“Così muore il diritto d’asilo”, il 24 maggio sciopero dei lavoratori del settore

Il governo vuole smantellare diritti e garanzie per i lavoratori e per i richiedenti asilo, sveltire le procedure ed esternalizzarle: proviamo a fare luce sulle ragioni della protesta


“Così muore il diritto d’asilo”, il 24 maggio sciopero dei lavoratori del settore

Il 24 maggio 2024 i lavoratori del settore dell’asilo (Commissioni Territoriali per il riconoscimento della Protezione Internazionale e Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo) incroceranno le braccia e saranno in presidio a Roma in piazza dei Santi Apostoli a partire dalle ore 11. La mobilitazione, promossa dalla Funzione Pubblica CGIL, prosegue ormai da mesi e questo è il secondo sciopero del settore dopo quello del 17 novembre 2023 che aveva visto già un’adesione elevatissima dei lavoratori e delle lavoratrici che anche in quell’occasione si erano riuniti in presidio sotto la sede della Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo e della Prefettura. Le rivendicazioni sono fondamentalmente incentrate attorno allo svilimento della elevata professionalità dei lavoratori di questo settore, con la conseguente perdita di garanzie per le persone richiedenti asilo in Italia che hanno invece diritto – tanto secondo la normativa europea quanto in base alle garanzie nazionali contenute nell’art. 10 della Costituzione – a vedere la propria situazione esaminata e valutata da personale che dispone delle conoscenze adeguate e che ha ricevuto la formazione necessaria in materia di protezione internazionale. La propaganda politica e giornalistica ci ha abituati da anni a percepire la problematica dell’immigrazione e dell’asilo unicamente in termini operativi e/o securitari: vediamo sui mass media persone che arrivano in Europa o in Italia in condizioni disperate, sbarcano sulle nostre coste, vengono soccorsi dal personale medico, di polizia o dalle agenzie internazionali e poi abbiamo un completo black out sul destino di queste persone fino a che alcuni di loro non ricompaiono agli onori della cronaca nel momento in cui dovessero commettere un qualche tipo di reato o ridursi a dormire per terra nei portici delle nostre città. In questa equazione l’opinione pubblica è scientemente portata a ignorare e mistificare tanto le cause del fenomeno migratorio quanto il suo reale impatto nelle nostre società, dal momento che il binomio propinato è sempre quello di contrapporre ai concetti di “sicurezza” e “decoro” i concetti di “povertà”, “dissenso” e “immigrazione clandestina” forgiando dal nulla dei sillogismi assoluti che, vuoi o non vuoi, hanno colonizzato le menti dell’opinione pubblica: “non tutti gli immigrati sono pericolosi ma tutti gli immigrati sono poveri, quindi tutti gli immigrati sono potenzialmente pericolosi”. Di modo tale che a nessuno interessi granché il destino di questi “potenziali criminali” addosso ai quali gli sfruttatori di lavoro possono affondare indisturbati i propri artigli e ricavarne enormi quantità di profitti nell’indifferenza e disinteresse generale. Ma tant’è. Forse però sarebbe il caso di domandarsi cosa succede a queste persone una volta che al tg cessano le trasmissioni delle immagini di uno sbarco. Cosa accade dopo le disastrose conferenze stampa del governo tese a giustificare l’impossibile quando purtroppo accade anche che allo sbarco non ci si arrivi proprio perché si è morti in mare? Cosa succede invece a queste persone prima che arrivino (come a volte accade) a delinquere, a essere sfruttati nei campi dei caporali, a essere rinchiusi nei lager-CPR dove (come a volte, ancora, accade) alcuni impazziscono o si tolgono la vita? Insomma, cosa diamine c’è nel mezzo?

