maggio l'ambasciatore della R.A.U. (Egitto più Siria) presentava formalmente la richiesta al segretario generale dell’ONU U-Thant di ritirare le forze dell’ONU dal Sinai, U-Thant acconsentì.

Il 19 maggio il rapido ritiro delle forze Onu dal Sinai costrinse le forze Delle Nazioni unite a chiedere adi Israele di poter dislocare nel territorio israeliano. Il ministro della Difesa israeliano rifiutò seccamente le forze Onu dovettero rapidamente evacuare tutta la zona della Palestina. Il capo dell’OLP Shukeiri pose sotto il comando egiziano le poche truppe che aveva nel Sinai. Israele ne fu immediatamente informata e cominciò ah prepararsi per un eventuale attacco in direzione sud.

Nella notte tra il 22 e il 23 maggio, Nasser decise di chiudere la navigazione del Golfo di Aqaba alle navi israeliane. Tale decisione fu presa dal rais egiziano perché egli appariva troppo malleabile a coloro che, nel campo arabo, volevano combattere una guerra contro Israele. Sembra strano, ma Nasser era convinto che Israele non avrebbe mai attaccato. Negli Stati Uniti, Robert Kennedy cercava in ogni modo di non far precipitare la situazione e convinse l'associazione ebraico-statunitense a finanziare una eventuale forza di pace navale che avrebbe dovuto aprire gli stretti alla navigazione israeliana.

Il 27 maggio, il ministro degli Esteri israeliano Abba Eban, che era stato tutto il tempo a New York tra i membri della comunità ebraica statunitense, rientrò in Israele convinto che gli stretti si sarebbero aperti. Trovò però nel suo paese una situazione ben diversa da come l'aveva lasciata. Tutta la dirigenza israeliana non aspettava altro che avere luce verde dagli Stati Uniti per attaccare gli arabi a sorpresa.

Nei paesi arabi, la situazione invece era ben diversa. I politici erano quasi certi che Israele non avrebbe attaccato. Nasser discusse a lungo telefonicamente con re Hussein di Giordania e lo rassicurò che tutto sarebbe andato bene (il Mossad intercettò la chiamata). Re Hussein si lasciò convincere e non mise in preallarme la legione araba. Invece, i militari, soprattutto quelli egiziani, vedevano chiaramente il pericolo e premevano su Nasser perché desse l'ordine di mobilitazione generale. A Mosca, la dirigenza sovietica, grazie ai rapporti riservati dell'intelligence russa, vedeva imminente il pericolo di una guerra. I sovietici allora tentarono un intervento diplomatico congiunto con gli Stati Uniti.

Il 24 e il 25 maggio, Nasser cedette alle pressioni dei generali e fece avanzare nel Sinai la quarta divisione corazzata. A Tel Aviv, i militari fremono per l'attacco. In il governo si scatena una campagna anti-pacifista nella società israeliana, che si sente assediata come in un ghetto.

Il 28 maggio, il Consiglio dei ministri israeliano ascolta la relazione di Abba Eban, che garantisce la formazione di una flotta dell'ONU che aprirà gli stretti. Il consiglio giudica la relazione di Abba Eban deludente e procede al voto, che si conclude con un risultato di 9 a favore dell'attacco preventivo e 9 ancora disposti ad aspettare le decisioni dell'ONU. Levi Eskol e il Mapai hanno votato per la guerra, ma le rinnovate pressioni di Mosca e Washington lo spingono a non scatenare l’attacco.

Al Cairo, Nasser è assediato dai militari, che con il maresciallo Amer e i più giovani ufficiali superiori premono per l’attacco. Anche Nasser subisce delle pressioni da parte di Johnson e Kosygin, che gli consigliano la calma. Nasser si fida sia degli americani che dei russi.

Il 29 maggio, Nasser, stretto tra le contrastanti pressioni, pronuncia un discorso pubblico in cui mescola dichiarazioni bellicose a dichiarazioni concilianti, arrivando a sostenere che l'Egitto sarebbe pronto a riprendere i colloqui con Israele sulla base delle risoluzioni dell'ONU del 1947 e del 1950.

