Lukács e il concetto di alienazione nella Fenomenologia dello spirito

Nel presente articolo non ci attarderemo a illustrare l’analisi lukacciana delle singole Figure della Fenomenologia, né ci soffermeremo sulla sua interpretazione dell’architettura complessiva dell’opera; intendiamo piuttosto occuparci dell'alienazione, ritenuto da Lukács il concetto filosofico centrale del capolavoro di Hegel.


Lukács e il concetto di alienazione nella Fenomenologia dello spirito

Il riferimento di György Lukács all’aspetto luminoso dell’essere umano in lotta con le oscure potenze sotterranee è relativo alla citazione hegeliana dell’Orestiade di Eschilo, nella quale Apollo e le Eumenidi simboleggiano il conflitto tra l’elemento della luce e l’elemento dell’oscurità, ricomposto dall’intervento esterno di Atena, ma sempre riproducentesi nel corso dell’evoluzione storica dell’umanità. Hegel ha voluto trovare un superamento esterno a questo eterno conflitto piegando la forza oscura dell’elemento sotterraneo – ovvero l’ambito dell’attività economica – al dominio politico dello Stato e ricorrendo per la soppressione delle contraddizioni, non realmente sopprimibili, alla forma teoretica mistificata del soggetto-oggetto identico. Poiché Hegel non poteva andare oltre i limiti della società borghese e non poteva scorgere alternative reali al di là di essa, la sua falsa conciliazione appare a Lukács una conseguenza inevitabile e, tuttavia, bisogna riconoscergli l’onestà intellettuale di aver dato il giusto peso alla tragica e necessaria contraddittorietà del reale, senza scivolare nel pessimismo e nelle fumisterie romantiche e senza avanzare soluzioni astrattamente utopistiche [1].

Sappiamo che ne Il giovane Hegel Lukács si sofferma costantemente sull’intreccio delle due tendenze opposte operanti in ogni tappa dell’evoluzione del suo pensiero: l’una è quella realista, che conferma con il metodo dialettico l’ineliminabilità delle contraddizioni inerenti nella storia e nella società; l’altra conduce Hegel alla conciliazione mistificante delle opposizioni a livello di pensiero. Nel criticare quest’ultimo, Lukács si serve di un criterio di spiegazione “esterno”, facendo ricorso ai condizionamenti esercitati dall’arretratezza tedesca; ma in alcuni luoghi del libro, dove egli si riallaccia alla critica giovanile di Marx a Hegel, abbandona questo criterio e si avvale di un metodo di confutazione che si muove all’interno del metodo dialettico e della sua costruzione idealistica [2]. Abbiamo incontrato l’idealismo acritico di Hegel nell’inversione del rapporto tra economia e diritto, ma tale idealismo ha il suo pendant nell’accoglimento nel sistema di “qualcosa di rozzamente empirico, di cui non può scoprire la vera universalità sociale e filosofica, e lo «deduce» come qualcosa di necessario mediante un movimento apparente, astrattamente teoretico” [3].

Pur mantenendo nel suo pendolarismo interpretativo il contrasto tra metodo dialettico e sistema, Lukács mette a nudo l’“empirismo acritico” che si nasconde nella speculazione hegeliana e che si manifesta particolarmente nella trattazione dei contenuti inerenti alla sfera politica: “egli si trovò costretto, da un lato, a circondare momenti specifici della falsa aureola di una pseudouniversalità, e, d’altro lato, a conferire alle universalità così ottenute un’esistenza indipendente, a sottrarle alla dialettica effettiva della società e della storia, ad irrigidirle in questa indipendenza e a sussumere poi, sotto questo universale reso indipendente, ogni particolare, tutti i fenomeni specifici della società e della storia” [4].

Il metodo della Fenomenologia si fonda su un’unita della considerazione storica e sistematica, sulla persuasione che fra la successione logico-metodologica delle categorie, il loro dialettico scaturire l’una dall’altra, e l’evoluzione storica dell’umanità, sussiste una profonda connessione interna” [5]. Con questa dichiarazione programmatica che apre la sezione de Il giovane Hegel dedicata alla Fenomenologia, Lukács manifesta l’intenzione di dimostrare nel corso dell’esposizione l’origine storica delle categorie logiche hegeliane, ossia la loro capacità di rispecchiamento del movimento e dei rapporti storico-reali.

Nel presente articolo, non ci attarderemo a illustrare l’analisi lukacciana delle singole Figure della Fenomenologia, né ci soffermeremo sulla sua interpretazione dell’architettura complessiva dell’opera; intendiamo piuttosto occuparci del concetto di “alienazione”, ritenuto dallo stesso Lukács “concetto filosofico centrale” del capolavoro di Hegel, e, d’altronde, di primaria importanza nell’evoluzione del pensiero lukacciano.

