Lo straordinario incontro di papa Francesco con i movimenti popolari in lotta. La terra, la casa., il lavoro, la democrazia sono diritti inalienabili: dal papa non viene più l’invito alla rassegnazione di fronte all’ingiustizia ma, al contrario, l’invito a “Seguitare la lotta!”, in nome del Vangelo. E noi che facciamo?
Può essere considerata una svolta nei rapporti tra la Chiesa e i movimenti popolari l’incontro che si è realizzato il 28 ottobre scorso in Vaticano tra il papa Francesco e oltre cento rappresentanti dei movimenti di base di tutto il mondo. C’erano esponenti di organizzazioni popolari di ogni provenienza, dai “senza terra” del Brasile ai “cartoneros” argentini, c’erano indigeni, migranti, precari e ancora, come li ha enumerati il papa, “raccoglitori e riciclatori, sarti, artigiani, pescatori, contadini, muratori, minatori, operai di mprese recuperate, membri di cooperative di ogni tipo e persone che svolgono i mestieri più comuni, che sono esclusi dai diritti dei lavoratori, ai quali viene negata la possibilità di avere un sindacato, che non hanno un’entrata adeguata e stabile”; per l’Italia c’erano rappresentanti dei centri sociali come il Leoncavallo, della fabbrica recuperata Ri-Maflow, della rete “Genuino clandestino”, della “Banca etica”.
E c’era pure il presidente della Bolivia, Evo Morales, non come capo di Stato ma come leader indigeno; e c’erano dei vescovi impegnati con i movimenti sociali dei loro Paesi; ed erano lì, tutti insieme: “oggi, ha detto il papa, voglio unire la mia voce alla loro e accompagnarli nella lotta”.
Nel rivolgersi a loro il papa ha paragonato quella riunione ad un “sinodo”, perché sinodo vuol dire “camminare insieme”, ed è proprio questo che dovevano fare “questi movimenti, queste esperienze di solidarietà che nascono dal basso, dal sottosuolo del pianeta”. Camminare insieme, ha detto loro il papa, è “il processo che avete iniziato e che state portando avanti”.
Dunque Francesco si è rivolto a loro non solo come a un gruppo sociale a cui trasmettere un insegnamento, ma come a un complesso di forze popolari che stanno emergendo dal sottosuolo del pianeta, a cui rendere la legittimazione, finora loro negata, ad essere soggetti di storia e di cui la Chiesa benedice e incoraggia la lotta: “Sigan con su lucha” (il papa parlava spagnolo), “Continuate con la vostra lotta, fate bene a tutti noi. È come una benedizione di umanità”.
Il discorso del papa è stato assolutamente inusuale. La Radio Vaticana l’ha definito come una “piccola enciclica sociale”; ma in realtà esso è stato molto di più, è stato un monumento ai poveri, perché i poveri vi sono stati assunti non come i destinatari della “scelta preferenziale” della Chiesa, secondo lo stile della Chiesa latino-americana, ma come i protagonisti di “una realtà molte volte passata sotto silenzio”: la realtà cioè che “i poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano anche contro di essa!”. “Non si accontentano di promesse illusorie, scuse o alibi. Non stanno neppure aspettando a braccia conserte l’aiuto di ONG, piani assistenziali o soluzioni che non arrivano mai, o che, se arrivano, lo fanno in modo tale da andare nella direzione o di anestetizzare o di addomesticare, questo è piuttosto pericoloso. Voi sentite che i poveri non aspettano più e vogliono essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste fra quanti soffrono, tra i poveri, e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato, o quantomeno ha molta voglia di dimenticare”.
Un riconoscimento e una consegna
Di conseguenza il discorso del papa più che un’esortazione è stato un riconoscimento e una consegna.
Il riconoscimento era alla qualità umana e alla dignità di questi protagonisti: mentre la solidarietà è diventata quasi “una brutta parola” che non si deve dire, la vostra solidarietà – ha detto papa Francesco - è nel dare “priorità alla vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni”, è “lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, la terra e la casa, la negazione dei diritti; è far fronte agli effetti distruttori dell’impero del denaro (...) Voi non lavorate con idee, lavorate con realtà come quelle di cui ho parlato e molte altre che mi avete raccontato. Avete i piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta! Vogliamo che si ascolti la vostra voce (...) Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. Che triste vedere che, dietro a presunte opere altruistiche si riduce l’altro alla passività, lo si nega o, peggio ancora, si nascondono affari e ambizioni personali”.
