A parere di György Lukács, muovendo da una conoscenza più approfondita dei fatti e delle categorie economiche rispetto a quelle dell’idealismo, Marx ha mostrato il carattere mistificatorio del superamento dell’oggetto nella coscienza: anzitutto, Hegel ha messo in luce soltanto gli aspetti positivi del lavoro, trascurando quelli negativi; ciò discende dalla falsa concezione dell’uomo, che per Hegel è soltanto autocoscienza, per cui lo stesso lavoro perde i suoi connotati concreto-sensibili e diventa attività dell’autocoscienza, lavoro spirituale astratto. Nell’ultimo capitolo della Fenomenologia, nel sapere assoluto, poiché l’estraneazione dell’uomo è l’estraneazione dell’autocoscienza – e qui si tratta di superare tale momento negativo –, il ritorno a sé dell’autocoscienza si traduce nella soppressione dell’oggettivazione in quanto tale.
Il risultato è che in Hegel scompare il carattere specifico e transeunte dell’alienazione come appartenente a un determinato periodo storico, mentre “nelle sue considerazioni economiche Marx, sulla scorta dei fatti della vita reale, tira un netto confine fra oggettivazione nel lavoro in sé ed estraneazione di soggetto e oggetto nella forma capitalistica del lavoro” [1].
La critica di Marx investe, alla maniera di Feuerbach, l’inversione di soggetto e predicato: poiché in Hegel il soggetto della storia si forma soltanto come risultato, come autocoscienza, spirito assoluto, gli uomini concreti scadono a semplici predicati di esso, puri veicoli e strumenti della sua realizzazione. Nel commentare ciò Lukács, al fine di salvaguardare il lato realistico del pensiero hegeliano, si avvale ancora una volta della contraddizione di metodo e sistema: “La storia reale si svolge quindi, in Hegel, con un «portatore» astratto, mistificato, fittizio, che naturalmente può «fare» la storia solo in modo altrettanto astratto, fittizio e mistificato. Il processo reale, le determinazioni reali del processo possono quindi insinuarsi nella costruzione solo, per così dire, dalla porticina di servizio. Che esse diventino dominanti nella rappresentazione delle tappe concrete, dei passaggi concreti del processo, è ciò che costituisce la contraddittorietà fondamentale, a noi già nota e da noi analizzata da diversi aspetti, della dialettica hegeliana” [2].
Nell’ampia disamina critica lukacciana del concetto di alienazione nella Fenomenologia è implicita la personale autocritica di Lukács relativa alla sua sostanziale identità di vedute con Hegel in Storia e coscienza di classe: dove egli sosteneva infatti la teoria del soggetto-oggetto identico individuato nel proletariato e, conseguentemente, sfociava nell’equiparazione di oggettività e di alienazione.
Sappiamo, grazie agli studi di Goldmann, dell’influenza esercitata dal tema lukacciano della reificazione sulla corrente esistenzialista nel periodo tra le due guerre e sul primo esistenzialismo di Sartre; è comprensibile quindi che il rinnegamento che Lukács fa della sua primitiva posizione abbia suscitato negli ambienti “esistenzialisti”, e tra coloro che hanno interpretato in chiave umanistica il pensiero di Hegel, una ripulsa della tesi lukacciana sull’alienazione espressa ne Il giovane Hegel, la quale ripulsa coinvolgeva, ovviamente, i Manoscritti di Marx, di essa ispiratori. Tra costoro v’è J. Hyppolite che nel suo saggio sul libro di Lukács difende Hegel dall’accusa di aver confuso oggettivazione con alienazione: sarebbe piuttosto Marx, e con lui Lukács, a cadere in errore nel ritenere l’alienazione una caratteristica specifica del modo di produzione capitalistico e, in quanto tale, suscettibile di un superamento definitivo in un supposto mondo futuro. Richiamandosi allo Hegel sarcasticamente critico dell’ “anima bella” – la quale per mantenersi pura si chiude nella nullità dell’interiorità privandosi di ogni possibile effettualità –, Hyppolite conferma la presenza in Hegel della necessità dell’esteriorizzazione e quindi dell’alienazione per l’essere umano, e ne ribadisce il carattere ontologico e non semplicemente storico: “questo concetto non ci pare riducibile immediatamente al solo concetto di alienazione dell’uomo nel capitale, come lo intende Marx. Questo è solo un caso particolare di un problema più universale, che è quello dell’autocoscienza umana che, incapace di pensarsi come un «cogito» separato, si trova solamente nel mondo che edifica, negli altri io che riconosce e che, a volte, misconosce. Ma questo modo di ritrovarsi nell’altro, questa oggettivazione, è sempre più o meno una alienazione, una perdita di sé e nello stesso tempo un ritrovarsi. Così oggettivazione e alienazione sono inseparabili e la loro unità non può essere altro che l’espressione di una tensione dialettica che si vede nel movimento stesso della storia” [3].
