Raccontava della notte precedente la liberazione di Torino, quella di “Aldo dice: 26x1”. Raccontava della discesa della grande colonna partigiana dal Canavese e l'entrata in città, della notte di sonno in fabbrica, dei combattimenti nelle vie di Torino ancora il 25 aprile 1945. Non si dava ancora spiegazione della ferocia dei cecchini fascisti che in quelle giornate ancora raccoglievano il loro tributo di sangue di donne e di uomini innocenti, per la via, colpevoli di passeggiare e di vivere nonostante la caduta del regime e la fine della guerra.
Raccontava della battaglia contro un tiratore scelto appostato in un appartamento negli ultimi piani di un palazzone, dell'impossibilità di raggiungerlo con l'alzo limitato della mitragliatrice e della figura provvidenziale del colosso partigiano che issando l'arma consentì di spazzare via finalmente l'incubo dell'orrore nazifascista, insieme a pezzi di balcone e calcinacci.
Alfio Novelli, il biondino come lo chiamavano gli amici, è stato uno dei più giovani partigiani d'Italia. Tra i 15 e i 16 anni, nel '44, aderì alla Resistenza nelle fila delle Brigate Garibaldi in Piemonte. Con lui si è spenta pochi giorni fa, a Genzano in provincia di Roma dove viveva da molti anni, una delle ultime voci dei protagonisti di uno dei rari momenti gloriosi e di autentica liberazione della storia per altri versi modesta di questo nostro triste e iniquo paese.
Di questa iniquità dell'Italia uscita dalle macerie della guerra e dalla lotta di liberazione, Alfio era ben cosciente e questa coscienza lo amareggiava per il prezzo così elevato pagato dai suoi giovani compagni rimasti per sempre in montagna.
Per questo motivo, credo, Alfio in anni recenti ha scritto in un suo bel libro: “Non tornerò mai più lungo gli impervi sentieri della montagna, nelle vecchie postazioni partigiane”.
Tuttavia, il biondino non ha mai fatto mancare la sua voce alla lotta per la ricostruzione di una memoria storica antifascista in Italia. La sua è stata una testimonianza preziosissima su cosa significasse vivere da antifascisti durante il ventennio, sulle condizioni di vita dei combattenti in montagna, sull'eroismo dei compagni dei GAP in città, sul duro inverno tra il 1944 e il 1945, sui giorni della Liberazione a Torino, sulla reazione nell'immediato dopoguerra dei cosiddetti moderati alle conquiste della Resistenza. Ricordava appassionatamente la figura leggendaria del comandante partigiano Nicola Grosa, che sarebbe divenuto suo suocero, dopo il matrimonio con il suo grande amore, Mariella.
Alfio, è stato poi un intellettuale appassionato che non ha mai smesso di abbeverarsi alla fonte della cultura: ingegnere e pertanto formatosi in un ambito tecnico e scientifico, non ha mai abbandonato l'antica predilezione per la scrittura e per la cultura umanistica. Ateo convinto ha trascorso alcuni degli ultimi anni a studiare teologia e discutere con rispettoso dissenso con ogni categoria di credente, compresi i Testimoni di Geova che spesso venivano a fargli visita e che non erano mai scacciati , ma sempre impegnati in uno strenuo dibattito di ordine filosofico, con pazienza certosina. D'altra parte si dichiarava seguace non dottrinario di Hegel, Marx e Gramsci e con una simpatica intimità con Spinoza.
Da uomo di scienza e da tecnico aveva colto i limiti dello sviluppo industriale e dagli anni '90 lavorava a elaborare soluzioni tecnologiche che tenessero conto delle criticità ambientali.
Alfio è stato tutto questo, oltre che un amico paziente e affettuoso per chi ha avuto la fortuna e l'onore di conoscerlo. Salutiamo a pugno chiuso in lui il compagno delle ore difficili e pericolose.
Che la terra ti sia lieve Alfio.