Per fare fronte alle potenze imperialiste è necessaria la ricostruzione dell’unità del movimento comunista internazionale, l’unico che sarà in grado di rovesciare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria, attraverso la costituente di una Quinta internazionale. Tale processo dovrà procedere di pari passo con la ricostruzione di un partito unico dei comunisti sul piano nazionale. A questo fine sarà necessario lanciare un movimento per la costituente comunista che punti a superare le molteplici organizzazioni in cui il partito comunista, nel senso che davano al termine Marx ed Engels, si è frantumato e che rischiano di costituire più un problema che un’opportunità a tale scopo. La maggioranza di tali organizzazioni partono dal presupposto di essere l’unica reale forza comunista e sarebbero al massimo disponibili a portare avanti un processo di ricomposizione con le organizzazioni a loro più affini.
Sia sul piano nazionale che internazionale si tratterà di superare dialetticamente le rotture storiche per ricostruire un partito unitario in grado di tenere al proprio interno tutte le diverse anime, come erano il partito di Lenin e di Gramsci, i quali hanno fatto di tutto per mantenerlo unito nel momento in cui, tagliati fuori dal ruolo direttivo, vedevano emergere quelle forze centrifughe che hanno finito per dividere fino a ora il movimento comunista.
Oggi, alle forze centrifughe troppo a lungo dominanti in modo unilaterale, dovrebbero affiancarsi delle forze centripete, che pongono in secondo piano le molteplici divergenti sfaccettature per ricostruire una unità di fondo a partire dal minimo comune multiplo, cioè dal programma minimo di classe. L’unità d’azione su quest’ultimo andrà costruita e sperimentata nelle lotte sociali, politiche e ideologiche. I punti centrali della costituente dovrebbero essere lo sforzo inclusivo, che non chiude a priori a nessuna diversa anima del movimento comunista, e la concezione effettiva del centralismo democratico, che mira a ricercare sintesi il più possibile condivise e avanzate.
Il secondo aspetto, indispensabile per ricomporre politicamente la comune classe sociale costituita dal proletariato, consiste nel ricostruire momenti di unità fra le forze comuniste e le forze socialiste. In tal caso dove le forze sono troppo piccole e deboli dovrebbero provare a cooperare insieme in un partito che rappresenti le forze della sinistra (per quanto è possibile di classe) nel suo complesso. Nei paesi in cui tale unità non sia raggiungibile e/o non si dimostri utile, sarà essenziale ricostruire un fronte unico anticapitalista. Ciò significherà ristabilire una unità di azione fra forze comuniste tendenzialmente rivoluzionarie e le forze socialiste tendenzialmente riformiste, la cui scissione e contrapposizione ha finito con il vanificare la forza di espansione della rivoluzione russa del 1917. Sul piano internazionale si dovrà trovare un’unità d’azione fra partiti comunisti, in quanto tali rivoluzionari, e forze socialiste che, ad esempio, guidano gli attuali processi di transizione al socialismo. Nei paesi in transizione, per la mancanza di un base economico-sociale e sovrastrutturale che consentisse di sviluppare subito la transizione al comunismo, ci si è generalmente attestati – anche a causa dello stadio costante d’assedio in cui tali forze sono state costrette a svilupparsi – allo sviluppo di forme di capitalismo di Stato, che avrebbero dovuto costituire la tappa intermedia della costruzione della società socialista. In alcuni casi lo stesso capitalismo di Stato non si è ancora affermato o non si è sufficientemente affermato e deve fare i conti con un sistema misto dove sono in confronto-scontro fra loro le più diverse forme di proprietà e in particolare si assiste alla sfida fra società capitaliste e società improntate al comunismo di Stato e cooperative che già precludono e indicano la direzione di un possibile sviluppo in senso socialista.
Naturalmente in questi paesi, posti sotto un costante stato d’assedio, le ragioni di Stato hanno spesso il sopravvento o debbono comunque trovare una mediazione con le istanze rivoluzionarie di cui dovrebbe essere espressione il Partito comunista. Tutto ciò non rende affatto semplice la collaborazione con forze comuniste che non hanno responsabilità di governo. Fra queste ultime e i paesi in transizione finisce troppo spesso per svilupparsi un dialogo fra sordi, con le forze comuniste che accusano i paesi in transizione di tradimento della prospettiva rivoluzionaria e i partiti al potere che non considerano i partiti comunisti interlocutori all’altezza, essendo spesso divisi e poco riconosciuti come avanguardie dai propri proletari. In altri casi si ha il problema opposto, con organizzazioni comuniste molto deboli che si offrono come portatori d’acqua, essenzialmente a livello di battaglia delle idee nel loro paese, dei paesi in transizione. In tal caso il rapporto fra comunisti e socialisti invece di svilupparsi in uno scontro/incontro, in una relazione dialettica fra alleati tendenzialmente strategici, ma comunque in lotta fra loro per l’egemonia, diviene un rapporto unidirezionale, in cui si cerca di fare di necessità virtù, spacciando i processi di lotta ad esempio fra capitalismo privato e di Stato, come il nuovo orizzonte in cui dovrebbero muoversi gli stessi partiti comunisti.
