Diritti economici e sociali e diritti liberaldemocratici

Solo i marxisti e i comunisti, che si battono anche per i diritti economici e sociali, hanno consentito il pieno godimento dei diritti politici formali e dei diritti civili negativi alla grande maggioranza del genere umano che ne erano, di fatto, esclusi dagli stessi democratici e liberali che si vantano di averli introdotti e di averne sostenuto la piena applicazione in tutto il mondo.


Diritti economici e sociali e diritti liberaldemocratici

Nel suo ultimo libro, pubblicato postumo, La questione comunista, Domenico Losurdo mette in evidenza come “in certe situazioni storiche si manifesta quello che potremmo definire un conflitto delle libertà” [1]. In tali tragici frangenti ci si trova “costretti a scegliere tra due libertà entrambe essenziali” come, per limitarci a un esempio emblematico, il fatto che “l’emancipazione degli schiavi neri non poteva essere attuata senza la cancellazione, sia pure provvisoria, dell’autogoverno degli Stati del Sud, che schiavizzavano i neri” (101). In casi come questi è evidente che la libertà negativa, cavallo di battaglia ideologico dei liberali, deve necessariamente cedere il passo al più universale diritto positivo, introdotto dalla tradizione democratica, dell’eguaglianza fra gli uomini, intesa quale eguaglianza formale davanti alla legge. Più in generale, in casi come questi, si comprende chiaramente come persino nel paese considerato dall’ideologia dominante la culla della liberaldemocrazia, lo stesso diritto alla libertà individuale degli afroamericani era a tal punto negato che fu necessario imporre una dittatura agli schiavisti del sud. In effetti questi ultimi, sulla base del loro autogoverno e della loro democrazia (per il popolo dei signori) non avrebbero mai riconosciuto neanche il pur basilare diritto negativo degli afroamericani. D’altra parte l’eguaglianza formale degli afroamericani davanti alla legge sarà realmente realizzata, nel paese che è considerato il luogo di origine della democrazia moderna, solo nel momento in cui la classe dirigente si rese conto che senza tale concessione gli afroamericani si sarebbero sempre più avvicinati ai comunisti, in quanto erano coloro che, in maniera più decisa, si battevano per questi loro basilari diritti democratici. Peraltro la possibilità che in tal modo consentiva, ad esempio, agli afroamericani di avere libero accesso ai ristoranti precedentemente riservati ai caucasici, era destinata a rimanere valida soltanto dal punto di vista formale, in quanto gli afrodiscendenti non potevano pagarsi i cibi che ivi si consumavano, tanto più che non erano nemmeno in grado di leggere il menù. Così, non solo gli avventori e i proprietari caucasici avrebbero impedito a un afroamericano di entrare in un locale precedentemente riservato ai “bianchi”, ma gli stessi apparati repressivi dello Stato avrebbero quasi certamente perseguitato l’afrodiscendente che entrava in un ristorante in cui non poteva divenire un normale cliente. Dunque solo chi, come i comunisti e i marxisti, si batteva anche per i diritti economici e sociali degli afroamericani, poteva consentire a questi ultimi di poter godere realmente degli stessi diritti democratici all’eguaglianza formale e degli stessi diritti negativi teoricamente introdotti dalla tradizione liberale. Per citare un lucido esempio di Losurdo: “nell’Algeria assoggettata alla Francia e nel Sudafrica della white supremacy a rappresentare la causa delle democrazia erano i paesi occidentali che tale stato di cose appoggiavano o tolleravano o i partiti e i paesi comunisti che sostenevano la rivoluzione anticolonialista e antirazzista?” (114).