La consegna è stata a lottare per “un anelito molto concreto, qualcosa che qualsiasi padre, qualsiasi madre, vuole per i propri figli: terra, casa e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il papa è comunista. Non si comprende che l’amore dei poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri”.
La terra
La terra vuol dire lottare contro lo sradicamento di tanti fratelli contadini, contro l’accaparramento di terre, la deforestazione, l’appropriazione dell’acqua, i pesticidi inadeguati; combattere contro la fame prodotta dalla speculazione finanziaria che condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, mentre d’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Un vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile. “So che alcuni di voi chiedono una riforma agraria per risolvere alcuni di questi problemi e lasciatemi dire che in certi paesi, e qui cito il compendio della Dottrina sociale della Chiesa, ‘la riforma agraria diventa, oltre che una necessità politica, un obbligo morale’ (...)”.
La casa
La casa. Una casa per ogni famiglia. Ma un tetto, perché sia una casa, deve anche avere una dimensione comunitaria: il quartiere; ed è proprio nel quartiere che s’inizia a costruire questa grande famiglia dell’umanità, a partire da ciò che è più immediato, dalla convivenza con il vicinato. «Oggi viviamo in immense città che offrono innumerevoli piaceri e benessere per una minoranza felice, ma si nega una casa a migliaia di nostri vicini e fratelli, persino bambini, e li si chiama, elegantemente, “personas en situación de calle” (in situazione di strada). È curioso come nel mondo della ingiustizia abbondano gli eufemismi.
Non si dicono le parole con rigore, e la realtà si raggiunge nell’eufemismo. Una persona segregata, una persona messa da parte, una persona che sta soffrendo la miseria, la fame, è una persona “en situación de calle”: parola elegante, no? Potrei sbagliarmi, ma in generale dietro un eufemismo c’è un delitto».
Il lavoro
Il lavoro. “Non esiste peggiore povertà materiale – mi preme sottolinearlo - di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro. La disoccupazione giovanile, il lavoro nero e la mancanza di diritti del lavoro non sono inevitabili, sono il risultato di una previa opzione sociale, di un sistema economico che mette i guadagni al di sopra dell’uomo, se il guadagno è economico, al di sopra dell’umanità o al disopra dell’uomo, sono effetti di una cultura dello scarto che considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi buttare”.
Qui in Italia i giovani disoccupati sono un po’ più del quaranta per cento; significa un’intera generazione, annullare un’intera generazione per mantenere l’equilibrio, per poter mantenere e riequilibrare un sistema al centro del quale c’è il dio denaro e non la persona umana.
Oltre che per la terra, la casa e il lavoro, occorre lavorare per la pace (contro la terza guerra mondiale che si sta facendo a brani, quando “ci sono sistemi economici che per sopravvivere fanno la guerra; perciò si fabbricano e si vendono armi...”) e prendersi cura della natura, contro il saccheggio che ne fa il sistema economico per sostenere il ritmo frenetico di sviluppo che gli è proprio. Ma “il creato non è una proprietà di cui possiamo disporre a nostro piacere; e ancor meno è una proprietà solo di alcuni, di pochi.
Il creato è un dono, è un regalo, un dono meraviglioso che Dio ci ha dato perché ce ne prendiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti”. E qui il papa ha aperto il grande tema dell’ecologia, su cui sta preparando un’enciclica per la quale ha detto che si avvarrà anche dei suggerimenti che gli erano pervenuti da alcuni degli interlocutori lì presenti, come la Via Campesina, la Federazione dei cartoneros “e tanti altri fratelli”.