In Israele vengono pubblicate parti del discorso di Nasser, ma con malafede solo quelle in cui il rais egiziano parla di guerra. Re Hussein di Giordania che inizialmente si era mostrato pacifista e neutralista, ma ora è passato nel campo dei militaristi. Pensa che gli Stati arabi vinceranno la guerra e quindi non vuole essere fuori dal campo dei futuri vincitori.

La mattina del 30 maggio, re Hussein, con il primo ministro e il capo di stato maggiore, arriva con un aereo al Cairo e prende accordi per la imminente guerra, ritorna ad Amman portando con sé il capo dell’OLP, Shukeiri, e facendogli riaprire a Gerusalemme Est la delegazione che lo stesso Hussein gli aveva chiuso anni prima.

Il 31 maggio, l’Iraq invia un contingente armato di truppe in Giordania a sostegno di una eventuale guerra. Anche Algeria e Marocco si dichiarano disponibili a inviare contingenti armati. Nasser era sempre più convinto che Israele non avrebbe attaccato. Per questo motivo, pensò di minacciare Israele per costringerla a venire al tavolo delle negoziazioni. In Israele, si compie l'ultimo passo verso la guerra: Moshe Dayan preme con forza e alla fine ottiene il ministero della Difesa. Egli avrà adesso il pieno controllo della macchina bellica israeliana. Dayan sa che il suo carisma militare gli assicura l’adesione totale della società israeliana.

Il 4 giugno, però, il governo siriano, avvisato dalle guardie di frontiera del Golan che lo informano dell'ammassamento sempre più grande di corazzati israeliani lungo la frontiera, cerca di sfilarsi e avverte il Cairo che non parteciperà a nessun attacco contro Israele. Hussein, convinto che la vittoria sia certa, diventa sempre più ostile verso la Siria. I sovietici cercano in ogni modo di calmare gli animi e pensano che gli Stati Uniti stiano facendo lo stesso. Sul comportamento degli Stati Uniti, più avanti parleremo della doppia posizione del presidente americano Lyndon Johnson, chiarendo l’affare della nave spia americana Lyberty. Nasser, a questo punto, è deciso a non attaccare e ha creduto alle rassicurazioni americane che gli hanno garantito che Israele non attaccherà. L'inviato speciale americano per il Medio Oriente, Charles Yost, convince Nasser che Washington organizzerà un incontro di pace negli Stati Uniti. È interessante notare che alti generali statunitensi credono alla buona fede di Yost e pensano che Israele non attaccherà.

In Israele, la stampa e il governo eccitano la paura e il desiderio di vittoria del popolo, che ignaro di tutto quello che succede fuori dal paese, ora vuole la guerra. Nasser è sempre più convinto che Israele sia disposto alla pace, malgrado i militari egiziani lo mettano in guardia ogni giorno. Tutto è pronto: il 5 giugno 1967, alle 07:00 ora di Tel Aviv, l'aviazione israeliana decolla e distrugge a terra quella egiziana e siriana. È iniziata la Guerra dei Sei Giorni.

(1 continua)

Bibliografia:

Van Creveld M., Storia dell’esercito israeliano, Carocci, Roma 2004;

Gowers A., Walker T., Yasser  Arafat e la rivoluzione palestinese, Gamberetti, Roma 1994;

Sirrs, Owen L.. The Egyptian Intelligence Service: A History of the Mukhabarat, 1910-2009;

Hart A., Sionismo, il vero nemico degli ebrei, vol. I, e vol. II Zambon, 2010;



Sitografia:

https://www.geopolisonline.it/history-future/il-primo-campanello-dallarme-lincidente-di-samu/

https://best5.it/post/giorni-cambiato-infiammato-medio-oriente-nel-1967/

https://masterx.iulm.it/approfondimenti/57-anni-dalla-guerra-dei-sei-giorni-il-conflitto-che-cambio-il-medioriente/




24/01/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Orazio Di Mauro

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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