Uno Stato senza capo né coda

Naturalmente il capo di uno Stato imperialista non può essere di sinistra, d’altra parte la sinistra perde la sua ragione di essere se non è in grado, attraverso il conflitto sociale, di avere peso nello scenario politico.


Uno Stato senza capo né coda

Lo stato putrescente della politica politicante italiana è rappresentato, nel modo più evidente, dalle elezioni per il capo dello Stato. I partiti politici sono sostanzialmente privi di un candidato. Fra tutti i possibili candidati non ve ne è nemmeno uno che sia stato eletto in parlamento. L’unico “partito” che esprime realmente un candidato è il partito-azienda Forza Italia, che indica il suo proprietario e padre padrone come unico candidato “politico” al Quirinale. Naturalmente, si tratta di un candidato assolutamente impresentabile, tanto che anche i leader più radicali e populisti della destra lo considerano un rospo che sono costretti – per il momento – a ingoiare, ma che rischia di mettere seriamente in discussione l’opportunità per la destra di sfruttare la propria capacità di egemonia sul centro-sinistra nella scelta del presidente della Repubblica. Peraltro, lo stesso Berlusconi non ha ancora sciolto la riserva sulla sua possibile candidatura. Nel frattempo Salvini, mirando a divenire il kingmaker, sostiene di avere pronto un piano B, nel caso la candidatura del caimano non dovesse andare in porto.

Ancora più disperata e disperante è la situazione nello schieramento di sinistra e di centro-sinistra. Per quanto riguarda la sinistra propriamente detta – dal momento che i comunisti nel paese reale sono divenuti veri e propri marziani – sembra completamente scomparsa dai radar, dal momento che appare del tutto assente, ininfluente e incapace di utilizzare leninisticamente come tribuna l’elezione del presidente della Repubblica – non dico per svelare la natura di classe delle istituzioni dello Stato imperialista – ma, quantomeno, per portare avanti la lotta delle idee e provare almeno a sfidare le forze della destra per l’egemonia nella società civile. Certo i grandi elettori di sinistra sono ridotti come mai prima al lumicino ma, cosa ancor più grave, la sinistra si è dimostrata assolutamente incapace persino di individuare e fare campagna elettorale intorno a un proprio candidato, necessariamente di bandiera. L’unica spiegazione plausibile, oltre all’evidente letargo, potrebbe essere l’attitudine della volpe nei confronti dell’uva che non è in grado di fare propria. In altri termini essendo politicamente ormai del tutto incapace di incidere, non riuscendo a tenere testa alla lotta di classe dell’alto con una qualche parvenza di lotta di classe dal basso, si preferisce far finta che la vera sinistra avrebbe ben altro di cui occuparsi rispetto alla determinazione del capo dello Stato, in quanto la sua unica vocazione sarebbe quella di essere riconosciuta nella sua internità ai movimenti sociali.

Anche il sedicente centrosinistra appare quanto mai afono. I cespugli che dovrebbero coprire a sinistra il Partito democratico non sono, al solito, stati in grado di proporre una qualche alternativa, mentre il Pd al momento non è in grado di andare al di là dello scontato no alla candidatura di Berlusconi. Anche i Cinque Stelle, non sapendo che pesci prendere, hanno prima sponsorizzato la candidatura di una donna, qualunque essa sia – in perfetta continuità con il loro qualunquismo – poi si sono schierati per un Mattarella bis (nonostante l’attuale capo dello Stato abbia ripetutamente scartato in modo quanto mai esplicito tale possibilità), hanno pronunciato il loro scontato no alla candidatura Berlusconi, per poi indicare come propria candidata Liliana Segre, nonostante quest’ultima si sia dichiarata indisponibile (“non ho la competenza e ho 91 anni”) e, comunque, nonostante la senatrice a vita abbia affermato che non si candiderebbe mai contro un’altra candidatura come quella di Berlusconi. Su quest’ultima improbabile candidatura di bandiera ha finito per convergere Articolo Uno, in procinto di ritornare nel proprio ovile all’interno del Partito Democratico.

