Uno dei peggiori danni prodotti sul piano della storia universale dalla dissoluzione dell’Urss è certamente l’affermazione del pensiero unico liberale incentrato sulla fine delle ideologie. Ciò ha significato il discredito per tutte le visioni del mondo diverse da quella dominante che, a differenza delle altre, non viene nemmeno annoverata fra le ideologie, in quanto tende a essere naturalizzata. Del resto la prospettiva del pensiero unico ha cominciato ad affermarsi proprio con il There is no alternative (non ci sono alternative), motto di Margaret Thatcher e dei suoi epigoni socialdemocratici a partire da Gerhard Schröder.
In tal modo è venuto meno lo stesso spirito dell’utopia e persino la speranza in un mondo più giusto e razionale dell’esistente e la grande maggioranza del genere umano è divenuta prigioniera di un eterno presente, della tenebra del quotidiano. Allo stesso modo la maggior parte dei lavoratori salariati e della stessa classe operaia sono regrediti da soggetto potenzialmente rivoluzionario a “plebe sempre all’opra china, senza ideali in cui sperar”.
Cosa ancora più grave è divenuta egemone l’ideologia per cui la stessa lotta di classe non sarebbe altro che una delle tante vecchie ideologie, che sarebbero ormai definitivamente venute meno. Così tanti ex comunisti rimangono sinceramente stupiti che ci sia qualcuno che creda ancora che sia possibile cambiare in meglio le cose attraverso la lotta di classe. In tal modo, si è finito con il naturalizzare l’esistente, in cui la lotta di classe è condotta sempre più unilateralmente dalle classi dominanti contro i subalterni i quali, persa la coscienza di classe, non sono in grado di resistere collettivamente, ma procedono in ordine sparso cercando di schivare i colpi, provando ad adattarsi a un ambiente sempre meno vivibile. In tal modo vi è un generale regresso dei subalterni al regno animale dello spirito. Così, creduti tramontati per sempre gli ideali giovanili, molti sinceri democratici si sono ridotti all’onesta dedizione ai propri compiti particolari, famigliari, professionali ecc., credendo che proprio questo fosse il destino della meglio gioventù. In tal modo la vita dello spirito si è del tutto risolta nella cura del particulare e l’uomo di Guicciardini ha avuto del tutto il sopravvento sull’uomo di Machiavelli.
Così i subalterni hanno progressivamente perduto la propria stessa essenza generica, ossia la capacità di costruire collettivamente il proprio mondo sulla base di un progetto comune razionale e morale, per ridursi come gli animali a cercare di adattarsi al proprio ambiente, come se fosse un habitat naturale. Perciò è venuta meno anche la semplice indignazione verso le classi dominanti che, pur vivendo nel lusso più sfrenato, fanno di tutto per massimizzare i propri profitti sfruttando in modo sempre più svergognato i lavoratori salariati. In tal modo, anche la lotta di classe condotta unilateralmente dall’alto è stata naturalizzata dai subalterni, che considerano un’ideologia del passato quella di poterne prendere parte in modo attivo, resistendo e contrattaccando. Così i colpi sempre più pesanti che si ricevono dalle classi dominanti finiscono con l’essere considerati come la pioggia che non può che cadere dall’alto verso il basso.
Del resto non solo comunismo e socialismo sono considerate ideologie ormai definitivamente superate ma un discorso analogo vale in realtà per la stessa democrazia, quale partecipazione attiva delle masse popolari, organizzate in un partito, per cercare di soddisfare i propri bisogni. In tal modo si è affermato il pensiero unico dominante liberale per cui l’attività politica è un peso gravoso che impedisce di poter dedicarsi al meglio alla cura del proprio particulare. Perciò la soluzione migliore resta quella di delegare la gestione della vita politica – anche perché con la perdita dello spirito dell’utopia si considera ormai impossibile condurre una politica realmente alternativa a quella naturalizzata dall’ideologia dominante – a un ceto di professionisti, di politicanti di professione. A questi ultimi si richiede essenzialmente la serietà e l’onestà di non fare promesse irrealizzabili, perché non fondate sul pensiero unico dominante, bollate in quanto tali come populiste e demagogiche.
In tal modo la democrazia si è ridotta sempre più al recarsi ogni tot anni alle urne per delegare a un politicante di professione la stessa sovranità popolare, per consentirgli di gestire l’esistente, dal momento che credere ancora che esistano delle alternative, significa non aver compreso che le ideologie sono finite. Così i sinceri democratici, preoccupati delle derive sempre più sopra le righe dei populisti e dei demagoghi che ci governano e che rischiano di condurci alla rovina facendo credere che esistano alternative a quanto deciso dai tecnici, dagli esperti che dovrebbero governare in modo anti-ideologico, hanno deciso di fare uno strappo alla regola della delega, recandosi a votare anche alle primarie organizzate dal Pd, ovvero dal partito che incarna nel modo più coerente e rigoroso nel nostro paese il principio del There is no alternative (T.I.N.A).
Tanto più che, dopo la sbornia del renzismo, della rottamazione dei vecchi dirigenti ancora troppo influenzati dal mondo del passato, antecedente alla fine delle ideologie, alle ultime primarie si è presentato come candidato rappresentante del cambiamento nella continuità un politicante serio e affidabile, che evita di fare qualsiasi promessa che possa mettere in discussione il T.I.N.A. e, quindi, non potrà che apparire più credibile e affidabile degli improvvisati politicanti e demagoghi attualmente al governo. Tanto più che non essendo rimasto, come è inevitabile che sia, nessun rappresentante ancora di sinistra nel Pd, dopo la rottamazione realizzata da Renzi, Zingaretti pur non avendo mai fatto una scelta in contrasto con il There is no alternative e avendo fatto di tutto per non essere presentato come rappresentante della sinistra del Pd, ha finito inevitabilmente per coprire l’enorme prateria che si è aperta a sinistra.
