Venezuela: Bye Bye dollaro

Maduro risponde alle sanzioni di Trump de-dollerizzando il suo petrolio. Un colpo allo strapotere del dollaro nei pagamenti internazionali e all'egemonia americana.


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Secoli di predazioni prima e colonizzazioni poi da parte dell'Occidente, annientamento dei nativi, deportazione degli schiavi dall'Africa, subordinazione agli interessi dei dominanti del momento, imposizione di regimi sanguinari, colpi di stato teleguidati, aggressioni militari ed economiche agli insubordinati, questa è la storia dei paesi dell'America latina.

Sull'onda della rivoluzione cubana e nonostante l'attività più o meno palese degli Usa (vedi l'Operazione Condor), le cose sono profondamente cambiate negli ultimissimi decenni in Venezuela, Bolivia, Brasile, Argentina, Uruguay, Ecuador, Paraguay, Nicaragua, Panama, Guatemala, Honduras, Salvador. Tanto che si sta assistendo negli ultimi anni a un pericoloso colpo di coda degli Stati Uniti che mira a restaurare quella sorta di ancien régime, e che purtroppo ha conseguito alcuni successi.

La situazione venezuelana è inseribile in questo contesto. Il “cortile di casa” degli Usa, in cui i due maggiori partiti avevano pattuito la possibilità della loro alternanza al potere purché si salvaguardassero comunque gli interessi delle oligarchie e si assicurasse petrolio a buon mercato alla vicina superpotenza, aveva, con Chavez incrinato gli equilibri del subcontinente e operato attivamente per accordi di collaborazione economia e alleanze con gli altri partner latinoamericani, facendo perfino respingere quello promosso dagli Stati Uniti. Sul piano interno, pur non avendo modificato di molto i rapporti fra le classi, erano stati presi provvedimenti che avevano drasticamente ridotto la povertà e l'analfabetismo, assicurando anche un servizio sanitario di qualità per tutti, grazie alla collaborazione con Cuba.

Non è sorprendente, quindi, che il vecchio padrone abbia approfittato delle difficoltà dovute al dimezzamento del prezzo del petrolio, per fomentare disordini, anche molto violenti e tentativi di colpi di stato, supportati dal vergognoso comportamento della maggior parte dei media.

Di fronte alla determinazione di Maduro di proseguire per la strada dell'indipendenza economica di fatto e anche di rimettere mano alle istituzioni e all'organizzazione economica e sociale del paese, con l'elezione, contestatissima, dell'Assemblea Costituente, Trump, poche settimane fa, ha aggravato le sanzioni economiche contro il Venezuela, sanzioni che impediscono a quel paese di incassare i dollari provenienti dall'esportazione verso gli Usa del petrolio venezuelano e di collocare nel mercato internazionale i titoli della sua compagnia petrolifera pubblica.

L'obiettivo delle sanzioni era quello di aggravare la situazione economica venezuelana, sia bloccando le sue esportazioni di petrolio (decine di milioni di dollari al giorno) e impedendole così di importare beni di prima necessità di cui ha estremo bisogno, tra cui cibo e medicinali, sia aggravando i conti della compagnia petrolifera di stato, e di conseguenza dello stato stesso, fino a portarlo all'impossibilità di pagare i debiti a scadenza, rischiando il fallimento.

Il 27 agosto scorso, all'indomani delle sanzioni, l'ex funzionario della Banca Mondiale Peter Koenig, in una lettera indirizzata al Presidente venezuelano Maduro, definiva la misura di Washington “un ordine esecutivo che schiaccia il Venezuela con le sanzioni economiche più ampie di sempre. Praticamente paralizzano il Venezuela, minacciando di farla precipitare nella carestia… È una guerra finanziaria completa… è uno dei più gravi attacchi criminali che una nazione può imporre ad un'altra nazione”. La lettera prosegue parlando di “tradimento del diritto internazionale”, di “crimine di guerra che mette in pericolo la vita del popolo venezuelano” e stigmatizza la minaccia di Trump di invadere il Venezuela dopo di “disordini e morti” provocati dalla CIA in quel paese.

Non ha tardato la contromossa di Caracas. Il 15 settembre scorso, il ministro dell'Energia e del Petrolio del Venezuela ha annunciato che d'ora in poi il prezzo del petrolio venezuelano non sarà più indicato in dollari, ma nella valuta cinese yuan, segnando un altro passo verso il decadimento dello strapotere del dollaro. Tale strapotere aveva fino a poco fa permesso agli Usa di assorbire come una spugna buona parte della sovrapproduzione mondiale, usando semplicemente la zecca di stato, cioè stampando dollari che venivano accettati in tutto il mondo come la valuta principale dei pagamenti internazionali. La voragine dei conti con l'estero della superpotenza americana veniva colmata con cumuli di cartamoneta stampabile quasi a volontà.

La risposta di Maduro è quanto di meno gradito possa esserci per la controparte: il ruolo internazionale del dollaro è messo in discussione, cosa che in passato ha provocato violente e letali reazioni statunitensi contro chi ha osato tanto, per esempio l'Iraq e la Libia. Ma potrà la superpotenza continuare a lungo a tamponare la sua crisi di egemonia economica con i bombardamenti e i colpi di stato? E sarà sufficiente questo?

Sembrerebbe di no, visto che lo yuan già dal 1° ottobre 2015 fa parte del gruppo di valute di riserva del Fondo Monetario Internazionale, il quale ha dovuto prendere atto della poderosa crescita economica cinese, e che vi fanno parte anche l'euro, la sterlina e lo yen giapponese. La valuta unica americana scaturita dagli accordi di Bretton Woods, e che ha spadroneggiato per 50 anni nei pagamenti internazionali, sta per diventare un ricordo. Inoltre la Cina intende giungere a contratti futures di compravendita del petrolio in yuan. Sarebbe l'addio al monopolio dei petrodollari.

Può bastare? No. La creazione da parte della Cina della banca per le infrastrutture, bypassa gli interventi della Banca Mondiale e sta finanziando importantissime opere nei paesi emergenti, rendendo una realtà in costruzione la nuova via della seta.

Il Venezuela, primo detentore al mondo di riserve petrolifere, sganciando il prezzo del petrolio dal dollaro sferra un altro grave colpo, che potrebbe essere micidiale, se questo esempio fosse seguito da altre nazioni, alla supremazia economica Usa.

La minaccia di intervento militare di Trump, quindi, rappresenta sia un tentativo di riprendere il controllo del petrolio venezuelano, che Chavez aveva soppresso, sia quello disperato di imporre con la forza il predominio del dollaro, messo seriamente in discussione da Cina, Russia, Venezuela ed altri paesi dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. Tutti questi paesi effettueranno gli scambi fra di loro attraverso le rispettive monete locali o attraverso rubli e yuan.

Forse il tramonto degli Stati Uniti bussa alla porta.

23/09/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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