Le popolazioni più povere del continente europeo – alle quali appartiene, dal punto di vista sovrastrutturale, anche l’italiana – se non formate dalle lotte, tendono ad assumere una prospettiva opportunista, in certo modo assimilabile a quella della piccola borghesia. Come tale classe nel momento di avanzamento del proletariato tende a schierarsi dalla sua parte, mentre in momenti di arretramento, come l’attuale, è portata a far blocco con l’alta borghesia sperando vanamente d’essere risparmiata; egualmente i settori maggioritari dei popoli economicamente più deboli dell’Europa sperano che, ponendosi a rimorchio dei più sviluppati paesi del “Nord”, potranno sottrarsi alla dura sorte di un Terzo mondo oppresso da scambi ineguali, liberismo a senso unico e occupazioni militari, spesso da parte della stessa Unione europea che resta la più fedele alleata degli Stati Uniti.
A sinistra si fa, innanzitutto, leva sulla razionale aspirazione al superamento di egoismi e conflitti nazionali che un’unione sociale europea garantirebbe. Purtroppo, l’Unione europea non è un contenitore vuoto, neutrale che si possa riempire di contenuti progressisti o reazionari secondo il prevalere di forze di sinistra o di destra. La sua struttura è vincolata, come del resto ogni cosa, al processo storico, che la ha configurata quale nuovo blocco transnazionale in formazione di paesi capitalisti e imperialisti, consolidato negli anni da innumerevoli vincoli e trattati – come quelli di Maastricht, di Nizza, di Lisbona – e da organismi finanziari (la Banca Centrale Europea) con il connesso Patto di Stabilità [1].
Del resto lo stesso trattato costituzionale – che si è prima cercato di imporre dall’alto, poi dopo la sonora bocciatura dei cittadini degli Stati in cui è stato sottoposto a referendum popolare, è stato fatto passare pezzo dopo pezzo alla chetichella fino a essere in buona parte sussunto nel Trattato di Lisbona – era caratterizzato da normative, che nulla hanno con il diritto, strutturate mediante disposizioni coercitive, costantemente sottolineate, che avevano fatto parlare Rossana Rossanda di Costituzione sovietica al contrario [2]. Smentendo tutti gli ideologi (in Italia Norberto Bobbio ed epigoni) che per anni avevano sostenuto la superiorità delle costituzioni borghesi sulle socialiste per la loro struttura formale, volta a fissare regole e procedure per l’esercizio della democrazia [3], il Trattato sancisce alcuni princìpi inerenti la “costituzione materiale” della società, naturalmente orientati al liberismo economico [4]. L’intero Titolo III del trattato costituzionale era permeato dal dogma che la politica economica dell’Unione è gestita “conformemente al rispetto del principio di una economia di mercato”. Dunque, lo stesso trattato Costituzionale europeo era caratterizzato da formule che poco o nulla hanno a che fare con il diritto e che erano strutturate in tutti i sensi tramite disposizioni coercitive ripetute sistematicamente, come l’obbligo di rispettare “la concorrenza che deve essere libera e non falsata” [5].
Contrariamente a una costituzione formale, il Trattato dettava all’Unione la linea della politica economica anche a livello internazionale. Esso pretendeva che i suoi principi liberisti fossero vincolanti per l’intero globo mediante l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) ed altre istituzioni internazionali.
La Costituzione esigeva che l’Unione si battesse ovunque per sopprimere le restrizioni agli investitori, che non sopportano diritti sociali, leggi ambientaliste, diritti umani fondamentali. Tale politica imperialista trova espressione nell’Articolo III-292, che imponeva ai governi un’azione tendente a “promuovere nel resto del mondo” i suoi valori, fra gli altri “incoraggiare l’integrazione di tutti i paesi nell’economia mondiale, mediante la progressiva soppressione degli ostacoli al commercio internazionale” [6]. In tal modo si mira a privare i paesi meno avanzati delle misure in difesa delle giovani industrie nazionali e dei servizi pubblici, senza i quali non è possibile alcuno sviluppo autonomo.
In secondo luogo, si gioca sull’illusione che l’Unione europea possa costituire un ostacolo all’imperialismo più oltranzista degli Stati uniti d’America. Illusione difficile a morire, che ha presa sulla subalternità culturale e sulla scarsa coscienza di classe dei lavoratori; costoro sono inconsapevoli del fatto che – come tutti i marxisti degni di tal nome hanno mostrato – borghesia ed imperialismo sono divisi dalla concorrenza, ma sempre pronti a compattarsi contro gli sfruttati e i popoli subalterni. I diversi capitalisti sono nemici quando c’è da spartire il plusvalore estorto alla forza-lavoro; allo stesso modo i blocchi imperialisti possono anche divergere, come è avvenuto ad esempio nella Seconda guerra del Golfo, sulla spartizione del mondo in aree di dominio economico e geopolitico.
Tuttavia, come i borghesi sono “fratelli-nemici” – in quanto pronti a sanare ogni forma di contrasto se vi è in gioco l’estorsione del plusvalore o una qualsiasi rivendicazione degli sfruttati – allo stesso modo sullo scacchiere mondiale i blocchi imperialisti si compattano per imporre lo scambio diseguale a nazioni sottosviluppate o per contrastare i paesi – come Repubblica democratica popolare di Corea, Cuba, Venezuela, Bielorussia, Iran, Repubblica popolare cinese, Siria ecc. – che si sforzano di realizzare un modello di sviluppo indipendente dalle direttive dei centri sovranazionali posti sotto il controllo dell’imperialismo [7].