Al contrario andrebbe sviluppata una proficua dialettica fra fronte unico di classe, contro il comune nemico imperialista, e lotta per l’egemonia fra una linea rivoluzionaria e una riformista. Discorso analogo dovrebbe valere per i rapporti fra i comunisti e partiti socialisti al governo in paesi come il Venezuela, al cui interno e a livello internazionale andrebbe ricostruita una sana dialettica fra socialismo riformista e comunismo rivoluzionario. Allo stesso modo, a partire dai singoli paesi, bisognerebbe ricostituire una unità di azione fra forze comuniste e sinceramente socialiste.
Vi è poi la questione delle alleanze di classe fra le forze comuniste, socialiste e le forze che rappresentano i settori progressisti dei ceti intermedi e della piccola e medio-piccola borghesia. A livello internazionale si tratta di stabilire un fronte comune, nel senso in questo caso di un fronte antiliberista con le forze socialdemocratiche, laburiste o populiste di sinistra, il che significa ad esempio, a livello internazionale, i rapporti da tenere con paesi come il Brasile di Lula, il Sudafrica, la Siria, l’Algeria, il Nicaragua, la Bielorussia e, a livello nazionale, i rapporti da tenere con i cinque stelle “di sinistra”. Anche in questo caso bisognerebbe fare fronte comune contro il neoliberismo, l’ordoliberismo e la guerra imperialista e dispiegare poi una sana lotta per l’egemonia, per stabilire nel blocco sociale progressista, se la direzione la debbano avere forze comuniste, socialiste, socialdemocratiche, laburiste, sinceramente democratiche o populiste di sinistra. In tale ambito rientra anche la necessaria collaborazione, ferma restando la lotta per l’egemonia, con quelle forze in lotta per la liberazione nazionale, come il popolo palestinese o Sarawi o kurdo e anche con le forze religiose di sinistra, come la teologia della liberazione.
Vi è infine la necessità di trovare una alleanza tattica contro nemici comuni, innanzitutto l’imperialismo occidentale o a guida Nato, con quei paesi che svolgono volenti o nolenti una funzione antimperialista, pur non essendo governati da forze di sinistra o progressista. Ad esempio con forze come l’Iran, la Russia, l’Eritrea, o come gli Hezbollah libanesi, i nazionalisti catalani o baschi (non di sinistra) etc. In tal caso sarà importante la cooperazione nella resistenza antimperialista e la aperta lotta per l’egemonia fra forze di sinistra e forze religiose, nazionaliste o capitaliste. Dunque il sostegno a queste forze, quando sono sotto attacco dall’imperialismo – attacco spesso permanente – non toglie l’esigenza dei comunisti di mostrare alle proprie classi di riferimento che si tratta di accordi tattici e che i paesi e le forze politiche con cui è necessario allearsi non offrono nessuna soluzione reale ai problemi e ai bisogni del proletariato.
La questione si complica quando si ha a che fare con un paese come la Russia accusato da più parti di essere o di condurre politiche imperialiste o sub-imperialiste. Dal punto di vista tattico non cambierebbe molto: per quanto imperialista o sub-imperialista una potenza posta sotto attacco dal proprio imperialismo nazionale, continentale o dalla Nato, andrebbe comunque sostenuta tatticamente dalle forze rivoluzionarie. A cambiare sarebbe la critica da rivolgere a tale potenza, con la quale, se necessario, resterebbe possibile una alleanza limitata e provvisoria.
La questione della Federazione russa, come del resto la realtà, è complessa e contraddittoria e va, quindi, intesa mediante una adeguata dialettica. In questa prospettiva si può concludere che presumibilmente l’attuale Federazione russa è caratterizzata da un duplice e contraddittorio carattere – che si esprime anche nella forma di diverse forze economiche, sociali e politiche in lotta fra loro – cioè dalla tendenza ad aspirare a far parte – quantomeno dal punto di vista politico, se non si è in grado ancora dal punto di vista economico – del novero delle potenze imperialiste, ma, al contempo (dal momento che le altre potenze non gli riconoscono tale ruolo e, dunque, non sono disponibili a spartirsi anche con lei il mondo in zone di influenza) la Russia si erge a principale difensore sul piano militare dei paesi posti sotto attacco da parte dell’imperialismo della Nato.