Secondo la sua ricostruzione della struttura della Fenomenologia, la prima parte (lo spirito soggettivo) è costituita dalla coscienza naturale e comune dell’individuo, il quale si solleva man mano dalla percezione immediata della realtà oggettiva fino a coglierla razionalmente, percorrendo le tappe storiche anteriori dell’umanità, “ma esso non le percorre ancora come storia conosciuta, bensì come una serie di diversi destini umani. Il raggiungimento della razionalità da parte della coscienza individuale consiste in ciò che l’individuo riconosce a poco a poco il vero carattere della società come qualcosa che è stato fatto in comune dagli uomini stessi” [6]. Si tratta della complessa dialettica tra individuo e genere messa in funzione da Hegel, in cui risulta insostituibile il ruolo attivo dell’individuo nella formazione dell’universale del genere. A questo livello “la coscienza individuale si muove in una realtà «alienata» dalla stessa attività umana, ma non è ancora pervenuta alla conoscenza che l’oggettività di questa realtà è il prodotto dell’«alienazione» che essa stessa ha creato” [7].

Nelle prime figure fenomenologiche (stoicismo-scetticismo-coscienza infelice) le aspirazioni individuali si infrangono contro il potere ignoto della realtà oggettiva sociale resasi estranea (Stato di diritto, Medioevo); l’educazione dell’individuo si evolve gradatamente nella misura in cui si sviluppano le connessioni reali che lo legano alla società, quali il bisogno e la sua soddisfazione tramite il lavoro. In altri termini, è il processo storico culminante nella società borghese che porta l’individuo a superare la pura soggettività della coscienza, ed è un processo storico profondamente mediato dal lavoro e dalle attività economiche: “l’uomo che lavora è infatti – per adoperare una terminologia goethiana affine alla dialettica di Hegel – il «fenomeno originario» del soggetto-oggetto identico, della sostanza che diventa soggetto, dell’«alienazione» e della tendenza al suo ricupero nel soggetto. È nel lavoro, nella soddisfazione dei bisogni mediante il lavoro, che la socialità in sé di ogni prassi umana è oggettivamente più vicina al rovesciamento nell’essere-per-sé” [8].

Nella seconda parte (lo spirito oggettivo) – il cui contenuto è relativo al problema della moderna società borghese dopo la dissoluzione dell’immediatezza della bella eticità anticaHegel descrive lo stesso processo dal lato sociale oggettivo, mostrando la necessità che il soggetto si alieni e debba “estraniarsi sempre di più, entrando in connessioni sociali sempre più ricche, facendo di sé – attraverso il suo lavoro, attraverso il suo «affaccendarsi» individuale – il soggetto-oggetto identico di questo rapporto sociale, e arrivando a poco a poco, nel corso di questo sviluppo, nel corso dell’oggettivo dispiegarsi della ricchezza delle determinazioni sociali e della compattezza e autonomia del sistema economico moderno, a riconoscersi, al vertice della sua «alienazione», come questo soggetto-oggetto identico della prassi sociale” [9].

Nella descrizione di questo processo l’appropriazione della sostanza da parte del soggetto, che regge l’intero impianto teorico della Fenomenologia, riceve, secondo Lukács, la forma più chiara e più pregnante; al culmine di esso, nella pura cultura, quando la lacerazione è giunta allo stadio più alto, il soggetto attinge alla comprensione del movimento oggettivo che ha prodotto la realtà dell’alienazione. Siamo in piena Aufklärung [illuminismo]: il riferimento di Hegel è al famoso dialogo di Diderot Il nipote di Rameau, espressione dell’avvenuto passaggio dalla dialettica oggettiva alla dialettica soggettiva; ivi il soggetto alienato è pervenuto alla consapevolezza di tutta la dialettica dell’alienazione.

Note:

[1] T. Perlini vede in questa considerazione di Lukács un riferimento a se stesso, per cui parlando di Hegel egli “traccia un profilo della propria biografia intellettuale, della propria odissea di transfuga della borghesia, nutrito fino al midollo di quel romanticismo pessimista di cui vuole ad ogni costo liberarsi. Hegel è una figura che rimanda a Lukács e Lukács d’altra parte fornisce a Lukács stesso la materia viva di cui servirsi per penetrare nel mondo di Hegel, per riviverlo al fine di comprenderlo. [...] Hegel rappresenta per Lukács la possibilità di dominare col pensiero quelle contraddizioni che egli da giovane aveva avvertito come assoluta inconciliabilità, come pericolo mortale” Perlini, Tito, Utopia e prospettiva in György Lukács, Bari, Dedalo Libri 1968, p. 151.

[2] Nel capitolo dell’Ontologia dedicato a Hegel, Lukács abbandonerà definitivamente il criterio dell’arretratezza tedesca, attenendosi piuttosto a una critica che scardina dall’interno la “falsa ontologia” hegeliana, anche se si servirà ancora della contraddizione metodo-sistema.

[3] Lukács, György, Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft (1948), Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, traduz. di Solmi, R., Einaudi, Torino 1975, p. 539.

[4] Ivi, p. 549.

[5] Ivi, pp. 646-47.

[6] Ivi, pp. 652-53.

[7] Ivi, p. 661.

[8] Ivi, pp. 666-67.

[9] Ivi, p. 681.

 

12/11/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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