Come per ogni fenomeno anche nell’analisi del Movimento 5 stelle occorre considerare tanto gli elementi progressivi, quanto gli aspetti regressivi, per poter formulare un giudizio storico dialettico e obiettivo. Unicamente mediante un’analisi radicale e realistica della questione sarà possibile elaborare un’azione politica efficace da parte della sinistra di classe.
I continui scandali che rischiano di travolgere le giunte del Movimento 5 stelle, facendo emergere l’impossibilità di governare le contraddizioni sempre più incomponibili di un capitalismo affetto da una crisi sistemica, generano un duplice e contraddittorio sentimento nell’osservatore sinceramente di sinistra. La crisi di un Movimento, che è stato in grado di interpretare in senso populistico e demagogico la profonda rabbia dei ceti sociali subalterni e l’altrettanto profonda frustrazione del ceto medio, apre una vera e propria prateria ai rappresentanti della sinistra di classe che aspirano a tornare a essere l’avanguardia dei ceti sociali subalterni, capace di egemonizzare gli stessi ceti medi. D’altra parte la così rapida perdita di credibilità del Movimento 5 stelle, dinanzi all’incapacità della sinistra radicale di farsi interprete dei reali bisogni dei subalterni, non può che suscitare una doverosa inquietudine. I grandi spazi di azione politica che si spalancano rischiano, infatti, di essere occupati anche in Italia dal populismo della destra sociale o di favorire soluzioni autoritarie della crisi o, infine, di consentire al liberismo compassionevole del governo di apparire il male minore.
La manifesta incapacità della quasi totalità della sinistra radicale di saper sfruttare a proprio vantaggio le contraddizioni del proprio più temibile concorrente, dipendono innanzitutto da una carenza nell’analisi teorica, dovuta in primo luogo all’aver abbandonato lo sforzo di elaborare una propria autonoma visione del mondo in grado di leggere la fase nella sua contraddittorietà e di rendere credibile, ai ceti sociali di riferimento, l’opzione di una uscita a sinistra dalla crisi del capitalismo.
Le ragioni della resistibile ascesa del Movimento 5 stelle
In primo luogo occorre interrogarsi sulle ragioni del successo dei grillini tra le classi popolari, al di là delle evidenti carenze della sinistra radicale di interpretarne i reali bisogni, elaborando un programma minimo credibile. Dal momento che il reale non può che essere il prodotto della volontà razionale dell’uomo, tali ragioni debbono avere anche un significato positivo, ovvero devono corrispondere a un bisogno reale, per quanto inconsapevole, delle masse.
In primo luogo il successo grillino dipende dalla crescente crisi di credibilità della liberal-democrazia, fondata sulla delega della sovranità popolare a un gruppo ristretto di politici di mestiere, in quanto tali facilmente condizionabili dai poteri forti innanzitutto economici. Dinanzi a tale deriva sempre più oligarchica della liberal-democrazia, il M5s è stato in grado di risalire alle origini della democrazia moderna, ossia alla concezione della democrazia diretta quale più efficace antidoto alla corruzione del sistema liberale, fondato sulla delega della sovranità in funzione dei propri interessi economici privati. Ciò ha senza dubbio favorito una rinascita di interesse per la politica da parte di una non trascurabile percentuale della cittadinanza e delle stesse classi medie e popolari, precedentemente sempre più deluse dall’incapacità della sinistra di arginare tale deriva oligarchica della liberal-democrazia. Proprio per questo la progressiva perdita di credibilità del M5s, se non sarà accompagnato da una rinascita della sinistra di classe, non potrà che favorire un ulteriore depoliticizzazione delle masse, terreno fertile per ogni deriva autoritaria e bonapartista.
In secondo luogo proprio la natura ambigua e contraddittoria di un populismo programmaticamente né di destra né di sinistra ha consentito al M5s di occupare uno spazio politico egemonizzato nella maggior parte dei paesi capitalisti da un populismo di destra apertamente xenofobo.
In terzo luogo il M5s ha consentito la rottura della gabbia del bipolarismo, imposta dalla restaurazione liberista, stella polare della Seconda repubblica. Ciò ha consentito di uscire dalla perversa logica secondo la quale l’unica efficace alternativa a Berlusconi o alla Lega era costituita dal liberismo compassionevole dei Prodi, Rutelli, Veltroni e Renzi. In tal modo è emersa, sino a divenire sempre più senso comune, la profonda e perversa analogia fra le politiche portate avanti dal centrodestra e dal centrosinistra.
In quarto luogo il M5s ha rotto il tabù di una critica non in chiave sciovinista alla struttura profondamente oligarchica dell’Unione europea, cardine della restaurazione liberista nel nostro continente. Ciò ha aperto la possibilità di una critica, in senso relativamente progressista, del pensiero unico dominante, costantemente allineato alla vocazione imperialista dell’Ue.
In quinto luogo il M5s ha contribuito in modo non trascurabile alla perdita di credibilità degli strumenti di controllo ideologico delle classi dominanti, denunciando la sistematica disinformazione dei grandi mezzi di comunicazione e di una stampa sempre più di regime.
