A parere di György Lukács, nel suo capolavoro dialettico, Il nipote di Rameau, Diderot dà voce – con il linguaggio della disgregatezza – agli aspetti contraddittori della realtà sociale, i quali, giunti alla massima collisione si rovesciano l’uno nell’altro provocando l’instabilità dei princìpi morali e la conversione di ciò che è ritenuto bene nel male e viceversa; il soggetto, inserito in questa realtà precaria, diventa cosciente della sua lacerazione proprio attraverso l’esperienza della disgregazione. Per Lukács è molto significativo che Hegel tragga le categorie dialettiche non da astratte considerazioni filosofiche, ma dai concreti problemi del suo tempo: “questo fa del dialogo di Diderot, agli occhi di Hegel, l’oggetto ideale per esporre la sua tesi storico-filosofica fondamentale, che cioè la dialettica, come possesso della coscienza soggettiva, è anche un prodotto della vita sociale, e non solo risultato di un astratto pensiero filosofico. La filosofia come suprema concentrazione del pensiero umano non ha affatto, in Hegel, [...] il compito di escogitare nuovi contenuti; la sua originale e autentica funzione consiste solo nell’ordinare e nel chiarire ciò che l’evoluzione sociale stessa ha prodotto, in modo che appaia, in forma chiara e inalterata, la sua legalità suprema: la dialettica” [1].
Nella sua lotta vittoriosa contro la religione l’Illuminismo, ossia la società capitalistica dispiegata, perviene alla sua verità: l’utilità. Il contesto oggettivo entro il quale si muove egoisticamente l’individuo è il mondo dominato dallo scambio delle merci, nel quale la soggettività trapassa continuamente nell’oggettività, e questa in quella; tale perpetuum mobile tra pensiero e cosa è una sorta di processo all’infinito privo del ritorno in sé: da qui la necessità della negazione e il passaggio al superamento dell’utile con la volontà generale. Emerge la figura della libertà assoluta, “la forma suprema dell’alienazione”, che sfocia nel terrore e trova acquietamento nella “conciliazione” della società borghese con se stessa (Termidoro e Napoleone).
Nel capitolo finale di questa parte della Fenomenologia dello spirito, la coscienziosità, Hegel espone i contenuti del suo utopismo sulla Germania, legato alla figura di Napoleone. Più che di un passaggio sorretto da reali contenuti storici si tratta di una vera e propria interruzione del discorso socio-politico e di una dislocazione geografica dello Spirito dalla Francia alla Germania – e precisamente alla Germania “filosofica” – , dove la “conciliazione” si sostanzia con il superamento critico della morale di Kant e di Fichte: “in tutti gli altri luoghi della sua filosofia della società Hegel dà, prima di procedere a questa «conciliazione», un quadro reale delle contraddizioni sociali che – in lui – possono trovare solo in questa forma superiore la loro ultima unificazione e soppressione. Qui invece questa parte positiva, il lato sociale della conciliazione, è lasciato in bianco, e il pensiero salta immediatamente dagli stadi preparatori relativi alla morale sociale nella sfera dello «spirito assoluto»” [2].
Nello “spirito assoluto” Hegel abbandona l’esposizione prevalentemente storica della seconda parte della Fenomenologia dello spirito, a favore di una trattazione storico-sistematica. Avendo consumato nel corso storico la sostanza, il soggetto la conserva in sé tramite l’Erinnerung [l’interiorizzazione]: con lo sguardo retrospettivo al proprio passato, esso attinge dalla propria profondità i contenuti della sua formazione. La ricapitolazione dell’intero processo dal punto di vista superiore ormai raggiunto non ha quindi, secondo Lukács, un carattere antistorico o soprastorico, ma appunto storico-sistematico: “lo «spirito assoluto» significa, da questo punto di vista, lo sforzo di Hegel per intendere la conquista della realtà da parte del genere umano come un grande processo complicato e ineguale, in cui il filosofo è tenuto a riconoscere e valutare i singoli passi senza pregiudizi, secondo la loro reale, oggettiva, importanza storica e dialettica” [3].