Dunque, come denuncia a ragione Losurdo, l’astratta contrapposizione posta dall’ideologia dominante fra i comunisti che avrebbero, in nome dei diritti economici e sociali, oppresso i diritti democratici e liberali e i liberaldemocratici che non avrebbero compreso l’importanza dei diritti sostanziali rivendicati dalla tradizione marxista, è una cattiva rappresentazione ideologica, nel senso deteriore del termine. In quanto i liberaldemocratici non avrebbero messo in pratica i loro stessi diritti formali e negativi nei riguardi delle donne, dei popoli coloniali e delle stesse componenti non possidenti della popolazione maschile. D’altra parte i comunisti hanno, talvolta, dimenticato che i diritti più universali, come i diritti economici e sociali, devono ricomprendere in sé i diritti meno universali, come i diritti politici introdotti teoricamente dalla tradizione democratica e i diritti civili introdotti, in teoria, dalla tradizione liberale. Tali errori di una parte della tradizione comunista dipendono da una concezione non adeguatamente dialettica della realtà e della storia, che non comprende che il progresso avviene sempre e soltanto superando gli aspetti negativi e storicamente limitati ma, al contempo, tesaurizzando quanto di ancora valido e attuale è presente, in linea teorica, nelle tradizioni precedenti.

Peccato che Losurdo nella sua analisi – pur dimostrando nel modo migliore che i diritti economici e sociali non solo non esisterebbero senza marxisti e comunisti e pur sostenendo che in loro assenza tendono a dileguare – non inserisca tale questione nelle sue significative disamine sul marxismo orientale e il marxismo occidentale. A tal proposito, Losurdo nota come i marxisti occidentali non tengano nel debito conto la questione coloniale e tendano a sottovalutare l’importanza dei diritti formali, a differenza dei marxisti orientali che, al contrario, terrebbero nel giusto conto entrambe le cose. Innanzitutto questa concezione dualista del marxismo è alquanto discutibile, tanto che è stata introdotta da intellettuali tradizionali borghesi per distinguere un marxismo puro, dal marxismo che si era compromesso con il socialismo reale. Peraltro tale astratta distinzione geografica ha scarso valore teorico. Da una parte non si può sostenere che il marxismo orientale abbia dato più rilievo del marxismo occidentale alla necessità di ricomprendere in sé i diritti liberal-democratici. Non solo la Repubblica democratica popolare di Corea farebbe eccezione, ma neanche in Cina, Vietnam e Laos i diritti liberal-democratici sono stati tesaurizzati e superati dialetticamente, a cominciare dalla questione più eclatante del multipartitismo. D’altra parte se per un certo periodo, nel cosiddetto marxismo orientale, si è accentuata a ragione la critica dell’imperialismo e del neocolonialismo, negli ultimi decenni tali temi sono stati sviluppati certamente di più da parte del marxismo latinoamericano. Quest’ultimo, se si volesse mantenere la distinzione fra marxismo occidentale e marxismo orientale, come andrebbe collocato? Peraltro la necessità di ricomprendere dialetticamente i diritti liberaldemocratici è stata esplicitamente tematizzata principalmente da uno dei più significativi esponenti del marxismo occidentale, Ernst Bloch, un autore che Losurdo tende a sottovalutare limitandosi alla critica degli aspetti utopistici del suo pensiero. D’altra parte autori decisamente cari a Losurdo, che hanno indubbiamente denunciato l’attitudine dei liberal-democratici nei confronti dei popoli coloniali e che hanno cercato di ricomprendere nei diritti economici e sociali i diritti liberal-democratici a quali delle due astratte categorie di questa dualistica e formalistica concezione del marxismo andrebbero ricompresi? Mentre, dall’altra parte, i filocinesi Khmer rossi, che hanno forse contrapposto nel modo più netto i diritti economico e sociali ai diritti liberaldemocratici a quale marxismo connotato geograficamente andrebbero assegnati?

