Il giovane Lukács: estetica e filosofia della storia

Scopo di questo scritto è far emergere gli elementi di continuità nel corso dello sviluppo del pensiero di Lukács, utilizzando come filo conduttore e criterio interpretativo la svolta marxista, che consentirà di illuminare retrospettivamente il percorso della precedente riflessione


Il giovane Lukács: estetica e filosofia della storia Credits: https://www.ka-news.de/kultur/regional/Literarische-Gesellschaft-praesentiert-die-Heidelberger-AEsthetik-von-Georg-Lukacs;art136,397141

Senso di estraneità al conformismo alto-borghese della propria famiglia e disprezzo per la soffocante atmosfera sociale e culturale dell’Ungheria del tempo – ancora provincia dell’Impero asburgico – sono i sentimenti che orientano i primi interessi culturali di György Lukács e imprimono la direzione di marcia al suo precoce sviluppo intellettuale. Ancora adolescente, Lukács trova un primo “naturale” sbocco alle proprie inquietudini aderendo all’associazione studentesca promossa da Ervin Szabó, esponente di primo piano del sindacalismo rivoluzionario ungherese. Il primo incontro con l’opera di Karl Marx avviene, dunque, all’insegna dell’attivismo soreliano, in aperto dissidio con il meccanicismo positivistico divenuto egemone anche all’interno della Seconda Internazionale. Tale dissidio, per quanto diversamente motivato, sarà un tratto costante e caratteristico del futuro marxismo di Lukács.

A partire dal 1904 il giovane Lukács partecipa da protagonista al movimento teatrale Thalìa, il cui intento principale consisteva nello svecchiamento della cultura drammaturgica ungherese mediante la rappresentazione itinerante delle opere dei grandi drammaturghi moderni, in primis Henrik Ibsen, August Strindberg e Gerhart Hauptmann. Questa esperienza – ostracizzata dalla censura, che riuscì a interrompere l’iniziativa dopo quattro anni di intensa attività – è stata molto significativa per l’iter intellettuale del giovane Lukács. In primo luogo, il suo fallimento rafforzerà in Lukács l’ostilità nei confronti dell'impermeabilità ai nuovi stimoli culturali della società ungherese rendendolo, al contempo, consapevole della “impossibilità di una rivoluzione nel suo Paese. In secondo luogo, a contatto con le concrete problematiche delle rappresentazioni teatrali, Lukács ha avuto modo di approfondire la questione dell’incidenza dell’arte e della letteratura nella società moderna e – avvertendo con ciò l’esigenza di una fondazione teorica dell’esperienza estetica – è entrato per la prima volta in contatto con la grande cultura europea e, in primis, con la filosofia classica tedesca.

Evento decisivo nella formazione del giovane Lukács è stata la lettura della raccolta poetica Nuovi versi, pubblicata nel 1906 dal poeta ungherese Endre Ady. La traccia indelebile lasciata da Ady nella sua formazione culturale è sottolineata da Lukács ancora nella sua ultima intervista: “le poesie di Endre Ady ebbero su di me un effetto assolutamente sconvolgente e, per dirlo alla grossa, erano la prima opera della letteratura ungherese in cui mi sentissi a casa mia e in cui mi riconoscessi. [...] So che mi rendo colpevole di anacronismo citando una più tarda poesia di Ady, ma in lui fin dall’inizio è presente quello stato d’animo dell’‘io non mi lascio comandare’, dell’‘Ugocsa non coronat’, che per me ha sempre fatto da musica di accompagnamento per la Fenomenologia e la Logica di Hegel” [1]. In questa tarda dichiarazione di Lukács si può cogliere la presenza delle due componenti fondamentali della sua formazione culturale successiva. In primo luogo l’eredità culturale ungherese – che si identifica quasi esclusivamente con il poeta rivoluzionario “senza rivoluzione” Ady – e si configura, agli occhi di Lukács, come un modello di comportamento che, nel momento in cui esclude qualsiasi compromesso con una realtà storica degradata, si protende verso larealizzazione della personalità ovvero anela a una totalità etica che si contrapponga a un esistente considerato irredimibile. La seconda componente della formazione di Lukács è costituita non solo da Hegel e dall’idealismo richiamati nell’intervista, ma più in generale dalla grande cultura tedesca dell’epoca, con la quale Lukács si confronta direttamente a Berlino alla scuola di Georg Simmel, sin dal 1906.