Accanto a questo significato dello “spirito assoluto”, Lukács ne registra uno decisamente idealistico: il superamento dell’“alienazione” nel soggetto comporta la completa abolizione dell’oggettività e l’Erinnerung, l’atto dell’interiorizzazione, diventa espressione del recupero dell’“esteriorizzazione”, dell’Entäusserung [alienazione], da parte del soggetto. Anche in questo caso, quindi, si riproducono e coesistono i due aspetti contrastanti del suo pensiero. Quando affronta singoli problemi storici Hegel si trova “nella possibilità – nella considerazione gnoseologica della realtà empirica – di applicare puramente, senza confessarlo, la teoria del rispecchiamento” [4], in una misura che, a volte, è superiore agli stessi vecchi materialisti; ma, trovandosi a cospetto del problema della totalità della conoscenza, egli, coerentemente con le sue premesse teoriche, è costretto a ricorrere al soggetto-oggetto identico: “poiché se l’oggettività degli oggetti è il prodotto di una provvisoria scissione del soggetto-oggetto identico, è inevitabile che il criterio della verità suprema del processo globale possa risiedere solo nell’esibizione dell’identità di soggetto e oggetto, nell’autoraggiungimento del soggetto-oggetto identico. Ma se l’itinerario di questo spirito muove da un’identità originaria, che deve essere necessariamente presupposta per una costruzione di questo genere, e il processo stesso consiste nella creazione dell’oggettività attraverso l’«alienazione», è assolutamente necessario per Hegel raffigurarsi il riconseguimento dell’identità di soggetto e oggetto nella forma del recupero dell’ alienazione», della trasformazione della sostanza in soggetto, della soppressione dell’oggettività in generale” [5].
In corrispondenza con la sua tesi della tripartizione della Fenomenologia, Lukács distingue tre significati, o meglio tre gradi del concetto di “alienazione”. Il primo è relativo al rapporto soggetto-oggetto mediato dal lavoro, che permette a Hegel di concepire la storia “come un’evoluzione dialettica, complicata, ricca di interazioni e contraddizioni, del genere umano grazie alla prassi degli individui socializzati” [6], risolvendo così l’eterogeneità tra oggettività naturale e libertà della prassi umana, sussistente nell’idealismo soggettivo.
Il secondo grado riguarda la forma specificamente capitalistica dell’“alienazione”: a questo livello Hegel si avvicina alla concezione marxiana del “feticismo delle merci”, anche se, essendo privo degli strumenti adeguati alla comprensione del fenomeno, tende ad annullarne la specificità facendolo confluire nel più generale sviluppo di socializzazione del lavoro, ossia riconducendolo al primo significato del concetto di “alienazione”.
In ultimo, queste due forme subiscono una generalizzazione filosofica molto ampia che conduce all’identificazione del concetto di “alienazione” con l’oggettività in generale. In questo caso, come abbiamo già visto, il processo di “alienazione” si manifesta come la via percorsa dal soggetto-oggetto identico nella sua “esteriorizzazione”, la quale, nel momento del ritorno in sé del soggetto, viene soppressa. L’intero processo quindi si rivela essere una mediazione della coscienza con se stesso, un movimento apparente del soggetto, la cui fine e il cui fine sono già decisi a priori. Tale impostazione si ripercuote negativamente sulla concezione della natura e della storia, considerate entrambe momenti dell’“alienazione” dello spirito. Lukács dà atto a Hegel di essersi preoccupato di determinare la diversità di essenza delle due sfere [7], tuttavia le sue valutazioni in proposito risultano errate. Riguardo alla natura, essa viene considerata un’“alienazione” eterna dello spirito, con la conseguenza che vengono negati sia la sua indipendenza dal soggetto, sia il carattere storico del suo divenire. Al contrario, l’“alienazione” nella prassi umana è alienazione nel tempo: la processualità storica è contrassegnata dallo sviluppo e dal rinnovamento dello spirito a ogni tappa del suo divenire; tuttavia, poiché l’intero processo ha come mèta il ritorno in sé e per sé dello spirito, il recupero della storia è soppressione e del tempo e dell’oggettività: “ma in questo modo non solo il processo dialettico della storia è posto fra due mistici confini, in cui tornano ad apparire le categorie religiose della creazione, dell’inizio e della fine del tempo, ma l’inizio e la fine del processo storico stesso debbono necessariamente coincidere, cioè la fine della storia deve trovarsi già preformata nel suo inizio” [8].
Lukács sottoscrive interamente la critica della dialettica hegeliana formulata da Marx nei Manoscritti del 1844, dove egli si concentra, non a caso, sulla Fenomenologia e, in particolare, sulla concezione hegeliana dell’alienazione. Marx è consapevole del fatto che il concetto di alienazione è potuto sorgere in Hegel perché, nella sua generalizzazione filosofica, egli è partito dalla comprensione delle categorie economiche: “il geniale presentimento di Hegel ha scoperto, sulla base di una comprensione molto incompleta dell’economia, nell’alienazione, nell’estraneazione, un fatto fondamentale della vita, e perciò ha posto questo concetto al centro della filosofia” [9].
Note:
[1] Lukács, György, Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft (1948), Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, traduz. di Solmi, R., Einaudi, Torino 1975, pp. 687-88.
[2] Ivi, pp. 700-01.
[3] Ivi, p. 713.
[4] Ivi, p. 741.
[5] Ivi, p. 742.
[6] Ivi, p. 747.
[7] Tale questione assumerà un rilievo molto importante nell’Ontologia dell’essere sociale, dove Lukács avrà cura di stabilire la specificità e la differenza tra i gradi dell’essere: inorganico, organico e sociale.
[8] Ivi, p. 755.
[9] Ivi, p. 759.