Come si combatte oggi l’imperialismo?

Occorre sviluppare un dibattito per riunire il più possibile i comunisti, a partire dall’esigenza concreta di contrastare in maniera efficace nella prassi l’imperialismo. Perciò il dibattito dovrà essere il meno dottrinario e il più concreto possibile.


Come si combatte oggi l’imperialismo?

Sebbene sia molto debole, il movimento comunista nazionale e internazionale continua a dividersi sulla posizione da prendere rispetto alla guerra in Ucraina, che sottintende una questione di più ampia portata, cioè la definizione da dare oggi al concetto di imperialismo. A ciò si lega la problematica di quale imperialismo debba considerarsi il primo nemico da combattere per i rivoluzionari. Occorre, inoltre, ricordare che i comunisti sono veramente tali solo se sono reali avanguardie del proletariato. Generalmente oggi il proletariato non capisce perché bisogna discutere su una questione astratta come il concetto di imperialismo quando i comunisti non sembrano minimamente in grado di incidere sulla realtà. Tanto più del tutto assurdo e assolutamente controproducente è considerato dal proletariato e anche dai simpatizzanti che i comunisti continuino a dividersi quando sono, proprio perché divisi, sempre più impotenti e ininfluenti. Inoltre tanto i proletari che i simpatizzanti temono che una discussione sul concetto di imperialismo sia astratta, capziosa, inefficace, ininfluente, fuori dalla storia e dal mondo e tendenzialmente dogmatica.

Per tutti questi motivi, a meno che non si voglia rimanere comunisti a parole, ma non nei fatti, per tornare a essere avanguardie necessariamente riconosciute è indispensabile che i comunisti portino avanti la discussione in modo costruttivo. Si tratterà, dunque, di sviluppare un dibattito per riunire il più possibile i comunisti, a partire dall’esigenza concreta di contrastare in maniera efficace nella prassi l’imperialismo. A tal proposito occorre sempre ricordare l’insegnamento marxiano per cui vale più un passo del movimento reale che tonnellate di carta di programmi.

Dunque, lo spirito del dibattito deve essere sempre quello di ritrovare le sintesi più condivise e avanzate possibili, per poter riprendere a incidere insieme sulla realtà e tornare ad avere alle proprie spalle una retroguardia reale, senza la quale l’avanguardia resta una pia intenzione o una chimera.

Inoltre il dibattito deve essere il meno dottrinario e il più concreto possibile. Il marxismo può riaffermarsi solo se si dimostra in grado di incidere realmente nella prassi. Del resto, da un punto di vista marxiano è sempre quest’ultima a stabilire chi ha ragione e chi torto anche dal punto di vista teorico.

Quindi, per quanto possano essere considerate dirimenti per un comunista e un marxista tali disquisizioni non devono in nessun modo favorire nuove suicide scissioni all’interno di un movimento che non può più permettersi il lusso di continuare a indebolirsi dividendosi.

Il terreno in cui ci muoviamo è minato in quanto il già diviso e indebolito movimento comunista tende a dividersi sul piano nazionale e internazionale su che cos’è l’imperialismo oggi, sulla natura imperialista o meno del conflitto in Ucraina e su quale posizione prendere su e in questo conflitto. Tale dibattito rischia, al contrario, di essere stoltamente divisivo giacché le stesse diverse anime storiche del comunismo non solo restano fra di loro divise, ma sono profondamente divise persino al proprio interno. In effetti si riscontrano talvolta posizioni le più difformi all’interno delle singole correnti storiche del comunismo e inaspettate convergenze fra tendenze storicamente distanti e contrapposte. Del resto, né fra i terzinternazionalisti, né fra gli stalinisti, i maoisti e i troskisti vi sono posizioni fondamentalmente unitarie, anzi spesso emergono piuttosto le differenze che le convergenze.

