L'augurio è che in quarantena gli italiani inizino a ragionare con la loro testa e che non prevalgano panico e disinformazione.
Siamo in una sorta di stato di eccezione, regole ferree ma indispensabili a tutela della salute e sicurezza collettiva, ma regole che non valgono per molti, per gli operai, i facchini costretti a recarsi al lavoro nonostante gli ambienti ove sono costretti ad operare non siano in linea con i dettami di sicurezza richiesti.
I dati dimostrano come in pochi anni siano stati smantellati 700 posti letto ospedalieri ogni 100.000 abitanti. L'Organizzazione Mondiale della Sanità spiega come nel 1980 i posti letto fossero 922 per 100.000 abitanti, nel 2013 solo 275.
Fatti due conti possiamo asserire, senza smentita, che i tagli dei posti letto abbiano anche decretato la depauperizzazione di tutta la sanità pubblica, la terapia intensiva in primis.
Si sono tagliati posti letto e ospedali, la ricetta liberista applicata anche ai trasporti con la cancellazione di tante tratte giudicate rami secchi, o alla ricerca e alla istruzione pubblica (crollo delle immatricolazioni alle università).
Allo stesso tempo li fondi destinati ai servizi pubblici sono diminuiti drasticamente, è cresciuta la disuguaglianza sociale ed economica. Sempre nello stesso periodo sono cresciute le spese militari, ormai pari al 2% del Pil come richiesto dalla Nato. Per essere ancora più chiari è sufficiente ricordare come una nuova portaerei costi quanto due ospedali con 4 mila posti letto, un caccia da guerra quanto gli impianti di ventilazione per due terzi delle regioni Italiane.
Possiamo anche sbagliare nei calcoli ma il senso della nostra osservazione è di facile comprensione: in 30 anni i ricchi sono diventati più ricchi, è cresciuta la povertà, sono crollati i fondi destinati alla ricerca e all'innovazione. E, nei tempi di contagio, esigere che si riducano le spese militari a favore di quelle per la sanità è un imperativo categorico, dovrebbe essere la comune rivendicazione di quanto resta della sinistra sindacale e politica conflittuale.
In questi giorni le fabbriche sono scese in sciopero, i sindacati confederali si sono svegliati troppo tardi come del resto sempre accade, e quelli di base, dipinti come agitatori di professione, avevano ragioni da vendere nel chiedere la chiusura delle aziende.
Stiamo prendendo atto di una situazione drammatica, Confindustria e il Sole 24 Ore ribadiscono come la produzione possa proseguire indisturbata nonostante l’emergenza coronavirus, pur nel rispetto delle direttive del Dpcm dell’11 marzo.
I datori di lavoro sono obbligati ad adottare misure e cautele ma crediamo assai difficile tutelare la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici mantenendo la produzione e la presenza ravvicinata di operai. E su questo punto il centrosinistra si è dimostrato assai più vicino alle posizioni padronali che al sentire comune della classe lavoratrice.
Le indicazioni poi di incentivare il ricorso allo smart working non si addicono a gran parte dei posti di lavoro, basti pensare che numerose realtà sono abbandonate al loro destino, devono decidere se chiudere e mandare tutti a casa o mantenere aperto con tutti i rischi del caso. Molti enti della Pubblica amministrazione sono paralizzati, in seria difficoltà nell'adottare lo smart working nonostante i dpcm e le circolari, l'arretratezza informatica e tecnologica del pubblico è il risultato di 15 anni di tagli e di spending review.
Il Governo sta preparando un Decreto che a nostro avviso dovrà essere coraggioso per considerare tutte le realtà, subordinate e autonome, colpite da questo autentico tsunami.
A parte la Pubblica amministrazione non esiste alcun obbligo del datore di lavoro privato nella adozione di smart working né viene richiamato a riorganizzare le modalità produttive e gestionali in altro modo.
In questi giorni mancano persino gli aggiornamenti del documento di valutazione dei rischi, si crea confusione tra le competenze suddivise tra Stato e Regioni. La confusione regna sovrana perfino sui servizi essenziali pubblici da garantire sempre e comunque. Il Dpcm dell’11 marzo raccomanda la sospensione delle attività nei reparti aziendali considerati non indispensabili alla produzione, si raccomanda di usufruire dei permessi, dei congedi e dei Rol, sarebbe invece auspicabile un provvedimento valido erga omnes per coprire le assenze senza gravare sui lavoratori, sulle loro ferie, sulle nostre retribuzioni.
Scontiamo i tagli alla Pubblica amministrazione, i mancati investimenti tecnologici nel settore privato, vengono a galla le responsabilità della ubriacatura neoliberista tra tagli, delocalizzazioni, disinvestimenti nel settore pubblico.