Per un bilancio critico dell’opera di Losurdo

Grandezza e limiti storici della visione del mondo del più grande storico delle idee marxista contemporaneo.


Per un bilancio critico dell’opera di Losurdo Credits: http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=34725

Domenico Losurdo è stato certamente il più importante storico delle idee marxista italiano contemporaneo. Premetto che ho iniziato a lavorare a questo articolo dieci giorni dopo la tragica notizia della sua morte, proprio in quanto, essendo stato un suo allievo e, volendo rimanere fedele alla sua lezione, non intendo limitarmi a un pur doveroso coccodrillo in cui, a ragione, si evidenziano essenzialmente gli importanti contributi dati da questo grande studioso e pensatore allo sviluppo della cultura e, in particolare, del marxismo. Cercherò, piuttosto di abbozzare un primo bilancio storico della sua poderosa opera. Evidentemente chi scrive non ha altra ambizione che di poter svolgere la necessaria, per quanto irriguardosa, esigenza del nano che prova ad arrampicarsi sulle spalle di un gigante. In altri termini, sfruttando il fatto di appartenere alla generazione successiva, mi arrischierò a guardare al di là del suo lascito, riconsiderandolo criticamente in una prospettiva storica.

Dopo diversi anni di militanza politica marxista-leninista, negli anni della sconfitta e del reflusso e passati i suoi quarant’anni, Losurdo ha iniziato a occuparsi principalmente della lotta di classe a livello delle idee per contrastare la controffensiva liberale al livello delle sovrastrutture. Quella di Losurdo è stata una sfida titanica intrapresa negli anni in cui con la Thatcher e Reagan l’ideologia dominante aveva riconquistato l’egemonia sul piano culturale, tanto da puntare a una restaurazione del pensiero liberale classico, scevro delle influenze e dei compromessi cui era stato costretto, da oltre un secolo, dall’affermarsi prima della democrazia moderna e poi del socialismo.

Losurdo ha intrapreso questa sua nuova sfida con un essenziale contributo alla lotta per l’interpretazione del Kant politico, nell’opera Autocensura e compromesso nel pensiero politico di Kant, uscita nel 1983 per la casa editrice Bibliopolis di Napoli e ristampata in una necessaria seconda edizione nel 2007. In tale importante contributo Losurdo rimette in discussione l’eredità di un grandissimo filosofo che era stato considerato, dall’ideologia dominante, uno dei grandi classici del pensiero liberale, mostrando come il pensiero politico di Kant – fatta la dovuta tara dell’autocensura necessaria per poter insegnare all’università e pubblicare nella Prussia del suo tempo e della tendenza al compromesso tipica di un intellettuale tradizionale – sia fortemente critico rispetto al liberalismo a partire dalla durissima critica alla politica colonialista dell’Inghilterra, la terra natale del liberismo, e la piena adesione ai grandi ideali democratici radicali affermatisi con la Rivoluzione francese.

Nello stesso fatidico anno, il 1983, Losurdo intraprende un’altra decisiva battaglia per l’interpretazione e la lotta per l’eredità dell’altro massimo protagonista della filosofia moderna, ovvero Hegel, di cui rovescia – sulla scorta di Lukács e di Eric Weil – la dominante lettura liberale, divenuta egemone nello stesso marxismo italiano a opera di Della Volpe, che ne aveva fatto un pensatore conservatore e apologetico dell’assolutismo prussiano. Al contrario Losurdo lo reinterpreta come un acceso sostenitore, pur in un’epoca di restaurazione seguita alla sconfitta di Napoleone, dell’allora rivoluzionaria classe borghese. A tale scopo, al tentativo napoleonico di rilanciare l’impero e al tentativo anacronistico del Congresso di Vienna di restaurare gli Stati dinastici antecedenti alla rivoluzione francese Hegel avrebbe contrapposto il modello borghese dello Stato nazionale.