In tal modo, ad esempio, i contenuti dello Storicismo tedesco e del Vitalismo entrano a far parte dell'universo spirituale del giovane Lukács, sostanziando e integrando l’anticapitalismo romantico a sfondo sociale del modello Ady con la questione della contrapposizione fra Cultura e Civilizzazione, introdotta da Ferdinand Tönnies, e con la problematica della crisi della stessa Cultura, desunta dalla sociologia di Simmel. D’altra parte, come vedremo, già il giovane Lukács non farà del tutto proprie le conseguenze irrazionaliste insite nella filosofia della vita, mentre saranno la dimensione storico-sociologica delle produzioni culturali e il tema marxiano dell’alienazione e dell’estraneazione, per quanto filtrati dal pensiero di Simmel, che andranno a costituire l’aspetto più significativo delle sue riflessioni giovanili. Inizia così a emergere la complessa articolazione interna della prima formazione culturale di Lukács. In primo luogo, la grande cultura tedesca del tempo gli offre gli strumenti teorici e metodologici per la comprensione della propria epoca e della sua crisi sociale e culturale, ponendolo nella condizione di affrontare i nodi teorici relativi all’incidenza storica e sociale e al valore in sé della produzione artistica e letteraria. In secondo luogo, il modello offerto da Ady, con il suo appassionato dover essere morale, lo mette in guardia rispetto al relativismo gnoseologico e morale soggiacente alla Filosofia della vita.

Lukács, rimanendo fedele alla tensione morale desunta da Ady, si opporrà da subito al principio psicologistico del Vitalismo di Wilhelm Dilthey, nel quale l’adesione immediata del soggetto al flusso vitale provoca il suo appiattimento sulla realtà esistente, la sua conciliazione con essa e l’assolutizzazione del dato di fatto presente. Ciò vale anche per Simmel, la cui ideologia ci presenta un soggetto disarmato di fronte all’esistente, trascinato da un’esperienza particolare all’altra, sempre soggiogato dall’impressione superficiale del momento e incapace di opporre qualcosa di saldo e universale all’insensato fluire della vita, dell’esistenza.

In tal modo la cultura alto borghese del primo Novecento, che denuncia la crisi in cui si dibatte la società e l’uomo occidentale – dopo l’ubriacatura positivistica – si rivela anch’essa affetta dai mali cui intenderebbe porre rimedio. Sotto questo aspetto il giovane Lukács – il quale di tale cultura ha subito il fascino e la tensione ideale – contribuisce a far maturare la coscienza della scissione, della lacerazione del soggetto moderno, attraverso una ricerca sofferta e incessante volta alla ricomposizione di individuo e mondo, di vita e significato, di singolo e società. Da ciò deriva l’elaborazione da parte del giovane Lukács di un concetto di cultura non semplicemente circoscritto alla sfera delle espressioni “alte” dello spirito, ovvero l’arte e la filosofia. Fin d’ora Lukács ha inseguito un ideale di cultura che riuscisse a inglobare le manifestazioni della vita e a dare forma ai suoi elementi caotici, ricostituendo una totalità dotata di un senso unitario. Coglie bene tale aspetto l’allievo di Lukács, György Márkus: “sin dagli inizi del suo sviluppo di pensatore, il problema della cultura ha significato per Lukács la possibilità di una vita libera dall’estraneazione. Ma dietro questo problema si cela sempre la diagnosi appassionata dell’ostilità alla cultura – della ‘crisi’ della cultura – della moderna vita borghese; e il deciso rifiuto della vita borghese. [...] Tutto il periodo ‘pre-marxista’ di Lukács è una lotta ininterrotta per arrivare a una esatta diagnosi concettuale di queste contraddizioni, di questa ‘crisi’, e poter quindi individuare con la teoria le vie per uscirne o quanto meno le norme del corretto comportamento umano per affrontarla” [2].

Note:

[1] György Lukács, Pensiero vissuto. Autobiografia in forma di dialogo [1980], traduz. e prefaz. a cura di A. Scarponi, Roma, Editori Riuniti 1983, pp. 45-6.
[2] György Márkus, L’anima e la vita; in AA.VV., La scuola di Budapest: sul giovane Lukács, traduz. di E. Franchetti, Firenze, La Nuova Italia 1978, p. 82.

11/07/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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