Al di là di questi limiti – legati principalmente all’esigenza ideologica di Losurdo di presentare il modello di con caratteristiche cinesi come la forma più adeguata e aggiornata di marxismo – è senza dubbio encomiabile la sua denuncia di paesi come gli Stati Uniti che sono i primi a tradire i princìpi introdotti in teoria dai liberaldemocratici, di cui si ergono a difensori internazionali. Ecco, dunque, che “a partire dalla metà dell’Ottocento, negli Stati Uniti conosce grande diffusione il tema del Manifest Destiny, ovvero della missione provvidenziale di cui essi si sono investiti, che li conduce ad annettersi estesi territori e che ulteriormente li spinge a porre sotto controllo e civilizzare l’intero continente. È il motivo ideologico di fondo che accompagna l’espansione coloniale dell’occidente nel suo complesso” (104). D’altra parte, anche in questo caso, la connotazione geografica può essere fuorviante. L’America latina, prima vittima del Manifest Destiny, è certamente collocata in occidente, come sono decisamente occidentali autori come Marx, Engels, Gramsci e Togliatti che hanno radicalmente criticato questa ideologia. Mentre un paese dell’estremo oriente come il Giappone ha certamente fatto propria tale ideologia, che andrebbe in maniera più adeguata connotata come colonialista e imperialista.

In effetti, come osserva a ragione Losurdo stesso, è proprio nelle “colonie e semicolonie” che “«la profonda ipocrisia, l’intrinseca barbarie della civiltà borghese ci stanno dinanzi senza veli» (secondo il giudizio di Marx), ovvero dove anche «gli uomini politici più liberali e radicali della libera Gran Bretagna […] si trasformano quando diventano governatori dell’India, in veri e propri Genghis Khan» (secondo il giudizio di Lenin)” (105). Interessante osservare come Marx condanni, da questo punto di vista, la “civiltà borghese” nel suo complesso e Lenin “gli uomini politici più liberali e radicali”.

L’ideologia dominante cerca di difendere, anche ideologicamente, i movimenti reazionari di estrema destra, di cui ha bisogno per meglio tenere a bada le classi subalterne, giustificando ogni loro nefandezza come reazione, in qualche modo necessaria, alle lotte portate avanti dai rivoluzionari, secondo il consueto schema degli opposti estremismi. Dunque, denuncia efficacemente Losurdo, mediante una dimostrazione per assurdo, “se gli schiavi neri non avessero preteso di spezzare le loro catene, se le classi popolari francesi non si fossero ribellate contro la loro condizione fatta di stenti e di servaggio, se gli operai, i contadini e i soldati russi avessero continuato a subire come un destino ineluttabile la loro secolare miseria e la morte a milioni sui campi di battaglia! Se tutti si fossero rassegnati alla loro sorte non si sarebbero verificati i successivi movimenti di reazione” (109). 

Al contrario, come mostra Losurdo, le formazioni di estrema destra non fanno che portare alle estreme conseguenze le politiche da lungo tempo sperimentate proprio nei paesi liberaldemocratici. In effetti, “basta leggere Hitler e Rosenberg per rendersi conto del loro insistente richiamo al regime di terroristica supremazia bianca in quelli anni vigente nel Sud degli Usa” (109). Del resto la tendenza degli stessi liberal-democratici, come ad esempio Bobbio, a far proprie le tesi del peggior rovescismo storico – volte a mettere sul conto dei rivoluzionari lo stesso terrore controrivoluzionario – è funzionale proprio a occultare come fascisti e nazisti non abbiano fatto altro che portare alle estreme conseguenze le politiche colonialiste e imperialiste della “civiltà borghese”. Ecco, dunque, che “il quadro dell’ultimo Bobbio rassomiglia a quello di Nolte, che per spiegare l’orrore del Novecento prende le mosse dalla rivoluzione d’ottobre piuttosto che dal colonialismo contro il quale i bolscevichi chiamavano alla lotta e che Hitler in particolare intende riprendere, radicalizzare e far valere nella stessa Europa” (111).

 

Note:

[1] Losurdo, Domenico, La questione comunista. Storia e futuro di un’idea, introduzione e cura di Grimaldi, Giorgio, Carocci editore, Roma 2021, p. 101. D’ora in poi citeremo direttamente nel testo quest’opera indicando fra parentesi tonde il numero della pagina.

06/05/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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