Acotto contro Agamben, ovvero miseria del “nudo eloquio” agambeniano

Una recensione del libro di Edoardo Acotto Contro Agamben – Una polemica filosofico-politica (ai tempi del Covid-19) (editore Scienze e Lettere): un testo importante per riflettere sull’avvenire della sinistra.


Acotto contro Agamben, ovvero miseria del “nudo eloquio” agambeniano

La pubblicazione di Contro Agamben – Una polemica filosofico-politica (ai tempi del Covid-19) (editore Scienze e Lettere) rappresenta un’importante occasione di riflessione, in particolare a sinistra. L’autore, Edoardo Acotto, sceglie un bersaglio polemico significativo per prendere parte a uno scontro in atto da lungo tempo, contribuire a scriverne un nuovo capitolo e riportare così l’attenzione sul nesso vitale che lega elaborazione filosofica, natura e trasformazione delle relazioni sociali e lotta politica.

Il dramma della pandemia da coronavirus, il clima da stato d’emergenza nel quale siamo da quasi due anni immersi, hanno prodotto un effetto chiarificatore: a fronte della minaccia, il pluralismo liberal-libertario che segna la contemporaneità nelle società occidentali e che produce incessantemente il frutto mostruoso delle cosiddette post-verità, cede il passo alla necessità di tracciare linee di demarcazione nette. Alla dittatura dell’opinione soggettiva, non vincolata alla giustificazione razionale, si sostituisce per necessità la ricerca della comprensione del fenomeno in sé, funzionale all’elaborazione di nette decisioni politiche. 

Se per un verso ciò ha evidenziato l’incontrastato monopolio dell’orientamento etico delle nostre società costituitosi a favore delle classi dominanti dopo la caduta del Muro di Berlino (da un lato le scelte di governo, dall’altro un chiacchiericcio, una cacofonia di recriminazioni e lamentele che annulla ogni possibile, organica, alternativa politica ed elude completamente il problema di un antagonistico governo complessivo del fenomeno), sul terreno del pensiero si è venuto evidenziando - e con una chiarezza senza precedenti nell’ultimo mezzo secolo – quale concreto spartiacque divida razionalismo e irrazionalismo filosofico e come ciò abbia dirette, poderose conseguenze sulle nostre stesse vite. L’enorme forza materiale rappresentata dal pensiero che s’impadronisce di grandi masse si manifesta come il fattore decisivo del controllo sociale nel nostro tempo.

In questo quadro, un filosofo come Giorgio Agamben, con la sua interpretazione del paradigma biopolitico foucaultiano e con la sua appassionata, nietzschiana denuncia della riduzione dell’essere umano alla “nuda vita” come annullamento della sua pulsione timotica alla base dalle dinamiche del controllo sociale, non poteva che assumere le posizioni che effettivamente ha assunto. 

Acotto, nel costruire la sua polemica politico-filosofica, si dedica innanzitutto a “fare anatomia” della manifestazione e dell’evoluzione di questa presa di posizione, a svelarne e metterne a nudo le contraddizioni e la totale astrazione dal vero. Nel corso di tutta la prima parte di Contro Agamben va delineandosi, attraverso la scomposizione critica delle prese di posizione contenute nel blog del filosofo a proposito della pandemia, una vera e propria dissezione degli artifici retorici, delle suggestioni profetiche, del ricorso a un uso spericolato e fuorviante dell’etimologia in funzione della narrazione, del rigetto organico della conformità della costruzione del pensiero a qualunque sistema logico, dietro cui si cela l’intellettuale mondano e arrivista intento a occupare il proprio palcoscenico sociale.