In terzo luogo molte pseudo-sinistre, anche “radicali”, in nome della concorrenza agli Stati Uniti finiscono per occultare le politiche antipopolari dell’Unione o addirittura non si oppongono alla costituzione d’un esercito che potrebbe ostacolare lo strapotere militare statunitense, sottacendo che si tratterebbe, nella migliore delle ipotesi, di favorire le mire espansionistiche di un blocco imperialista nei confronti di un altro.
Del resto, l’esercito europeo non può essere scambiato per uno strumento neutro, che potrebbe utilizzarsi per bilanciare lo strapotere statunitense riproducendo un “mondo multipolare”. Certo, il trattato costituzionale risulta infarcito di pie intenzioni quali l’Articolo I-3 – l’Unione “ha come obbiettivo di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli” – prive, tuttavia, di qualsiasi effetto, dal momento che non vengono previste misure per renderle effettive. Non vi è traccia, infatti, d’una legislazione a favore di un disarmo generalizzato, a partire dalle potenze che monopolizzano le armi nucleari, o di articoli rivolti alla soluzione pacifica dei conflitti, né tanto meno il ripudio della guerra presente nella Costituzione italiana. Nel Trattato europeo la politica estera è abbinata alla tematica della sicurezza, come chiarisce l’articolo 41 che, nel paragrafo 3, a scanso d’equivoci, si premunisce di escludere ogni politica di disarmo: “gli Stati membri si impegnano a migliorare progressivamente le loro capacità militari”. Anzi, il trattato costituzionale prevedeva (Articolo I-43) un’“Agenzia europea di difesa” in grado d’attivare “tutte le misure utili per rinforzare la base industriale e tecnologica del settore della difesa”. Si tratta, peraltro, di una “difesa” assai particolare, che implica il vincolo di intervento (Articolo I-43) nel caso in cui “uno Stato membro è oggetto d’un attacco terroristico”.
Il terrorismo è costantemente indicato quale nemico principale da battere, rifacendosi evidentemente alla copertura ideologica utilizzata dagli Stati Uniti per la sua politica d’aggressione imperialista verso i paesi non disponibili a sottostare ai suoi diktat.
Inoltre, come se non bastasse, la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea è vincolata, anche formalmente dal trattato costituzionale, a strutture e compatibilità di una Nato da sempre egemonizzata dagli Stati Uniti d’America. Il tema della sicurezza, grimaldello della politica estera dell’Unione, è declinato all’interno dell’“ombrello protettivo” dell’Atlantismo. Gli apologeti della (a)sinistra hanno tentano vanamente di manipolare un testo che suonava chiaro, in Articoli come il I,41,2: “La politica dell’Unione rispetta gli obblighi derivati dal Trattato del Nord Atlantico per alcuni Stati membri che considerano la loro difesa comune realizzata nel quadro della Nato e compatibile con la politica comune di sicurezza e di difesa definita in questo quadro” [8].
Note: [1] Cfr. Sorini, Fausto, Quando si dice “un’altra Europa”, in www.lernesto.it, 16/06/2005.
[2] Rossanda, Rossana, L’Europa sulla Carta, «Il manifesto», 4 giugno 2003.
[3] Giacché, Vladimiro, Costituzione europea e attacco al lavoro, 20/1/2005, p. 6.
[4] Robert, A.-C., Colpo di stato ideologico in Europa, in «Le Monde diplomatique», novembre 2004.
[5] E’ stato calcolato che il termine “mercato” appare 78 volte nel testo del trattato costituzionale; il termine “concorrenza” 27; al contrario, di “economia sociale di mercato” e di “piena occupazione”, si parla una volta sola (cfr. Merlo, A. M., “La Carta appesa al voto francese”, «Il manifesto», 28 novembre 2004). Sull’ideologia della “società di mercato” rinvio a Giacché, V., “I mille volti di Mr. Mercato”, la Contraddizione, n. 105, novembre 2004.
[6] L'articolo III-314 ribadiva: “l'Unione contribuisce alla soppressione graduale delle restrizioni agli scambi internazionali e agli investimenti esteri diretti e alla riduzione delle barriere doganali e di altra natura”.
[7] Significativa, in tal senso, la testimonianza dell’allora europarlamentare Giulietto Chiesa che documentava la ferma disposizione sulla linea dell’ingerenza dall’esterno della grande maggioranza del parlamento europeo quando si tratta di sostenere movimenti contro-rivoluzionari come quello ucraino o “di togliere di mezzo” presidenti regolarmente eletti come Lukascenko, in quanto s’oppongono al liberalismo più sfrenato. Il nostro testimone, per altro al tempo acritico sostenitore dell’Unione europea, si è “trovato a pensare con sollievo che l’Europa è disarmata”. Cfr. Chiesa, Giulietto, Difendere la Democrazia con realismo, «La Stampa» del 24 gennaio 2005.
[8] A scanso d’equivoci e di interessati silenzi, vale la pena citare anche l’Articolo I,41,7: “Gli impegni e la cooperazione in questo ambito [in caso di aggressione] rimangono in conformità agli impegni sottoscritti in seno alla Nato che rimane, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza della sua messa in opera”.