Ecco, nel mezzo c’è esattamente quella realtà che i lavoratori dell’asilo sono tra i pochi a conoscere e a poter raccontare con un elevato grado di accuratezza e realismo: c’è il calvario di singoli, nuclei familiari, minori stranieri non accompagnati, che attendono mesi e mesi di poter raccontare la storia e i motivi del proprio espatrio e del proprio viaggio per poter sapere se possono essere considerati rifugiati oppure no, se possono provare a costruirsi un futuro in Europa oppure verranno nuovamente espulsi; c’è l’ansia di ottenere i documenti e quindi un’identità, c’è la nostalgia dei propri affetti assieme alla paura, a volte, di dover fare ritorno alla propria casa, c’è lo smarrimento di un Paese sconosciuto di cui non si conosce la lingua e i meccanismi, c’è la paura e il sospetto verso quelli che si mostrano gentili e che poi magari ti incastrano o ti sfruttano proprio là dove pensavi ormai di essere al sicuro, ci sono le file interminabili in Questura anche solo per avere informazioni, ci sono mesi di attesa perché alle Commissioni territoriali il personale è limitato e deve fare tutto e seguire tutti in condizioni di lavoro spesso logisticamente inadeguate e con carichi di lavoro estenuanti. Questi funzionari hanno il compito di calendarizzare degli incontri con questi richiedenti asilo esasperati dal viaggio e dell’attesa in Italia, ogni giorno ognuno di loro sente una, due, tre persone, e ognuna di queste persone ha tutto il proprio vissuto da raccontare in modo da far capire bene cosa l’abbia portata a lasciare il Paese di origine, come sia arrivata in Italia, cosa sia accaduto poi una volta arrivata qui, se ci sono dei profili di vulnerabilità sotto il profilo giuridico e clinico, se ci sono o meno situazioni di sfruttamento lavorativo e/o sessuale in corso in Italia o in altri Paesi  europei, cercando di estrapolare tutte queste complesse informazioni da persone che hanno bisogno di un interprete, dei loro tempi, che a volte sono molto reticenti e che tuttavia non devono e non possono essere ri-traumatizzate nel ripercorrere vissuti drammatici durante il colloquio. E’ facilmente comprensibile a chiunque che non si tratta di un mestiere per nulla semplice e che questi colloqui non sono come andare in posta e fare la fila allo sportello dove un impiegato tratterà la nostra pratica amministrativa: nel corso di questi colloqui c’è bisogno che i funzionari che intervistano i richiedenti asilo conoscano approfonditamente già da prima i contesti sociali, culturali, politici dei loro Paesi di provenienza, altrimenti non potrebbero essere in grado di valutare nel merito né in tempi ragionevoli gli svariati tipi di problemi che vengono loro riferiti; c’è bisogno di fare le domande giuste, poste nel modo giusto, di fornire delle garanzie che si verrà valutati in termini obiettivi, c’è bisogno di conoscere approfonditamente le normative, di riconoscere gli indizi di potenziali situazioni di pericolo e di sfruttamento (poiché le situazioni torbide solo tali proprie perché avvengono nell’ombra e chi ne è vittima non può di norma chiedere apertamente aiuto senza subire ritorsioni), c’è bisogno, per farla breve, di un monte di conoscenze ed esperienza che spaziano dalla storia alla geografia mondiale, dal diritto internazionale a quello comunitario, nazionale, amministrativo e in talune circostanze penale, competenze etnografiche, linguistiche, di costante formazione e aggiornamenti sulle situazioni geopolitiche dei Paesi di origine ecc. Un lavoro altamente specialistico e para giurisdizionale, reso ancora più importante dal fatto che in gioco c’è una valutazione sui diritti fondamentali di persone che peraltro, in sede di giudizio, non possono nemmeno avvalersi, come accade invece per tutti noi, del secondo grado di giudizio: la riforma Minniti del 2017 con la scusa di dover sveltire i procedimenti di riconoscimento della protezione internazionale, stabilì che la decisione negativa della Commissione Territoriale a seguito dei colloqui sopra descritti può essere impugnata dal richiedente asilo in Tribunale (che si baserà principalmente su quanto già riferito nel corso di quel colloquio presso la Commissione, a maggiore riprova della necessità che esso sia svolto da personale competente e con tutti i criteri e le garanzie necessari) ma, avverso una eventuale e ulteriore decisione negativa anche del Tribunale è ammesso il solo ricorso per Cassazione, escludendo l’appello.