Ci vuole la democrazia
Il discorso del papa si è concluso con un’investitura, che a questo punto non era più solo ai Movimenti Popolari, ma alla Chiesa stessa e a tutti quelli che non riescono più a tollerare questo sistema e urgono per un cambiamento. Un’investitura che il papa ha fatto discendere direttamente dalle Beatitudini e dal criterio evangelico in forza del quale sono accolti nel regno tutti coloro che a quanti hanno fame hanno dato da mangiare, a quanti hanno sete hanno dato da bere, gli stranieri li hanno accolti, i nudi li hanno vestiti, i malati li hanno curati, i carcerati sono andati a trovarli. Questo – ha affermato il papa - è il nostro programma rivoluzionario. Come realizzarlo? “Alcuni di voi hanno detto: questo sistema non si sopporta più. Dobbiamo cambiarlo, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno.
Va fatto con coraggio, ma anche con intelligenza. Con tenacia, ma senza fanatismo.
Con passione, ma senza violenza. E tutti insieme, affrontando i conflitti senza rimanervi intrappolati, cercando sempre di risolvere le tensioni per raggiungere un livello superiore di unità, di pace e di giustizia”.
Per far questo ci vuole la democrazia. Ma una democrazia innervata, rivitalizzata dai movimenti popolari. “È impossibile immaginare un futuro per la società senza la partecipazione come protagoniste delle grandi maggioranze e questo protagonismo eccede i procedimenti logici della democrazia formale. La prospettiva di un mondo di pace e di giustizia durature ci urge a superare l’assistenzialismo paternalista, esige da noi che creiamo nuove forme di partecipazione che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che sorge dall’incorporazione degli esclusi nella costruzione del destino comune. E ciò con animo costruttivo, senza risentimento, con amore”. Ed ha concluso: “Vi accompagno di cuore in questo cammino. Diciamo insieme dal cuore: nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità data dal lavoro”.
All’obiettivo “nessun contadino senza terra” i partecipanti all’incontro hanno poi affiancato, nella giornata finale dei lavori tenutasi alla Pisana, il principio “nessun popolo senza il suo territorio”, con particolare riferimento al popolo palestinese e al popolo curdo: “tutti i popoli hanno diritto alla sovranità sui loro territori e sulle loro risorse naturali”.
All’unanimità è stata poi approvata una dichiarazione finale dell’Incontro, in cui sono stati ricapitolati i temi e i risultati dei dibattiti. Si è ribadito in essa che “lungi dall’abbandonarsi all’autocommiserazione e alle critiche” i movimenti popolari con “gli esclusi, gli oppressi, i poveri non rassegnati, organizzati” avrebbero affrontato con tutte le loro forze la situazione caotica alla quale ha condotto l’attuale sistema. Ma ormai non più da soli: perché “in questo clima di appassionato dibattito e di fraternità interculturale, abbiamo avuto l’opportunità di assistere ad un indimenticabile momento storico: la partecipazione di papa Francesco al nostro incontro che ha sintetizzato nel suo discorso gran parte della nostra realtà, delle nostre rivendicazioni e delle nostre proposte. La chiarezza e la forza delle sue parole escludono qualsiasi doppia interpretazione e ribadiscono che la preoccupazione per i poveri è al centro stesso del Vangelo. In linea con le sue parole, l’atteggiamento fraterno, paziente e caloroso di papa Francesco con tutti e con ciascuno di noi, in particolare con i perseguitati, manifesta anche la sua solidarietà con la nostra lotta così spesso svalutata e pregiudicata, perfino perseguitata, repressa o criminalizzata”.
Naturalmente non potevano mancare le reazioni. Il papa è stato accusato di ripetere in Vaticano i discorsi che tanti anni fa faceva Toni Negri contro l’ “impero transnazionale del denaro”, che espropria e distrugge uomini e cose, e si fonda sulla guerra. Ma il papa ci aveva tenuto a dire che quell’incontro non rispondeva a un’ideologia; né del resto egli ha una dottrina economica alternativa a quella dominante: questo è compito nostro.
Ma i leaders dei movimenti popolari, anche non cattolici, non avevano avuto difficoltà a riconoscere nel Vangelo la fonte del sostegno dato dalla Chiesa alla loro iniziativa e del pensiero del suo pastore che lotta per la giustizia sociale”.
Ora si tratta di dare un seguito a quest’evento così eccezionale. Il segnale è per una ripresa dell’iniziativa e della “lucha” – della lotta – in tutto il mondo per creare condizioni di giustizia e di pace. Il papa ci ha provato. E noi che facciamo?