Né, naturalmente, la matassa può dirimersi facilmente facendo riferimento alla concezione più internazionalmente accreditata, quella leninista sull'imperialismo. Da un punto di vista teorico ed economico Lenin sottolinea con decisione che l’imperialismo debba essere considerato una fase di sviluppo avanzato del capitalismo. Dall’altra parte non esita un attimo, dal punto di vista pratico e politico – anche sul piano teorico – a denunciare la Russia zarista della sua epoca e l’Italia giolittiana come paesi imperialisti. Anzi, per Lenin, e sostanzialmente per tutto il movimento comunista delle origini, che proprio su questo punto ha rotto con la Seconda internazionale, il nemico primo da abbattere da parte del proletariato è sempre il proprio imperialismo, anche se è arretrato rispetto ad altri sul piano internazionale. Il considerare l’imperialismo avversario del proprio il nemico principale da battere, in quanto costituirebbe la forma più funesta di imperialismo, ha prodotto, come denunciato da Lenin, il socialimperialismo, cioè l’essere socialisti a parole, ma filoimperialisti nei fatti. Fino al tragico voto a favore dei crediti di guerra da parte della componente più opportunista della Seconda Internazionale, che ha favorito  la prima guerra imperialistica mondiale. Naturalmente anche questa posizione non è condivisa da chi ritiene che la situazione sia profondamente mutata rispetto al comunismo delle origini e, perciò, anche i grandi delle origini avrebbero rivisto le loro posizioni per renderle più in grado di interpretare l’odierna realtà.

Da un punto di vista astrattamente teoretico ed economicista la Russia degli zar e l’odierna potrebbero essere definiti paesi capitalisti che non hanno ancora raggiunto la fase di sviluppo imperialista. Dal punto di vista politico la Russia degli zar era il primo nemico che gli sfruttati di quel paese dovevano combattere per emanciparsi secondo Lenin e i bolscevichi. Si tratta ora di comprendere se l’attuale Russia possa essere considerata imperialista dal punto di vista politico in generale e se la sua guerra contro l’Ucraina, nello specifico, possa venir bollata come imperialista. Per dirimere questa questione di non facile soluzione – altrimenti i comunisti e i leninisti non sarebbero così divisi – bisogna sempre ricordare che la realtà è complessa e, perciò, contraddittoria e che, di conseguenza, la teoria per darne conto deve svilupparsi a un livello alto di complessità che sia in grado di ricomprendere al proprio interno anche le contraddizioni reali. Dunque è indispensabile una rigorosa analisi dialettica, senza pretendere di poter risolvere la questione su un piano burocratico e dogmatico. In questo caso tornerebbe a essere necessario che fra il movimento comunista internazionale ci si rifacesse al centralismo democratico, cioè si affrontassero nella discussione più ampia e articolata possibile le complesse questioni in campo, cercando di trovare una sintesi condivisa il più possibile avanzata.

In questa prospettiva si può provare a trovare una sintesi avanzata su un punto: almeno nei paesi della Nato o filo Nato o in paesi non imperialisti sotto attacco della Nato sia quest’ultima il principale nemico da combattere. Nella Nato sono presenti i diversi imperialismi nazionali che andrebbero contrastati, ma anche l’imperialismo più aggressivo, cioè quello statunitense.  Dunque su questa posizione potrebbero convergere sia chi pensa che per i comunisti il primo nemico da sconfiggere sia il proprio imperialismo e chi ritiene che nell’attuale contingenza siano gli Stati Uniti il principale nemico dell’umanità. Nel caso del conflitto ucraino ciò dovrebbe portare a opporsi all’escalation russofoba portata avanti dalla Nato per interposta Ucraina. Questo potrebbe tradursi nell’opposizione alle politiche di riarmo funzionali a sostenere la guerra contro la Russia in Ucraina e a ricostituire il proprio arsenale bellico consumato in tale scontro, battendosi affinché tali spese siano impiegate per rilanciare in primo luogo la scuola statale e il sistema sanitario nazionale. In secondo luogo potrebbe portare a opporsi alle politiche di embargo dettate dalle mire imperialiste della Nato, che portano a far pagare i costi della crisi strutturale del capitalismo ai subalterni mediante l’inflazione. Si dovrebbe, dunque, seguendo lo spirito della Costituzione portare avanti una politica di convivenza pacifica fra i popoli, in primo luogo fra quello statunitense, russo, cinese e dell’Unione europea affinché si evitino escalation militari ed embarghi, i cui effetti negativi ricadono sempre sui ceti subalterni.