A mio parere - e come ho già avuto modo di scrivere negli articoli passati - sono anni che i governi di questo Paese strumentalizzano questo delicatissimo tema, facendo delle persone immigrate carne da macello per le loro esigenze propagandistiche (si veda il sillogismo cui accennavo sopra) e facendo carne da macello anche dei lavoratori e delle lavoratrici del settore che, dopo essere stati reclutati a seguito di un complicato concorso ad hoc ed essere stati in grado, proprio grazie a tali competenze specialistiche, di dare una effettiva accelerazione quantitativa e qualitativa nei processi di riconoscimento della protezione internazionale in questi ultimi anni, oggi si trovano a svolgere le proprie mansioni senza una gratificazione economica adeguata, senza adeguato personale amministrativo di supporto, in eterne condizioni di affanno perché viene loro richiesto di “produrre” quante più decisioni possibili (ogni ministro vorrebbe poter dire di avere risolto il problema migratorio e di avere i numeri sotto controllo, no?) e in tempi ristretti, come imposto dalle cosiddette procedure accelerate. Non solo, quando hanno osato chiedere rinforzi all’amministrazione, il Ministero dell’Interno ha risposto con anni di ritardo reclutando manciate di personale in scorrimento dalle graduatorie di altri concorsi del tutto estranei alla tematica della protezione internazionale che, quindi, si ritrovano spesso loro malgrado a svolgere sotto pressione una mansione per cui non possono essere minimamente preparati senza una specifica, approfondita e non frettolosa formazione teorica e pratica. E questo a tutela di tutti: a tutela di questi lavoratori neoassunti che non possono svolgere funzioni di responsabilità e a carattere specialistico senza gli imprescindibili strumenti formativi e di studio, a tutela dei lavoratori che al contrario sono stati assunti per svolgere tali mansioni solo dopo una meticolosa selezione e che dunque hanno tutto il diritto di vedere mantenere garantiti elevati standard di qualità e competenza della professione, nonché a tutela dei richiedenti asilo che, più di tutti, necessitano  di garanzie visto che sulle proprie vite in molti giocano partite dalle quali loro non ricavano alcun vantaggio e che basta uno strafalcione, una leggerezza, una disattenzione per determinare che, dopo anni di privazioni, spese, viaggi, abusi, da un momento all’altro ci si ritrovi clandestini in un CPR, in attesa di espulsione.

Non possiamo certo andare avanti così, normalizzando un mondo in cui milioni di persone sono portate o costrette all’espatrio e raggiungono Paesi dove devono giustificare la loro esistenza e dove le logiche di razzismo e sfruttamento li rendono esseri umani di serie B, finendo spesso incarcerati in strutture fatiscenti ed alienanti senza aver commesso alcuna colpa; ma intanto che lottiamo per costruire un mondo che superi le guerre, lo sfruttamento dell’Uomo sull’Uomo, la logica irrazionale del profitto che travolge qualsiasi altro valore, non possiamo rimanere indifferenti alla crescente disumanizzazione e brutalità delle nostre sedicenti evolute società occidentali e bisogna anzitutto garantire i diritti fondamentali a coloro i quali rischiano di rimanerne maggiormente travolti: le persone vulnerabili, i bambini, gli anziani, i marginalizzati tra cui c’è anche la popolazione immigrata e, non da ultimo, i lavoratori e le lavoratrici che chiedono migliori condizioni di lavoro e stipendi adeguati soprattutto nei casi in cui dal loro lavoro dipenda attualmente la possibilità di garantire maggiori servizi e diritti ad altre persone.

Il governo Meloni, da ultimo, si sta assumendo numerose responsabilità di fronte alla Storia per il modo in cui disumanizza e cancella la sofferenza di quegli esseri umani “di serie B” che la logica fascistoide della compagine di governo non considera se non in termini di tornaconti politici: prova ne siano il delirio di onnipotenza dell’accordo con l’Albania, il decreto Cutro, l’omertosa connivenza con il buco nero delle realtà parallele dei CPR ma anche i posizionamenti scellerati in politica estera che stanno portando il Paese e l’Europa verso scenari in cui ormai si evocano da più parti necessari “sacrifici di sangue” o l’astensione all’Assemblea Generale dell’ONU al voto per il riconoscimento della Palestina.

Tutto questo va fermato è c’è necessità che ognuno di noi ne prenda coscienza e agisca di conseguenza in ogni ambito della propria vita, in quanto cittadini, in quanto lavoratori, in quanto studenti, in quanto persone, senza alcuna separazione di ambiti. E come avrebbe invitato a fare Gramsci: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”.



17/05/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Leila Cienfuegos

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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