L’anno si è chiuso con un Referendum popolare, il 4 dicembre, di grande significato, dal quale vorrei isolare una questione che a mio giudizio deve essere centrale nella vita politica del paese e di coloro che in questo paese vogliono continuare a costruire, impegnandosi politicamente su piani diversi, l’eguaglianza e la giustizia sociale.
La questione è quella della partecipazione alla vita sociale e politica come elemento da non considerare esclusivo o di proprietà di quelli che “scendono in campo” diventando professionisti della politica. Una partecipazione che può avvenire attraverso forme diverse, perché in Italia l’interesse a capire “come funzionano le cose” e come “dovrebbero funzionare” si è estesa. E le competenze delle persone sono cresciute, grazie anche alla diffusione di sistemi di formazione non- formali.
Le persone vivono e pagano sulla propria pelle le dis-funzioni delle istituzioni e la corruzione politica; la rete, con le sue innumerevoli potenzialità per lo sviluppo di conoscenze che superino le tradizionali tecniche oscurantiste, consente di costruire un proprio percorso e andare oltre, facendo paragoni. E non solo questo, naturalmente.
Ma spesso non ci sono modi e luoghi per aggregare idee, confrontare pensieri e soggettività diverse che stentano ad organizzarsi in movimenti di una certa solidità.
I tentativi ci sono stati e ci sono, però si infrangono in una realtà che sembra assorbire la loro energia inserendola in un flusso inarrestabile di cui la fonte sembra sfuggire a qualsiasi tentativo di controllo e gestione, tanto è autoreferente il capitalismo, che ha movimento e dinamica insiti, propri.
Si aggiunge la crisi dei partiti, come luogo di aggregazione e scuola di formazione politica e di partecipazione alla cittadinanza, che ha lasciato dei vuoti. Non si trova che qualche raro circolo attivo sul territorio, che porti avanti un programma pensato e progettato proprio per dare accesso alla partecipazione attiva, per dare ascolto alla cittadinanza, per organizzare battaglie di lungo respiro (già tanto si è detto). I luoghi così della sinistra vera, a mio giudizio, dovrebbero ri-costituirsi, confrontandosi con la contemporaneità, aprendosi all’accoglienza delle nuove questioni di questa società complessa, con quegli strumenti teorici che sono comunque irrinunciabili, ma da non usare come clave preistoriche, anzi, ri-comprendendoli nell’oggi.
Trovarsi a discutere di un presunto Codice etico, che viene dal vuoto, mancando di idee ben strutturate e concetti validi; di proposte politiche figlie di pensieri sradicati che circolano come virus nella dimensione mediatica e virtuale che della tecnologia utilizzano solo ciò che la rende più inaffidabile. Ecco è questo che dovremmo riconoscere e curare.
Ora, vista la partecipazione al Referendum costituzionale, osserviamo più da vicino proprio quell’istituzione che abbiamo voluto difendere. Questo non è che un primo spunto.
Cosa si fa in Parlamento
Ci sono 950 parlamentari tra Camera e Senato, ma solo una manciata riesce a essere determinante. Nell’indice di produttività la stragrande maggioranza degli/lle eletti/e ottiene un punteggio basso, raggiungibile anche solo con le presenze. Solo il 5% riesce ad avere un’influenza sui lavori dell’aula.
Analizzare l’attività del parlamento italiano e la produttività dei singoli parlamentari, è cosa complessa e in questo dossier di Openpolis, vengono tenuti presenti i diversi fattori significativi.
Una cosa rilevante è l’avere un ruolo chiave, come quello di presidente di commissione, ruolo che non è distribuito in modo uniforme tra i vari gruppi presenti in Parlamento. Un altro ruolo chiave è quello di relatore dei provvedimenti proposti, che può divenire un ruolo di animatore del dibattito e, quindi, conduttore che dà un indirizzo.
Ma avere più di un incarico, politico o istituzionale, come ad esempio avere un ruolo di ministro, o altro in altre istituzioni, riduce la possibilità di incidere e partecipare ai lavori, riduce le presenze e la partecipazioni ai lavori parlamentari.
Certo è che risulta anche un altro dato, cioè che non è la continua presenza a dare un alto indice di produttività al deputato o al senatore, elemento che suscita qualche nodo di riflessione, perché bisogna capire chi sono questi bravi parlamentari sempre presenti e perché la loro incidenza non è così importante: in che modo vengono distribuiti gli incarichi? Quale preparazione hanno o cercano di costruirsi? Per quale motivo risultano eletti: il loro ruolo sembra essere quello di garantire una parvenza di presenza parlamentare quando l’aula (lo vediamo a volte nei servizi giornalistici) è quasi vuota?
Guardando al contesto politico del parlamento italiano, negli ultimi anni, viene fuori che la produzione legislativa italiana è sempre più in mano all’esecutivo. Ma non avevamo dato per certo che perché una democrazia sia equilibrata, è necessaria la illuministica e montesquieuiana tripartazione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario? Anche la nostra Costituzione affida al parlamento la funzione legislativa.
In effetti, col governo Renzi si è portato a compimento il rafforzamento dell’esecutivo che ha fatto registrare un rapporto di 8 a 2: su 10 atti che sono diventati legge solo 2 sono stati del parlamento e 8 del governo. Abbiamo perlopiù assistito ad una dinamica parlamentare di dibattito non tra maggioranza e opposizione o tra gruppi parlamentari, ma tra Governo e Opposizione. Non vogliamo che continui così.
Ecco, chiudo quest’osservazione sul funzionamento parlamentare, tornando al punto d’inizio, sull’importanza del proseguire la strada indicata dal 4 dicembre, sulla quale strada c’è anche il far sì che il Parlamento riprenda il suo pieno funzionamento.