Ecco, dunque, che il Covid-19 diventa nella narrazione agambeniana mera “costruzione biopolitica” finalizzata al controllo sociale esercitato da “loro” (in primo luogo i tecnocrati della medicina moderna, artefici della scissione tra aspetto corporeo e spirituale delle nostre vite indispensabile per il controllo biopolitico) contro di “noi”, dal “loro” arbitrio nell’orizzonte della nostra riduzione, appunto, a “nuda vita”, a esseri tremebondi in preda al desiderio di salvaguardare la propria sopravvivenza a discapito del decadimento di un suo qualsivoglia significato. Il compito del filosofo, ancora una volta uomo liberato dalle catene della platonica caverna per gettare uno sguardo alla verità del mondo e tornare a riferirla ai suoi simili ancora avvinti, è quello di denunciare il complotto biopolitico a costo di rischiare il linciaggio mediatico e lo stigma sociale. Salvo che quel vero si riduce a mera costruzione discorsiva, narrativa, finanche profetica, capace di dipingere il quadro fosco e apocalittico di un’umanità privata della propria essenza attraverso il ricatto di una mendace e diabolica salvaguardia della sopravvivenza.

Nella seconda parte del suo scritto, Acotto dedica attenzione alla ricostruzione della genealogia della filosofia agambeniana, passando dal fare anatomia delle posizioni relative al Covid al rintracciarne le radici teoretiche. Ne scaturisce l’immagine di un pensiero che vagheggia una relazione a-logica con il linguaggio, emancipato da qualsiasi negoziazione concettuale. Un pensiero capace d’interpretare alla perfezione la rivolta dell’individuo individualista, ossia proprio dell’ultimo uomo prodotto della società liberale, quello ridotto alla “nuda vita”, che tanto orrore desta negli apostoli della French Theory come Agamben. Per riassumere con le parole utilizzate a proposito di Nietzsche da György Lukáks nel suo vituperatissimo (e in genere assai poco consultato per lettura diretta dai suoi critici) La distruzione della ragione, la “missione sociale” di una simile filosofia non può che consistere “nel «salvare», nel «redimere» questo tipo d’intellettuale borghese, additandogli una via che renda superflua ogni rottura, ogni tensione con la borghesia; una via in cui possa continuare a sussistere il gradito senso di essere ribelli, e venga reso magari più vivo con la seducente contrapposizione di una «più profonda» rivoluzione «cosmico-biologica» alla «superficiale» ed «esteriore» rivoluzione sociale; una «rivoluzione» che mantiene completamente i privilegi della borghesia e che difende con vigore la posizione della privilegiata intellettualità imperialistica parassitaria; una «rivoluzione» che è diretta contro le masse e che conferisce alla paura di perdere la propria posizione di vantaggio, onde sono turbati i privilegiati dell’economia e della cultura, un’espressione patetico-aggressiva che ne nasconde il carattere egoistico”.

Proprio qui risiede la portata politica, di straordinaria importanza per l’avvenire della sinistra e più in generale per le future possibilità di rivolgimenti sociali, della polemica cui Acotto sceglie di dare un contributo. Una filosofia libera da velleità profetiche e apocalittiche, pienamente responsabile per i propri concetti e i propri postulati di fronte al più vasto pubblico possibile, che pienamente e consapevolmente accetti la mediazione concettuale nella misura in cui essa si metta al servizio di un processo dialettico teso a porre incessantemente la questione del vero, nella scienza come nei rapporti sociali, è il presupposto fondamentale per costruire un movimento emancipatorio reale, un nuovo ordinamento dei rapporti sociali

Se certamente la riconciliazione della “nuda vita” (la cui svalutazione in funzione di un sottaciuto – ma culturalmente presupposto – rapporto gerarchico con la dimensione “spirituale” è a sua volta una colpa) con la consapevolezza di sé e l’elaborazione in direzione di un orizzonte etico antagonistico è una nostra ineludibile priorità, la sconfitta del “nudo eloquio” agambeniano (ma non solo), che di fatto crea le premesse per l’abbandono del monopolio della direzione intellettuale e morale della società alle classi dominanti e ai loro rappresentanti, appare come una sua condizione necessaria.

La pandemia ha chiarificato il campo. All’impegno intellettuale e pratico cui Acotto ha scelto, con il suo libro ma non solo, di prendere parte, spetta il compito di renderlo praticabile per una rinnovata battaglia emancipatoria. Per tutte e tutti coloro che a essa vogliano contribuire, Contro Agamben rappresenta una preziosa e raccomandata lettura.

24/09/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessio Arena

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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