L'uscita del giornale, e di questo stesso articolo, precede di pochi giorni il genetliaco della Nato, il 4 Aprile 1949, 4 anni anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, l'Occidente capitalistico, in nome dell'anticomunismo, dava inizio alla Guerra Fredda.
Quel trattato fu siglato a Washington da 12 nazioni, 10 quelle europee, un terzo o poco meno degli attuali membri Nato, oggi ben 30 con l'espansionismo nell'Est Europeo, dopo il crollo del Muro di Berlino. Nei prossimi anni crescerà ulteriormente il numero degli aderenti con l'adesione di due paesi del Nord Europa.
Della Nato ormai non parla quasi nessuno, perfino nelle aree radicali del movimento contro la guerra sono assai tenui i riferimenti critici, è quasi più facile reperire voci critiche negli Usa che in Europa.
Come si tace sul ruolo della Nato, affidando a pochi intellettuali o sparuti gruppi di attivisti l'immane compito della controinformazione e della denuncia, non si parla della Bussola Europea e dei documenti strategici ufficiali dei Governi e della Ue. Un silenzio eloquente che forse scaturisce anche da imbarazzo o meglio dalla esclusione della guerra stessa dal dibattito politico.
Citiamo un articolo del Trattato originale Nato giusto per conoscere come si presenta questa Alleanza.
“Le Parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o nell'America settentrionale, costituirà un attacco verso tutte, e di conseguenza convengono che se tale attacco dovesse verificarsi, ognuna di esse, nell'esercizio del diritto di legittima difesa individuale o collettiva riconosciuto dall'art.51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate, intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'impiego della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell'Atlantico settentrionale”.
Quanti oggi asseriscono che la Nato sia una alleanza difensiva dovrebbero fare i conti con la annessione di paesi dell'ex blocco sovietico e del progressivo accerchiamento che proprio l'Alleanza sta costruendo, sul piano economico e anche militare, rispetto ai paesi che minacciano l'Ordine, pardon il dominio, a stelle strisce.
Eppure c'è ancora qualcuno, anche a "sinistra”, che ha il coraggio di attribuire l'aumento delle spese militari in Occidente all'aggressione russa contro l' Ucraina; anzi si ritiene Putin la causa dei nuovi e ulteriori processi di militarizzazione dei territori. Tanta tracotanza e ignoranza (perché fin dal 2014 è iniziato il riarmo della Nato con il pressante invito ai paesi membri di accrescere le spese militari fino al 2% del loro Pil) stride con i dati relativi alle spese militari e con quanto scritto nei documenti ufficiali, ad esempio quello del Governo Draghi o il Programma imperiale della Bussola Europea. Una bussola strategica per rafforzare la sicurezza e la difesa dell'UE nel prossimo decennio.
I paesi Nato spendono più di ogni altra nazione per le spese militari, i piani di espansionismo economico e militare anche della Vecchia Europa avverranno in sinergia con la Nato e non in mero subordine.
Gli appelli alla pace in questo lungo anno di guerra sono caduti nel vuoto; la proposta della Cina è stata accolta con troppa sufficienza; perfino i settori radicali del movimento contro la guerra sembrano avere dimenticato l'insegnamento del movimento operaio. Ha ragione Maurizio Lazzarato (Guerra o Rivoluzione, Derive Approdi, 2022) a ricordare l'attualità della critica alla guerra espressa dal movimento operaio e socialista nel lontano 1915, un punto di vista radicale ma senza dubbio più utile di tanti odierni appelli e prese di posizioni "per la pace". Allora i partiti socialisti descrivevano il ricorso al conflitto militare come "volontà di mantenere lo sfruttamento del lavoro umano e delle ricchezze naturali dell'universo". Se guardassimo gli ultimi 30 anni di storia, dalla guerra nel Golfo ai giorni nostri, non sarebbe difficile cogliere l'attualità di quella visione di classe tanto dimenticata quanto vilipesa.
La lettura di Lazzarato attualizza il rapporto tra guerra e rivoluzione non senza alcune asserzioni poco condivisibili (ad esempio l'illusione sulle primavere arabe) ma tuttavia ha un grande merito: riportare la lettura di quanto avviene oggi dentro una analisi marxiana e leninista della realtà.