D’altra parte in questa essenziale battaglia per contendere, alla borghesia trionfante, l’eredità della filosofia classica tedesca, in Losurdo il fervore politico-ideologico, per altro necessario, finisce per avere il sopravvento sul distacco necessario allo storico delle idee per fornire un’interpretazione equilibrata e dialettica di Kant e Hegel. In entrambi i casi la necessità di reagire alla dominante interpretazione ideologica liberale di questi autori e la necessità di riconquistarli alla tradizione rivoluzionaria – anche per rilanciare un’interpretazione filosofica del marxismo di contro tanto all’irrigidimento ideologico del “marxismo orientale”, quanto al revisionismo divenuto dominante nel marxismo occidentale – porta Losurdo a un’interpretazione altrettanto unilaterale di quella dominante che contesta, di Kant e Hegel dei quali evidenzia esclusivamente gli aspetti progressisti, senza metterne in luce i necessari limiti storici. In tal modo, se da un lato la sua interpretazione radicalmente partigiana risulta essenziale per contrastare l’ideologia dominante, che di questi due eccezionali pensatori metteva in luce unicamente gli aspetti conservatori e/o reazionari, mostrando così ai marxisti la necessità di riappropriarsi delle origini filosofiche della propria visione del mondo, dall’altra finisce con il perdere di vista la necessità di evidenziare al contempo i limiti storici di queste pur elevatissime concezioni filosofiche del mondo.

Certo, la reinterpretazione da parte di Losurdo di Kant e Hegel ha un’importanza decisiva sia di contro alle interpretazioni tradizionali del marxismo occidentale, succubi ideologicamente delle mode del tempo imposte dall’ideologia dominante, sia rispetto alle critiche dogmatiche del marxismo orientale alla luce di una visione schematica del marxismo. D’altra parte, però, non evidenziando i limiti di questi due massimi rappresentanti della cultura filosofica borghese rivoluzionaria, Losurdo finisce involontariamente per appiattire il necessario successivo sviluppo del marxismo su queste posizioni necessariamente più arretrate dal punto di vista storico e ideologico.

In tal modo, per fare un esempio emblematico, la questione nazionale diviene in sé e per sé un obiettivo rivoluzionario, senza considerare che essa lo può essere unicamente dal punto di vista della borghesia ancora su posizioni rivoluzionarie ai tempi di Kant e di Hegel. Mentre oggi, per quanto evidentemente in alcune zone del mondo, a cominciare dalla Palestina, mantenga ancora una valenza essenzialmente rivoluzionaria, nei paesi a capitalismo avanzato, nei paesi imperialisti come il nostro non può che assumere un significato essenzialmente regressivo, in quanto declinata in una logica prevalentemente sciovinista.

Dunque, per quanto possa essere essenziale cogliere gli aspetti, per la loro epoca, rivoluzionari del pensiero di Kant e di Hegel, non possiamo mai dimenticare, come rischia sovente di fare inavvertitamente Losurdo, che tali parole d’ordine non sono più universalmente valide, progressiste o addirittura rivoluzionarie, anzi, in particolare in un paese imperialista assumono una funzione ideologia conservatrice quando non addirittura reazionaria. D’altra parte tale limite essenziale di questo pur eccezionale pensatore e marxista ha anch’esso un fondamento ideologico che risale al difficile passaggio biografico dal Losurdo giovane uomo di azione rivoluzionario al maturo uomo della riflessione filosofica sulla precedente azione politica, con tutte le necessarie e generalmente inconsapevoli autocensure e compromessi che quest’ultimo nuovo ruolo comporta.

Ora, come ricordavamo, Losurdo – prima di diventare essenzialmente un grandissimo filosofo – è stato principalmente un politico militante nella sinistra rivoluzionaria del tempo marxista-leninista ovvero, come si suol dire, filo-cinese. Quando, dopo la morte di Mao, questa esperienza storica del marxismo rivoluzionario è entrata in crisi e la destra revisionista del partito comunista ha ripreso il pieno controllo sulla Repubblica popolare cinese (d’ora in poi RPC), Losurdo ha operato la necessaria rottura che lo ha portato a essere il più importante storico delle idee marxista italiano della sua epoca. Ciò gli ha permesso di smarcarsi tanto dai reduci del marxismo-leninismo, che finiranno nel vicolo cieco del sostegno all’Albania di Enver Hoxha, quanto da coloro che hanno ceduto al riflusso ripiegando sul privato.