Così, paradossalmente, il centrosinistra, pur avendo quantomeno sulla carta la maggioranza relativa, ha lasciato sino a ora (mercoledì 19 gennaio) la partita completamente nelle mani del centro-destra e lo stesso partito di maggioranza relativa, cioè il Movimento 5 Stelle, è apparso, finora, del tutto ininfluente. Del resto i suoi parlamentari, come la stragrande maggioranza dei propri colleghi, hanno di mira quasi esclusivamente la difesa della propria poltrona, decisamente a rischio in caso di nuove elezioni. Tanto più che i grillini possono rivendicare come principale risultato di essere divenuti un partito di governo, pronto all’alleanza con le più disparate forze politiche pur di difendere le proprie poltrone istituzionali, proprio la riduzione del numero dei rappresentanti della sovranità popolare e, di conseguenza, la già ridotta rappresentanza istituzionale di quest’ultima.

Peraltro la stessa maggioranza relativa del centrosinistra è posta sempre più seriamente a rischio dalla presenza determinante dei renziani interni ed esterni al Partito democratico, centristi della “palude” che sono sempre più tentati, ancora una volta, di votare insieme alla destra un candidato di quest’ultima come Frattini, ministro degli esteri del governo Berlusconi. Senza contare che la componente renziana è quella maggioritaria nel Pd.

Per quanto riguarda il resto del partito, ci si aggrappa o alla speranza di convincere Mattarella alla rielezione o a traghettare Draghi al Quirinale, lasciando la guida del governo a una ministra tecnica del governo Draghi, peraltro vicina a Comunione e Liberazione. In entrambi i casi si tratterebbe di una forzatura in senso presidenzialista della Repubblica democratica e parlamentare italiana e di un trasferimento completo della funzione dirigente dal ceto politico alla tecnocrazia e al principale esponente italiano del capitale finanziario transnazionale

In tal modo anche il Pd dimostra di non avere un proprio candidato, neanche di bandiera, anche perché come unica alternativa di “sinistra” propone Giuliano Amato, un ex esponente del Partito Socialista craxiano, a capo del primo governo tecnico responsabile di una delle più clamorose e devastanti macellerie sociali del paese ai danni delle classi subalterne.

Persino sulla rete appare quanto mai evidente l’assoluta subalternità ideologica della sinistra alla destra, dal momento che l’unica candidatura per cui si sono provate a raccogliere le firme dal basso è l’esponente dell’area cattolica del Pd: Rosy Bindi.

In tal modo, pur non avendo in realtà i numeri, tutta la partita della scelta del capo dello Stato resta nelle mani della destra. Quest’ultima, oltre a essere l’unica ad avere un proprio reale candidato – nell’assolutamente impresentabile Cavaliere (nonostante i suoi sempre più numerosi cloni a livello internazionale, da Bolsonaro a Trump, da Orban a Boris Johnson) – potrebbe mettere un suo uomo a capo dello Stato, grazie alla propria quinta colonna nel fronte di centrosinistra rappresentata dalla ampia compagine dei renziani fuori e dentro il Partito Democratico. Oppure, terza opzione vincente per la destra – peraltro sempre più radicale quanto più la sinistra è divenuta moderata – potrebbe essere incoronare, ricoprendo l’agognato ruolo di kingmaker, l’uomo della provvidenza per il ceto dominante, il massimo esponente delle politiche neoliberiste del capitale finanziario transnazionale e dei governi tecnici, facendo un ulteriore decisivo passo in avanti nella realizzazione completa del piano eversivo in senso antidemocratico della loggia massonica P2, cioè aprendo la strada a un presidenzialismo de facto.

Anche leggendo quanto scrivono gli intellettuali nell’unico giornale sedicente comunista del paese, l’intellighenzia di sinistra – invece di insistere sull’evidente fatto che è la lotta di classe a essere determinante anche nella scelta di chi rappresenterà lo Stato imperialista – cerca di uscire dall’impasse in cui si è cacciata con la sua pusillanimità sostenendo la menzogna ideologica di un capo della Stato super partes, arbitro neutrale, che non può né dovrebbe essere determinato dall’agone politico, né tanto meno potrebbe essere selezionato sulla base del conflitto fra partiti politici che dovrebbe essere determinato – quanto meno in ultima istanza – dai rapporti di forza fra le classi nei conflitti sociali.

Ritorniamo così al celebre apologo della volpe e dell’uva. L’intellighenzia di sinistra non avendo fatto nulla per rianimare il conflitto sociale, non avendo in nessun modo contrastato l’egemonia della destra, non trova di meglio da fare che appellarsi alla menzogna ideologica fondamentale cara da sempre a chi ha realmente il potere, cioè di farlo apparire come un puro e semplice arbitraggio imparziale dei conflitti ideologici, politici e sociali in nome del valore, presuntivamente più elevato, dell’unità nazionale.

21/01/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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