Fanon scriveva, oltre 50 anni fa, che se vogliamo combattere la guerra bisogna anche prendere in considerazione la quotidiana violenza esercitata dal colonialismo e dall'oppressore di classe (bianchi e razzializzati), invitava a conoscere la realtà, a indagare la violenza semantica del linguaggio, la violenza psichica e la stessa militarizzazione della società. Se si pensa che i 40 anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale siano stati un'era senza conflitti, perseveriamo in una visione errata ed eurocentrica visto che ci sono state rivoluzioni, guerre di liberazione dal colonialismo ma anche i colpi di stato orchestrati dalla Cia nel continente latino americano o la mattanza dei comunisti in Indonesia (la lista sarebbe ancora lunga).
La guerra imperialista e la rivoluzione come risposta alla prima sono i due grandi rimossi nelle narrazioni contemporanee e così operando sfugge all'umana comprensione il nesso tra guerra, crisi economica e crisi sociale, a concentrazione del potere, processi repressivi nei singoli paesi, controriforme statali fino alla stessa appropriazione dei corpi e dei saperi.
Senza guardare allo scontro imperialistico, e da qui la necessità di contestualizzare le letture di un tempo, difficilmente capiremmo le vere cause della guerra in corso e degli altri conflitti, sanguinosi, che l'hanno preceduta, allo stesso tempo risulterebbe incomprensibile il ruolo dell'informatica e della cibernetica, i grandi finanziamenti statali a questi settori dopo la fine del neokeynesismo e della piena occupazione.
Bisogna ammettere che il richiamo al disarmo, per suggestivo che sia, è incompatibile con il sistema capitalistico, le cui punte avanzate traggono sostentamento e vitalità dalla guerra e dalla tecnologia che la supporta. Senza il settore militare l'attuale sistema di produzione imploderebbe. Da qui la ormai famosa definizione del neokeynesismo di guerra per descrivere il sostegno Usa alla produzione militare alla innovazione tecnologica dei sistemi d'arma.
Questa premessa si rende indispensabile anche per analizzare la crescente militarizzazione di scuole ed università, il diffondersi di retoriche militari, la presenza ormai diffusa di soldati negli istituti scolastici di ogni ordine e grado a impartire lezioni di storia e di educazione civica come anche il finanziamento di industrie private del settore bellico accordato a specifici corsi di laurea. Esistono scuole di eccellenza impegnate da anni nella giustificazione giuridica e culturale del militarismo imperante, attive nel costruire sinergie e progetti di ricerca con le industrie di armi.
A pensarci bene quanto sopra scritto è utile a comprendere la ragione del dispiegamento di tante basi militari del passato e di quelle odierne nei paesi a capitalismo avanzato e nelle nazioni collocate in alcune aree geografiche nelle quali imperversa la guerra fredda con la Cina. La ri-lettura di Clausewitz e del ruolo della guerra da parte di Lenin e Mao sarebbero ancora oggi attuali.
E tra le grandi rimozioni non poteva mancare anche il ruolo dello Stato che, dalla prima guerra mondiale del secolo scorso fino ai nostri giorni, risulta tutt'altro che secondario: lo Stato grande imprenditore che investe risorse e procede con l'ammodernamento tecnologico in ambito militare recuperando le nuove tecnologie anche a uso cosiddetto civile. Per decenni esercito americano e Pentagono hanno investito nella “Big science”, fin dai primi anni quaranta del secolo scorso con la bomba atomica. I metodi di produzione della scienza sono via via progrediti con il ricorso alle guerre e ai processi innovativi in ambito tecnologico. Gli scienziati si muovono come capi di impresa o imprenditori presentando i salti tecnologici come una sorta di progresso per l'umanità.
Diventa fin troppo semplicistico pensare alla guerra come mera espressione del potere svincolandoci dai rapporti di forza e di classe, non c'è stato alcun processo di pacificazione dopo il crollo del Muro di Berlino, anzi dal 1989 è iniziata una nuova fase economica e militare nella quale il ricorso alla guerra (quella del Golfo arriva nel 1991) è stato permanente mentre nei paesi a capitalismo avanzato si scatenava un altro conflitto, sotterraneo, contro i subalterni, palesatosi nel crollo del potere di acquisto, negli attacchi ai salari e alle pensioni e attraverso il ridimensionamento del welfare.
L'anniversario della nascita della Nato ricorda a noi tutti\e la natura dell'imperialismo con la quale prima o poi dovremo fare i conti se non vogliamo restare subalterni e ideologicamente omologati alla guerra e al modo di produzione capitalistico.