Tanto più che Zingaretti si è posto come il più sincero erede del pensiero unico di centro sinistra che ha governato il paese in alternanza con un impresentabile centro destra, accettando l’alleanza in funzione subordinata di quelle forze liberali che ancora si definiscono di sinistra e che coprirebbero da sinistra la politica ultra moderata del nuovo leader del partito.
Del resto, a scanso di equivoci, Zingaretti, dopo aver rivendicato la sua completa adesione alla linea seguita in precedenza dal partito, anche nei suoi aspetti più impopolari, come la cancellazione dell’articolo 18 o il sostegno alla controriforma della Costituzione su cui è caduto il governo Renzi, ha pensato bene di manifestare la sua completa adesione al Tav, divenuta vero spartiacque tra le forze credibili e post-ideologiche e le forze demagogiche e populiste, che ancora danno a credere che sia possibile un modello diverso di sviluppo da quello affermatosi con la globalizzazione capitalista dopo la dissoluzione dell’Urss.
In tal modo, ha confermato la linea renziana di vedere nel centro-destra ultra-liberista e populista berlusconiano il principale possibile alleato, chiudendo ogni possibilità di aprire una interlocuzione con la componente più di sinistra del Movimento 5 stelle. Anzi, nello scontro sempre più duro nella compagine di governo fra il populismo di destra della Lega e quello di centro sinistra dei grillini ha preso decisamente le parti del primo, per dimostrare ancora una volta di essere il candidato più affidabile nel portare avanti la politica del T.I.N.A., naturalmente sostenuta dalla Confindustria.
A ulteriore dimostrazione del suo proporsi come prototipo del candidato post-ideologico, sta facendo di tutto per non incalzare e criticare il governo da sinistra, anche sul punto più delicato della sua politica reazionaria, ovvero la secessione delle ricche regioni del nord, da sempre principale cavallo di battaglia della Lega, ovvero della componente più di destra del governo. Un politico e anche un politicante che vorrebbe realmente mettere in difficoltà l’attuale governo dovrebbe naturalmente sfruttare le contraddizioni che tale politica reazionaria inevitabilmente produce all’interno del governo fra la componente populista della destra radicale e quella social-confusa del M5S che, per altro, ha fatto il pieno dei voti in quel sud che sarà definitivamente abbandonato al suo tragico destino di fanalino di coda dell’Europa dalla secessione dei ricchi.
Inoltre questa politica non può che produrre contraddizioni nella stessa Lega salviniana, che ha sfondato al centro sud, fino a divenire incredibilmente primo partito nelle intenzione di voto, proprio occultando la sua vocazione originaria alla secessione dei ricchi, presentandosi come il partito più decisamente schierato con il nazionalismo inter-classista del “prima gli italiani”. Politica funzionale a rendere del tutto impotente il potenziale soggetto rivoluzionario proletario, sempre più convinto di aver decisamente da perdere nel perseguire una politica rivoluzionaria, vista la condizione decisamente peggiore della forza lavoro immigrata.
Evidentemente non si può essere al tempo stesso garanti del nazionalismo interclassista e portavoci della secessione dei ricchi, a meno che anche quest’ultima non venga presentata all’interno del discorso post-ideologico del There is no alternative, dopo la dissoluzione dell’Urss. In tal caso la tendenza delle regioni più ricche a non ridistribuire nemmeno potenzialmente le proprie ricchezze a favore delle regione più povere e arretrate viene naturalizzata, visto che ognuno non può che pensare ai propri interessi particolari. Tanto più che centrodestra e centrosinistra si erano schierati apertamente per la guerra a chi nella ex Jugoslavia aveva cercato di opporsi alla secessione dei ricchi.
Per non giudicare in modo semplicistico come del tutto irrazionale la spinta di diversi sinceri democratici a rivendicare la loro scelta di campo per le primarie del Pd e per Zingaretti, bisogna considerare che l’ideologia del There is no alternative è decisamente favorita dalla incapacità delle forze della sinistra radicale a rappresentare una reale alternativa alla ex sinistra moderata, divenuta ormai l’ala sinistra del liberismo. A ulteriore dimostrazione di ciò vi è la posizione presa da quello che persino la portavoce di Potere al popolo considera il leader naturale della sinistra radicale o di alternativa, ovvero De Magistris. Quest’ultimo, dinanzi alla secessione dei ricchi, ha assunto una posizione del tutto analoga a quella di De Luca, ovvero del politico che secondo De Magistris il Pd dovrebbe abbandonare, per riaprire un dialogo proficuo con il suo movimento. Come De Luca, così De Magistris hanno in un primo momento sfruttato giustamente la contraddizione del governo che ha fatto il pieno dei voti al sud e che ora sostiene la secessione dei ricchi, proponendosi come antagonisti a questa politica reazionaria che rappresenta la pietra tombale per la stessa questione meridionale. Subito dopo, entrami i politici hanno fatto marcia indietro, nel momento stesso in cui hanno realizzato che tale posizione li avrebbe fatti apparire come ideologici idealisti, che ancora si illudono che sia possibile contrastare il pensiero unico dominante, per cui è del tutto normale e inevitabile che ognuno miri esclusivamente al proprio tornaconto personale. Così, per non essere da meno, anche i politicanti del sud si sono presto schierati per la secessione dei ricchi, in quanto comunque la secessione avrebbe rafforzato il loro potere personale.