La svolta decisiva, che portò Lukács all’abbandono della sua precedente concezione e al superamento degli aspetti idealistici del suo marxismo – con l’accoglimento della teoria del “rispecchiamento” e dell’indipendenza della natura –, risale al 1930, quando egli prese visione dei Manoscritti di Marx. Nella Prefazione del 1967 all’edizione italiana di Storia e coscienza di classe – nella quale ripercorre autocriticamente la sua biografia intellettuale –, Lukács ci dà questa preziosa testimonianza: “ricordo ancora oggi l’impressione sconvolgente che fecero su di me le parole di Marx sull’oggettività come proprietà materiale primaria di tutte le cose e di tutte le relazioni. Ad essa si ricollegava, come si è già esposto, la comprensione del fatto che l’oggettivazione è un modo naturale – positivo o negativo – di dominio umano nel mondo, mentre l’estraneazione è un tipo particolare di oggettivazione che si realizza in determinate circostanze sociali” [4].
Ma la lettura lukacciana dei Manoscritti è del tutto corretta? La critica di Marx all’identificazione hegeliana di oggettivazione e alienazione si estende a tutta la Fenomenologia, oppure riguarda soltanto il capitolo sul “sapere assoluto”? E ancora: è giusto rendere con il termine “alienazione”, nella sua accezione negativa, i termini Entäusserung ed Entfremdung?
Chi ha nutrito dubbi a tale proposito e ha sollevato la questione intorno al significato da attribuire ai termini hegeliani di Entäusserung [alienazione, esteriorizzazione] ed Entfremdung è stato, in Italia, A. Massolo, il quale, anzitutto, nega l’identificazione di oggettivazione e di Entfremdung [alienazione, estraneazione] in Hegel: “tale identificazione è da respingere anche perché non saprebbe giustificare perché poi soltanto un’epoca possa e debba venir determinata con il mondo dello spirito estraniato. L’Entfremdung deve qui trovare il suo significato, nel suo distinguersi da ogni categoria antropologica e ontologica” [5].
La domanda che egli si pone è fino a che punto i due termini siano intercambiabili, oppure se esprimono significati ben differenti all’interno della Fenomenologia. Massolo traduce il termine Entäusserung con alienazione, ossia esteriorizzazione e farsi cosa del soggetto; nell’ultimo capitolo “Hegel espone nel sapere assoluto l’atto del porre la cosalità come una alienazione [Entäusserung] positiva, perché non in sé o per noi, ma per la coscienza stessa di sé. In questa alienazione essa pone se stessa come oggetto [...]. Qui Entäusserung è assolutamente altro da Entfremdung, anzi ne è l’opposto, un opposto che nella sua semplicità pare che possa coincidere con ciò che Hegel chiama una differenza assoluta” [6].
Il termine Entfremdung, invece, è al centro del capitolo sulla cultura, sullo spirito estraniato, comprendente l’arco storico che si estende dalla fine dell’impero romano fino alla Rivoluzione francese. Siamo nel mondo della Bildung [formazione], il mondo sorto dalla dissoluzione del mondo etico, nel quale non c’era alcuna traccia di estraneazione. Scomparso il legame organicistico e immediato di individuale e universale, i termini dialettici si sono divaricati in un rapporto di esteriorità e di esclusione reciproca: da una parte la soggettività, l’autocoscienza, dall’altra la sostanza, l’oggettività del mondo sociale. Quest’ultimo, pur essendo opera dell’autocoscienza, le rimane estraneo e l’autocoscienza non si riconosce in esso. Alla fine di questo processo storico, quando il mondo estraniato sarà perito sotto “la furia del dileguare” e non sarà più possibile un ritorno a esso, l’autocoscienza, secondo Massolo, procederà in una situazione non più estraniata, nella quale come singolo otterrà il riconoscimento, ed essa: “dovrà sì alienarsi, ma questa alienazione non è più una estraneazione, anzi il suo contrario, semmai una Entäusserung, cioè un’esteriorizzazione. Il termine Entäusserung ha indubbiamente un significato più ricco, ma questa sua ricchezza non può essere riconosciuta se non in una sua radicale differenziazione dall’altro termine che scompare con il mondo che esprime, il mondo della Entwesung [snaturamento]. La coscienza che sorge dall’azione rivoluzionaria sarà una coscienza che non incontrerà più l’oggetto come un’entità estranea (ein Fremdes). Un nuovo mondo nasce come sua Entäusserung” [7].
Note:
[1] Lukács, György, Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft (1948), Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, traduz. di Solmi, R., Einaudi, Torino 1975, p. 764.
[2] Ivi, p. 767.
[3] Hyppolite, Jean, Etudes sur Marx et Hegel (1955), Saggi su Marx e Hegel, traduz. di S. T. Regazzola, Milano, Bompiani 1965, p. 110.
[4] Lukács, G., Prefazione del 1967, in Id., Storia e coscienza di classe, traduz. di G. Piana, introduz. di M. Spinella, Milano, SugarCo Edizioni 1967, p. LVIII.
[5] Massolo, Arturo, Prime ricerche di Hegel, in Id., La storia della filosofia come problema, Vallecchi editore, Firenze 1973, p. 199.
[6] Ibidem.
[7] Ivi, p. 210.