Richiamandosi all’articolo 11 della Costituzione bisognerebbe che nei fatti il nostro paese ripudiasse la guerra e si battesse per una soluzione pacifica delle controversie internazionali. Questo, però, significa non solo evitare la guerra imperialista, cioè il progressivo estendersi del conflitto alle forze più aggressive dell’imperialismo, cioè la Nato, ma anche battersi per una pace reale, giusta e duratura, che non sia semplicemente la solita tregua, necessaria a prepararsi in modo più adeguato per la prossima guerra.

A questo scopo ci si dovrà richiamare ai grandi princìpi democratici del diritto dei popoli all’autodeterminazione e alla sicurezza. Il che implica che tanto gli ucraini in generale e le popolazione russofone in particolare possano autodeterminare democraticamente il proprio destino, quanto che non solo gli ucraini, ma anche le minoranze russofone e i russi possano godere della necessaria sicurezza. Ciò potrà avvenire solo attraverso una politica di progressivo disarmo sul piano internazionale, a cominciare proprio dalla contesa Ucraina.

Certo tale posizione potrà essere accusata di idealismo, in quanto non tiene conto che l’imperialismo in quanto tale non può che provocare guerre su scala sempre più ampia, per cercare (vanamente) di aggirare la crisi strutturale del modo di produzione capitalista. Perciò, se ciò non gli sarà impedito da un possente movimento anticapitalista e contrario alle guerre imperialiste una reale pace non potrà che rimanere quella perpetua dei cimiteri.

A questo proposito, sempre nello spirito di una sintesi avanzata, bisognerà essere in grado di stabilire un dialettico equilibrio fra la strategia e le tattiche necessarie alla realizzazione della prima. Da questo punto di vista se i comunisti non sono in grado di sconfiggere da soli l’imperialismo, dovranno operare in funzione della creazione del fronte più ampio, sul piano prima nazionale e internazionale, in grado di contrastare l’imperialismo. Da questo punto di vista diviene decisiva, quale tattica necessaria alla realizzazione della strategia, una adeguata politica delle alleanze con le forze che svolgono una funzione antimperialista in maniera consapevole o inconsapevole, liberamente scelta o solo perché costrette sul piano internazionale. Tali alleanze saranno necessarie se indispensabili, nella fase attuale, alla realizzazione dell’obiettivo finale, cioè al rovesciamento dell’imperialismo. In secondo luogo sarà decisivo chi avrà l’egemonia all’interno di tale alleanza tattica. A questo scopo, i comunisti non potranno che denunciare costantemente alle masse popolari che gli alleati tattici pur necessari in questo momento, rimangono comunque (a seconda dei casi) dei nemici o degli avversari o, quanto meno, degli insidiosi concorrenti da sconfiggere sul piano strategico.

Da questo punto di vista bisognerebbe comprendere in che misura chi si contrappone all’imperialismo sul piano nazionale e internazionale sia nella fase attuale un potenziale alleato tattico necessario all’obiettivo strategico della società comunista e in che misura sia necessario criticarlo dinanzi al proletariato nazionale e internazionale per portare avanti la altrettanto indispensabile lotta per l’egemonia.

Da questo punto di vista bisogna, necessariamente, prendere in primo luogo in esame le forze che si richiamano al comunismo sul piano nazionale e internazionale; in secondo luogo le forze socialiste; in terzo luogo le forze sinceramente democratiche e che si contrappongono coscientemente all’imperialismo da sinistra sul piano nazionale e internazionale. Infine bisognerà prendere in considerazione le forze che si oppongono inconsapevolmente all’imperialismo o che sono costrette a farvi fronte o che vi si contrappongano non in una prospettiva progressista. Dunque, in prima istanza, sarà necessario operare in funzione dell’unità quantomeno di azione, la più ampia possibile, fra forze che quantomeno si autodefiniscono comuniste. Naturalmente anche in questo primo ambito sarà necessario stabilire: l’alleanza con quali delle forze che si richiamano al comunismo sia realmente utile e/o necessaria per il conseguimento del nostro fine ultimo? In secondo luogo occorrerà comprendere in che misura, una volta stabilita l’alleanza, si potrà procedere a una unificazione e in che misura sarà, invece, necessario portare avanti una lotta per l’egemonia?

03/03/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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