La Cina e la Convenzione del 1948 sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio

Attraverso un uso strumentale e distorto il termine “genocidio”, allo stesso modo dei “diritti umani”, viene utilizzato come arma di propaganda nella nuova Guerra Fredda.


La Cina e la Convenzione del 1948 sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio

Quando 76 anni fa fu adottata la Carta delle Nazioni Unite, gli estensori avrebbero voluto aggiungervi una Carta dei Diritti internazionale, ma non si arrivò a negoziare alcuna bozza. Alla luce delle atrocità della Seconda guerra mondiale, sembrava più importante stabilire i principi di un diritto penale internazionale nei processi di Norimberga e di Tokyo. Fu solo dopo tre anni che l’Assemblea Generale, affidatasi al lavoro accademico del giurista polacco Raphael Lemkin sul “crimine ultimo”, dopo molte discussioni, adottò la Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio il 9 dicembre 1948.

"Homo homini lupus.” La storia registra molte atrocità e massacri, tra cui il genocidio armeno dal 1915 al 1923, il massacro di Nanchino nel 1937 (da 300mila a 500mila persone furono massacrate dall’esercito giapponese nell’occupazione della città cinese, ndtr), l’Olocausto dal 1941 al 1945, il genocidio degli Igbo (nel 1966 si verificarono veri e propri pogrom contro la popolazione di etnia Igbo in Nigeria, con un numero di vittime fra 8mila e 30mila, ndtr), il genocidio dei Tamil in Sri Lanka (anche dopo la fine nel 2009 della guerra civile, sembra continuare la persecuzione della minoranza Tamil, con la denuncia di 60mila persone scomparse, ndtr).

Milioni di esseri umani sono stati sterminati nel corso dei secoli per motivi politici, razziali o religiosi. Uno dei peggiori fu lo “scontro di civiltà” fra il XVI e il XVIII secolo, quando gli europei arrivarono nei continenti abitati che chiamarono unilateralmente Nord e Sud America. Sebbene ci capiti raramente di leggere granché su questo aspetto della “scoperta” dell’America, alcuni storici come il professor David Stannard hanno documentato il crimine mostruoso dell’assalto europeo alle Americhe, che ha provocato la morte di quasi 56 milioni di nativi. Ne sappiamo così poco, perché sono proprio i discendenti dei responsabili a essere al potere – e tutti sanno che i libri di storia sono scritti dai vincitori.

Anche se quasi tutti oggi venerano Martin Luther King Jr., non riscuote molto interesse il suo libro del 1964 Why We Can’t Wait (“Perché non possiamo aspettare”). A pagina 120 leggiamo questo brano emblematico: “La nostra nazione è nata nel genocidio quando ha abbracciato la dottrina secondo cui l’abitante originario americano, l’indiano, era una razza inferiore. Anche prima che arrivasse un gran numero di negri sulle nostre coste, la cicatrice dell’odio razziale aveva già sfigurato la società coloniale. Dal XVI secolo in poi, molto sangue fu versato in battaglie per la supremazia razziale. Siamo forse l’unica nazione che ha cercato, per una questione di politica nazionale, di annientare la sua popolazione indigena. Per giunta abbiamo sublimato quella tragica esperienza in una nobile crociata. Infatti, anche oggi non ci mostriamo disponibili a rigettare o provare rimorso per questo vergognoso capitolo. La nostra letteratura, i nostri film, i nostri drammi, il nostro folklore sono lì ad esaltarlo”.

Queste parole, per quanto difficili da sentire, sono sfortunatamente molto vere. Forse spiegano il motivo per cui questo aspetto dell’eredità di Martin Luther King viene sistematicamente ignorato dai media né viene insegnato nelle scuole superiori e nelle università. Spero sinceramente che un giorno la storia riconosca al Dr. King il merito di aver abbracciato la causa degli indigeni americani. Forse servirebbe un movimento “Indigenous Lives Matter” che aumenti la consapevolezza sul destino di queste “vittime non celebrate” che chiamiamo falsamente “indiani” americani, sebbene non abbiano nulla in comune con il sub-continente indiano.

A quasi 60 anni di distanza dall’uscita dell’avvincente libro del Dr. King, il razzismo contro gli indigeni americani persiste e molti non dimenticano i cartelli che si appendevano nei negozi del South Dakota, vicino alla “riserva” Navajo in Arizona e in tanti altri luoghi del West americano: “vietato l’ingresso a cani e indiani”. Questo tipo di umiliazione è difficile da dimenticare.

Nel periodo di massimo splendore dell’imperialismo e del colonialismo europei durante il XIX e il XX secolo, si sono verificati molti genocidi anche in Africa e in Asia.

È un peccato che, allo stesso modo dei diritti umani, il termine “genocidio” sia stato politicizzato e trasformato in un’arma. Il nuovo gioco consiste nel denunciare i rivali geopolitici e accusarli di genocidio. Ciò avviene sempre più al netto di prove, senza preoccuparsi di consultare l’articolo II della Convenzione, che fornisce una definizione precisa del termine.

È irresponsabile e irrispettoso nei confronti delle vere vittime di genocidio snaturare e utilizzare a mero fine di propaganda il termine, come nel caso delle accuse infondate di “genocidio” nella regione autonoma cinese dello Uygur Xinjiang. Il Paese ha invitato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani a visitare la regione. Ciò, tuttavia, non impedisce ai media dominanti di rilanciare quelle accuse, che hanno una motivazione politica. Si sta persino costruendo un nesso causale tra quell’accusa infondata e la minaccia di un possibile boicottaggio delle Olimpiadi invernali di Pechino. Questo è vergognoso, perché umilia il diritto internazionale e la necessità di cooperazione internazionale.

Il 9 dicembre 2021, la comunità internazionale dovrebbe ribadire il suo impegno nei confronti dei diritti umani, in particolare dell’articolo 20 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (trattato delle Nazioni Unite basato sulla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottato nel 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo del 1976, ndtr), che vieta specificamente ogni forma di odio, sia esso basato su motivi nazionali, razziali o religiosi, nonché la propaganda di guerra, perché è sotto la copertura delle guerre che avvengono i genocidi. 

Oggi più che mai il mondo chiede la pace e ha bisogno del disarmo per il suo sviluppo.

 

Questo articolo è uscito originariamente su “CGTN” ed è stato pubblicato sul sito dell’associazione Friends of Socialist China il 9 dicembre 2021.

 

Alfred de Zayas, autore di questo articolo, é professore di Diritto internazionale presso la Scuola di diplomazia di Ginevra ed ex esperto indipendente delle Nazioni Unite per la promozione di un ordine internazionale equo e democratico.

 

Traduzione dall’inglese di Stefania Fusero. 

 

24/12/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alfred de Zayas

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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