Lenin vs il cosmopolitismo

Proseguendo nella disamina della critica di Lenin ai sette peccati capitali del riformismo di destra e dell’opportunismo di sinistra, passiamo alla disamina critica del cosmopolitismo


Lenin vs il cosmopolitismo Credits: https://www.storiauniversale.it/4-IL-PASSAGGIO-ALL-OPPOSIZIONE-DI-LENIN-NEGLI-ANNI-20.htm

In reazione al socialimperialismo sorge, come denuncia Vladimir I. U. Lenin, una tendenza opposta ma speculare, propria dell’opportunismo di sinistra – rinvenibile, ad esempio, in Rosa Luxemburg – che, in nome dell’internazionalismo proletario, avversa ogni movimento nazionale. Al contrario, a parere di Lenin, “il principale compito pratico del proletariato” nelle nazioni coloniali e imperialiste “consiste nell’agitazione e nella propaganda quotidiana contro ogni privilegio politico e nazionale, per il diritto, per l’uguale diritto di tutte le nazioni a costituirsi in uno Stato nazionale” [1]. Nel programma del Partito rivoluzionario deve, dunque, essere sancita la soluzione più libera e democratica dell’autodecisione delle nazioni, mediante il diritto alla separazione accordato a ogni popolo.

Rispondendo alla posizione opportunista che obietta ai marxisti di combattere una battaglia di retroguardia – dal momento che lo stesso sviluppo del capitalismo porterebbe al superamento degli Stati nazionali – Lenin ribatte mostrando che l’autodeterminazione delle nazioni è indispensabile all’internazionalismo, quanto la dittatura del proletariato lo è al superamento di ogni dittatura di classe. Allo stesso modo i comunisti in paesi pre-capitalisti o fascisti si battono per la repubblica democratica, sebbene siano coscienti che, come non manca di sottolineare Lenin, “sotto il capitalismo, la repubblica più democratica conduce soltanto alla corruzione dei funzionari da parte della borghesia e alla alleanza tra la Borsa e il governo” [2]. Dunque, secondo Lenin, i comunisti si battono per il diritto all’autodeterminazione dei popoli non perché siano per la separazione dei lavoratori in Stati nazionali, ma perché la reale unità internazionale non può che essere una “fusione libera, volontaria, non coattiva” [3]. Solo favorendo la liberazione dei popoli oppressi dal dominio coloniale e imperialista, sostiene Lenin. sarà possibile conquistare un piano di eguaglianza formale indispensabile per raggiungere la reale unità del proletariato mondiale nella lotta al capitalismo. Inoltre, osserva a ragione Lenin, “quanto più integrale è la parità giuridica delle nazioni (ed essa è incompleta senza libertà di separazione), tanto più risulta chiaro per gli operai della nazione oppressa che il male è nel capitalismo” [4] e non nell’oppressione nazionale. Infine, l’autodeterminazione nazionale è indispensabile agli occhi di Lenin per arricchire i concetti stessi di democrazia e transizione al socialismo, mediante le diverse configurazioni che assumeranno nei multiformi contesti nazionali.

Anche sulla questione nazionale occorre, però, a parere di Lenin, distinguere fra due concezioni del mondo inconciliabili: “il nazionalismo borghese e l’internazionalismo proletario” [5]. D’altra parte, a parere di Lenin, non si deve misconoscere “nel processo di assimilazione delle nazioni, realizzato dal capitalismo, un grande progresso storico, la distruzione dell’arretratezza nazionale dei vari angoli sperduti, soprattutto in paesi arretrati” [6]. Tanto più che, spezzando “l’angustia specificatamente nazionale” [7] di masse arretrate, tale sviluppo del capitalismo pone inconsapevolmente le basi per la transizione al socialismo. In altri termini, lo sviluppo degli Stati nazionali favorisce lo sviluppo delle forze produttive nella fase espansiva del capitalismo, mentre nella fase imperialista le divisioni nazionali divengono, come nota a tal proposito Lenin, un “intralcio all’espansione delle forze produttive” [8]. Come ricorda Lenin, nella sua parabola storica il capitalismo pone dapprima le condizioni per lo sviluppo dei movimenti nazionali, in seguito intensifica i rapporti fra le nazioni, infrange le barriere doganali, crea l’“unità internazionale del capitale, della vita economica in genere, della politica, della scienza” [9]. I comunisti debbono, quindi, tener conto di entrambi i momenti, battendosi, come sottolinea Lenin, per “la parità dei diritti delle nazioni e delle lingue” [10], senza mai dimenticare “il principio dell’internazionalismo e della lotta intransigente contro la corruzione del proletariato da parte del nazionalismo borghese, fosse anche il più raffinato” [11]. Nell’impostazione borghese, in effetti, la stessa questione nazionale è finalizzata alla ricerca di “privilegi o vantaggi esclusivi per la propria nazione” [12], mentre i comunisti si battono necessariamente – come non manca di evidenziare Lenin – contro ogni privilegio ed esclusivismo. I rivoluzionari devono, dunque, esser al contempo i “nemici più implacabili e più coerenti” di una nazione che ne opprima un’altra, senza avere, per dirla con Lenin: “nessuna debolezza verso la nazione oppressa che aspira a conquistare dei privilegi” [13].

D’altra parte, i comunisti sostengono il principio borghese dell’indipendenza nazionale solo quando esso muove in direzione dell’interesse, non si stanca di ricordare Lenin, “della pace nazionale (che la borghesia non può dare pienamente e che è realizzabile solo con una democrazia integrale), nell’interesse della parità di diritti e per assicurare condizioni migliori alla lotta di classe” [14]. Il riconoscimento a ogni popolo del diritto a costituirsi in Stato nazionale, fondamento dell’eguaglianza politica, non può divenire, sottolinea Lenin, un dogma per il proletariato. La storia mostra che anche tale principio, denuncia Lenin, può essere snaturato dalle potenze imperialiste, che ne fanno uno strumento per separare popoli e nazioni allo scopo di assoggettarli più agevolmente. In effetti, la borghesia dietro la maschera del rispetto per le diverse culture nazionali tende sovente a nascondere, come rimarca Lenin, le sue alleanze politiche ed economiche con “i fautori del servaggio vendendo i diritti e la libertà del popolo” [15]. Per cui, come non si stanca di sottolineare Lenin, tenendo fermo il principio generale dell’autodeterminazione, i comunisti si riservano il diritto di esaminare “ogni aspirazione nazionale dal punto di vista della lotta di classe degli operai” [16].

Note:

[1] Vladimir I. U. Lenin, Sul diritto di autodecisione delle nazioni [febbraio-maggio 1914], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 242.
[2] Id., Intorno a una caricatura del marxismo e all’economismo imperialistico [agosto-ottobre 1916], in op. cit., p. 281.
[3] Ivi, p. 275.
[4] Ivi, p. 281.
[5] Id., Osservazioni critiche sulla questione nazionale [ottobre-dicembre 1913], in op. cit., p. 186.
[6] Ivi, p. 189.
[7] Ivi, p. 191.
[8] Id., Intorno a una caricatura…, in op. cit., pp. 268-69.
[9] Id., Osservazioni critiche…, in op. cit., p. 186.
[10] Ibidem.
[11] Ivi, pp. 186-87.
[12] Id., Sul diritto di autodecisione…, in op. cit., p. 238.
[13] Ivi, p. 240.
[14] Ivi, p. 238.
[15] Id., Osservazioni critiche…, in op. cit., p. 181.
[16] Id., Sul diritto di autodecisione…, in op. cit., p. 240.

18/07/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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