Ancora nulla si sa della sorte dei 43 studenti normalisti scomparsi a Iguala, nello stato di Guerrero, il 26 settembre scorso. Tre narcotrafficanti avrebbero confessato di aver ucciso gli studenti che preparavano una manifestazione, dopo che erano stati attaccati e poi detenuti dalla polizia municipale di Iguala su ordine del sindaco. Nel frattempo il presidente del Messico Enrique Peña Nieto sposta l’attenzione su una presunta cospirazione e rassicura i mercati sulle privatizzazioni previste. In tutto il paese manifestazioni e scontri sotto i palazzi del Potere dietro lo slogan "Vivi li hanno presi, vivi li rivogliamo" #26N #JusticiayVerdad.
Ha dichiarato Enrique Peña Nieto che qualcuno vuole “destabilizzare” il Messico. Ha serrato le mascelle, corrugato le ciglia, sparso enfasi oratoria e brandito il suo dito accusatorio contro qualcuno o qualcosa di cui non ha fornito nome, segni particolari né provenienza ideologica. Una spettacolarizzazione inoffensiva di un discorso pensato con effetti televisivi per dare l’idea di esser diventato la vittima principale di una cospirazione. “Molto rumore e poche noci” dicono i saggi che ne sanno una più del diavolo.
Ma allora non sarebbe stato più logico ascoltare una denuncia formale, davanti alle autorità competenti, su questa presunta cospirazione destabilizzatrice? Non è questo quello che dovrebbe farsi per scoprire di chi si tratta, da dove vengono questi cospiratori, che cosa pensano, come agiscono, chi li finanzia e chi li manda? Tutto questo ben redatto magari da qualche addetto stampa “presidenziale”, senza ambiguità legali e con un pool di avvocati – visto che ne hanno molti -, capaci di chiarire immediatamente, senza “capri espiatori”, l’ampiezza, la durata, la collocazione e le conseguenze di tale cospirazione... tutto davanti a quelle “autorità legali” che sarebbero corresponsabili di congiurare tale minaccia contro il presente ed il futuro di un paese. Non sarebbe questa la cosa migliore anziché pronunciare parole ad effetto mediatico in mezzo agli annunci del rincaro della tequila? E invece...niente.
Sarebbe stato buono anche far precedere la “denuncia” mediatica di Peña, con una diagnosi esatta del momento che il Messico sta vivendo in termini di emarginazione, fame, mancanza di abitazioni, educazione, salute e lavoro. Un quadro preciso della mappa dei latifondisti – aggiornata ad oggi - in tutto il paese, la mappa dei gruppi imprenditoriali e dei banchieri con la loro avidità usuraia ed il loro disinteresse per il malessere crescente nel paese. Buono sarebbe stato avere un quadro meticoloso sul potere del crimine organizzato, la sua penetrazione nelle istituzioni - tutte - ed i morti da questo provocati oltre alle ferite fisiche, psicologiche e politiche. Buono sarebbe stato per capire in che contesto nazionale, ed internazionale, Peña accusa questo qualcuno di voler destabilizzare uno “Stato in fallimento” e per di più instabile da quando è stato varato il pacchetto di riforme neoliberiste che consegnano le ricchezze del paese, la manodopera e le coscienze al commercio transnazionale. Ma non è stato così. Rimaniamo con l’effetto scenico senza nessun contenuto. Lo potete vedere direttamente qui: http://www.proceso.com.mx/?p=388117
Un “vecchio trucco” mediatico, sciocco e semplicista, raccomanda di sollevare più polvere possibile sulle minacce e sugli attacchi provenienti da fonti sconosciute spostando l’attenzione su nemici “diabolici” e criminalizzarli a più non posso. Questo fu il trucco usato per le “Torri Gemelle”, fu il trucco per Pearl Harbor, il trucco di Orson Wells ed il trucco di quasi chiunque voglia “serrare” le fila tra le proprie milizie perché conviene farli sentire sotto minaccia costante. La paura usata come disciplinatrice dell’obbedienza nei confronti delle persone spaventate. Racconto per sempliciotti.
Nello sviluppo di questo “vecchio trucco” concorrono, volontariamente, tutti i sotterfugi mediatici preparati dalla macchina da guerra ideologica borghese per aggiungere il proprio tocco di infamie e canagliate a cottimo, specialmente se sono utili a criminalizzare le lotte sociali o i movimenti di massa che cercano di contribuire al superamento dello stato comatoso in cui il neoliberismo ha sprofondato il Messico. Perfino il democratico più disciplinato sarebbe accusato di “destabilizzazione” se a questo potere servile verso l’impero gli venisse voglia di calpestarlo o linciarlo mediaticamente. Ricordiamo l’esempio di Salvatore Allende.
Quello che Peña in realtà ha fatto è un discorso di avvertimento, per comunicare che il suo “progetto” non si fermerà e questo sì che ha destinatari precisi, ossia gli interessati che negoziano la vendita della PEMEX e di altre molte ricchezze strategiche del Messico. Gli avranno chiesto un gesto per tranquillizzare i mercati. O meglio chi comanda i mercati.
Tutta l’energia profusa dalle sue mascelle e dalla sua sintassi polverosa, non si è vista nelle ore in cui un paese intero continuava a domandarsi: dove stanno i 43 studenti desaparecidos? Chi sono gli autori morali e materiali di questo crimine? Quando ci spiegheranno perché hanno tardato tanto per intervenire in questa tragedia e chi è responsabile dell’inefficienza di quell'intervento tardivo sporcato da negoziati elettoralistici? Che Giustizia ci sarà (rapida e giusta) per i genitori delle vittime...di tutte le vittime assassinate (140.000); di tutti i desaparecidos (30.000); di tutti gli espropriati delle proprie terre, abitazioni e case di origine (300.000)? Nel fiume di parole di denuncia retorica di Peña Nieto, con la sua idea di “destabilizzazione”, non c’è stato né un secondo, né una frase che rispondesse alla domanda di tutte le domande:
Dove stanno i 43? Non ha mostrato alcun interesse o attenzione per la principale e più urgente esigenza di queste ore. Semplicemente ha cercato di passare per vittima di non si sa chi o che cosa. Insistiamo. Vivi li hanno portati via...vivi li rivogliamo!