Ciò gli ha consentito di mantenere, per quanto possibile, la stessa attitudine rivoluzionaria, che possedeva come militante della sinistra rivoluzionaria, nella nuova lotta condotta sul piano ideologico delle sovrastrutture. Ma tale continuità nella differenza – nei compromessi e nelle autocensure necessarie alla vita accademica in un paese imperialista come l’Italia, per altro in un’epoca di reflusso – è stata pagata al prezzo di mantenere la precedente posizione filo-cinese, trasformando idealisticamente una sconfitta storica in un abile rilancio, su nuove basi nazionaliste, della transizione al socialismo. Si tratta di un’attitudine solo apparentemente bizzarra in quanto, mutatis mutandis, corrisponde a quella che ha portato tanti militanti del Pci a seguire il travagliato percorso di progressiva metamorfosi dal Pds, al Pd, illudendosi che non si trattasse di una sconfitta storica, ma di una tattica di rilancio, in una nuova condizione storica, dell’antico ideale.

In tal modo le successive indagini storico-filosofiche di Losurdo sono state condizionate dall’esigenza di giustificare le metamorfosi che veniva compiendo la RPC. Di certo tale posizione ha avuto il pregio di cogliere la continuità, pur nella differenza, delle successive metamorfosi di tale grande paese ed esperienza storica, evitando di fermarsi alla posizione estremista di sinistra che coglie solo il tradimento e finisce così, involontariamente, per unirsi al coro dell’ideologia dominante nei paesi imperialisti, volta a demonizzare la RPC. D’altra parte, se questo ha consentito a Losurdo di smontare lucidamente tutti i tentativi di demonizzare acriticamente la RPC, lo ha fatto cadere nell’estremo opposto di una apologetica acritica della metamorfosi regressiva, dal punto di vista della transizione al socialismo, sperimentata in Cina dopo la morte di Mao. La necessità di giustificare teoricamente tale involuzione storico-politica ha portato Losurdo a cercare di elaborare una revisione in senso hegeliano, ossia in senso idealistico del marxismo che consentisse di difendere, anche sul piano della storia delle idee – in cui aveva deciso a ragione di proseguire la sua battaglia – la metamorfosi regressiva dal punto di vista storico-politico.

Ciò ha portato, dal punto di vista filosofico, a un’apologia di Hegel che ha condotto Losurdo, da un lato a forzare la reinterpretazione del grande filosofo borghese in chiave progressista e rivoluzionaria, dall’altro a una revisione del marxismo per renderlo compatibile con la propria unilaterale reinterpretazione della filosofia hegeliana. Tanto più che tali reinterpretazioni forzate di Hegel e del marxismo sono state condizionate, in modo sempre più deciso, dalla necessità di giustificare il passaggio della RPC da una forzatura in senso soggettivo dello sviluppo verso una società comunista, al ripiegamento su una forma di capitalismo di Stato con il necessario regresso da una posizione internazionalista a una posizione sempre più apertamente nazionalista.

Dunque arrivando a una prima, per quanto provvisoria conclusione, possiamo dire che Losurdo è riuscito nella titanica impresa di rilanciare il marxismo quale punto di approdo della filosofia classica tedesca. In tal modo ha avuto ragione dell’ideologia dominante postmoderna che mirava a fare non solo di Marx, ma anche di Hegel un ‘cane morto’. In secondo luogo ha contrastato in modo altrettanto titanico il revisionismo imperante nell’interpretazione di Hegel, che mirava a rileggerlo in senso reazionario in chiave romantica e mistica o in senso conservatore, reinterpretandolo dal punto di vista della filosofia della riflessione kantiana, sacrificando l’aspetto rivoluzionario del metodo dialettico hegeliano. Discorso analogo vale per la reinterpretazione antirevisionista di Marx operata da Losurdo, non più volta a renderlo accettabile alla nuova temperie dominante postmoderna o a ricondurlo a Kant, in entrambi i casi contrapponendolo a Hegel. Losurdo ha avuto il grande merito storico di ristabilire il decisivo nesso fra la filosofia di Hegel e il suo sviluppo nel pensiero rivoluzionario di Marx. D’altra parte però, risentendo del clima di restaurazione liberista in cui siamo costretti a operare, invece di riconsiderare in termini non più dogmatici il superamento dialettico operato dal marxismo nei confronti dello hegelismo, ha tentato di sfumare quanto più possibile le differenze fra Hegel e Marx. Sino a considerare un retaggio utopistico e anarchico gli aspetti del marxismo in cui più netto è il momento del togliere, del negare piuttosto che quello del conservare l’eredità hegeliana.

14/07/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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