Il lato oscuro del M5s
D’altra parte, mirando a rappresentare in primo luogo gli interessi del ceto medio e della piccola borghesia, il M5s ne ha fatto proprie tutte le inestricabili contraddizioni. Proprio per la sua natura intermedia fra le opposte polarità rappresentate, nella società capitalista, dal proletariato e dalla grande borghesia, il ceto medio è portato costantemente a coltivare l’illusione di potersi porre al di sopra e al di fuori del conflitto sociale, della lotta di classe. Tali posizioni interclassiste e programmaticamente qualunquiste, di chi si definisce in negativo come né di destra né di sinistra, derivano sul piano strutturale dalla natura contraddittoria della piccola borghesia, proprietaria dei propri mezzi di produzione ma, al contempo, costretta a sfruttare in primo luogo la propria stessa forza-lavoro per poter produrre il necessario plusvalore. Ciò finisce per condizionare, sul piano della coscienza, a livello delle sovrastrutture, le posizioni programmaticamente opportuniste e trasformiste di chi si definisce al di là della opposizione fra destra e sinistra, ossia al di fuori e al di sopra del necessario conflitto sociale, in un modo di produzione fondato sulla divisioni in classi. Così il M5s ha potuto disinvoltamente fare proprie parole d’ordine di sinistra, ovvero critiche del liberismo, e di destra, ossia critiche del socialismo. Anzi, in diverse occasioni non si è fatto scrupolo di abbracciare, in primo luogo in ambito internazionale, posizioni prossime alla sinistra radicale e al contempo posizioni poco distanti da quelle della estrema destra, per sfruttare al meglio le pulsioni xenofobe alimentate dall’ideologia dominante, funzionale alla guerra fra poveri indispensabile per porre al riparo i propri privilegi, sempre più eccessivi e ingiustificabili.
A forza di inseguire le posizioni xenofobe dell’estrema destra – funzionali a scaricare l’impotente rabbia sociale sugli obiettivi più facili, dai Rom agli immigrati clandestini – il M5s ha finito con l’allearsi nel parlamento europeo con forze della destra radicale apertamente razziste. Tali convergenze, talvolta anche sul piano locale con forze dell’estrema destra, non sono, purtroppo, meri accidenti, ma hanno il proprio fondamento nella natura interclassista del M5s da cui derivano le istanze qualunquiste e neocorporative. Al solito, dunque, il fenomeno non può che manifestare l’essenza, ovvero la natura programmaticamente trasformista del M5s che lo porta a cercare alleati, a seconda delle circostanze, in tutte le forze politiche, dall’estrema destra all’estrema sinistra.
Così il M5s non fa che alimentare il peccato originale del parlamentarismo italiano, ossia la tendenza trasformistica che ha reso sempre più impopolare il sistema liberal-democratico. Base ideologica di tale attitudine opportunista è l’illusione, propria della piccola borghesia e del ceto medio, che sia possibile restaurare un utopistico capitalismo dal volto umano. In tal modo si coltiva la pericolosa illusione che non sia il modo di produzione capitalistico – fondato sullo sfruttamento, l’alienazione, la reificazione, la polarizzazione sociale – il problema da risolvere, ma piuttosto la sua governance. Da qui la natura profondamente istituzionalista di un movimento affermatosi cavalcando le pulsioni anti-politiche, al solito fomentate dall’ideologia dominante. Da qui la distopia giustizialista e il legalitarismo filisteo di cui è connaturato il M5s, che lo ha portato a ridurre la propria politica al moralismo demagogico della lotta alla corruzione e al malcostume, scambiando l’effetto con la causa. Dimenticando, così, che la reale causa della corruzione, sempre più imperante nel sistema capitalistico, dipende dalla preminenza indiscutibilmente assegnata agli interessi privati a discapito del bene pubblico, degli interessi collettivi. Ecco così che, come già avvenuto con l’Italia dei valori, un movimento incentrato sulla lotta alla corruzione e al mal costume, ha finito con il perdere progressivamente di credibilità nel momento in cui si è trovato a dover governare. Tanto più che la logica qualunquista dell’uomo comune, dell’interclassismo, della fine delle ideologie, ha portato il M5s a riciclare il personale tecnico-politico delle precedenti giunte, di centro-destra e centro-sinistra, ereditandone necessariamente il malcostume e la collusione con i poteri forti.
Il giustizialismo, la meritocrazia, fondamento ideologico del liberismo, il legalismo, la tecnocrazia, hanno prodotto inevitabilmente una contraddizione tra il richiamo ai valori originari della democrazia, snaturati dalle politiche neoliberiste, e la natura profondamente antidemocratica di un Movimento non a caso sorto dalla critica ai partiti politici e alla remunerazione dei legislatori, vero e proprio fondamento di ogni potere popolare. Evidentemente il discredito per i partiti politici e per la possibilità stessa dei ceti non ricchi, di poter dedicare il proprio tempo nelle assemblee legislative, non può che favorire le logiche oligarchiche. Ecco così il riprodursi, all’interno del M5s, dei principali guasti prodotti dal demagogismo, dal culto della personalità, alla mancanza di trasparenza nelle decisioni fondamentali, dalla repressione di ogni forma di opposizione sul piano ideologico, che riduce la dialettica interna a un mero scontro per il potere. Infine la critica qualunquista alle ideologie, lo sbandierato interclassismo, le logiche neocorporative fondate su una illusoria comunanza di interessi fra sfruttati e sfruttatori, non possono che aprire la strada, sul piano sovrastrutturale, a un ulteriore avanzamento della distruzione della ragione, cui si contrappone un reazionario revival del mito, in primo luogo di un capitalismo dal volto umano.