Dov’è Dio e dove siamo noi

Il confronto tra Stato e Chiesa sulla messa di Natale è una più ampia lotta per preservare l’importanza di Dio anche durante la pandemia da coronavirus.


Dov’è Dio e dove siamo noi

Il pensiero di Dio è il pensiero dell’uomo che pensa a Dio. Questa in soldoni è la posizione di Ludwig Feuerbach (1804-1872) sulla religione. Naturalmente torna attuale in periodo di pandemia da Covid-19. Infatti è proprio in queste settimane che sta montando la dialettica tra Chiesa e Stato per il problema della messa da seguire in presenza, specialmente durante le festività natalizie, in quanto ricordo che, al di là di regali e cenoni, il 25 dicembre è una festa fondamentale per quasi tutte le chiese cristiane. La nascita di Cristo con quello che ne consegue è ripetuta nel tempo da molti secoli. Notizie se ne hanno dal III-IV secolo d.C., fa parte stabilmente del percorso liturgico annuale ed è diventata, sponsor la vicinanza con il contorno laico-economico-sociale profano (regali e viaggi), la festività più sentita nel nostro paese. L’aspetto religioso non è comunque mai mancato, e anche se nella Pasqua di quest’anno i fedeli sono stati spronati a seguire le messe per la morte e la resurrezione di Cristo con i computer o quant’altro, per l’ovvia incidenza della pandemia, pare che a questo punto il divieto delle messe natalizie o il loro spostamento di orario siano oggetto di un contenzioso più significativo.

Il tutto però non può fare a meno di ribaltarsi proprio sul senso che possiamo dare al pensiero religioso e alla sua importanza per la nostra vita. La vita! Ecco che un attacco alla stessa da parte di un corpuscolo, definiamolo così, insignificante a livello fisico, non riscontrabile con i nostri sensi abituali, la vista per esempio, mette sotto scacco proprio il pensiero religioso. 

Se è sufficiente un virus per sconfiggere la ritualità religiosa e la partecipazione al divino e al rito religioso, alla partecipazione alla vita di Cristo, vuoi vedere che anche le fondamenta teologiche poco si sostengono? Vuoi vedere che questo pensiero resiste ed esiste in situazioni di “normalità” – mettiamo pure in conto guerre, eccidi, genocidi e ammazzamenti di gruppo – ma non tiene in situazioni di eccezionalità, quale appunto può considerarsi una pandemia?

La vita da chi viene? La vita a chi torna? C’entra Dio in tutto questo?

Riprendo un vecchio testo di Elie Wiesel del 1982 nella traduzione in italiano, per la casa editrice Giuntina, Il processo a Shamgorod (così come si svolse il 25 febbraio 1649): in quel luogo, un imprecisato villaggio dell’Europa orientale, un pogrom di ebrei fa risaltare l’importanza del male per l‘umanità. Sì, perché senza il male Dio non avrebbe pienezza di senso e viceversa. Infatti, in quel processo intentato a Dio per avere lasciato solo il suo popolo – gli ebrei del luogo, distrutti da un’uccisione di massa – l’avvocato di difesa nel tribunale approntato in una taverna si scoprirà alla fine essere il diavolo. Il male, senza il Dio del bene, non ha senso. Un rapporto dialettico, anche se escludente, l’uno esclude l’altro. Ma necessario per entrambi.

Nella situazione attuale, come in quelle situazioni analoghe e pandemiche in generale, tale rapporto dialettico, e, ripeto, escludente, salta. La morte, in quest’altro caso, viene senza colpa o con colpa, senza peccato oppure con peccati plurimi, ma viene. E nessuno può essere ritenuto alla lunga responsabile. Manca la controparte. Il virus non ha un Dio come controparte, e non si può dire che sia opera del Maligno. Il virus non conosce Natale e Pasqua, Epifania e Carnevale, domenica e lunedì. La sua presenza è costante e la sua coscienza non esiste. Di fronte a questo fenomeno non si capisce quale possa essere la funzione di Dio.

Non si tratta di sperare che il male sarà alla fine vinto dal bene. Dopo la notte del pogrom, dopo l’olocausto, dopo il genocidio ci sarà sempre Dio. E quindi intanto si può pregare, confidando e credendo in lui.

Ma dopo la notte dell’epidemia ci sarà il giorno della vita e questa sarà stata resa possibile, di nuovo, dalla scienza, altra questione genuinamente umana, così come i virus in fondo sono, in quanto nati su questa terra e distribuiti in mezzo agli umani. La scienza sarà la vincitrice del virus e tra gli scienziati non vi saranno invocazioni a Dio ma il vaccino, altro strumento umano.

Insomma, la pandemia l’umanità se l’è giocata in casa, da sola. L’ha creata e l’ha guarita senza l’apporto del divino. Dio non c’entra e non ha avuto nessuna funzione in tutto questo. Perciò, tragicamente ritorna ancora la lezione di Feuerbach, che veniva da lui sviluppata in modo razionale, materialista. Ritorna in versione sanitaria. Se Dio non ha avuto voce in capitolo rispetto al processo che porta dalla vita alla morte milioni di persone; se Dio viene messo da parte – seguire le messe, trovarsi per pregare ecc. – da un prosaico Dpcm, a cosa serve più ormai questa entità?

Ecco spiegato perché, in presenza di una festività cristiana fondamentale come è il Natale, assieme e forse più della Pasqua che celebra la morte e resurrezione di Dio e però non gode di tutto lo scontato e banale teatro del capitalismo piangente per i mancati profitti, che invece nel periodo natalizio sono molto alti – turismo sciistico compreso – la Chiesa preme per avere almeno la possibilità di messe in presenza. Per carità, osservando le norme anti-Covid, naturalmente. Occorre ritornare, per la Chiesa, a dichiarare, a dimostrare con forza che Dio non è stato vinto dal Covid-19 ma che mantiene sempre, nel mondo martoriato da queste morti seriali, un ruolo centrale, che alla luce di ciò che accade rischia evidentemente di perdere.

Vedremo come il potere politico laico, ma intriso da tanto religiosità diffusa, riuscirà a risolvere la situazione; vedremo quanti fedeli accorreranno fiduciosi a farsi contagiare nelle chiese o in luoghi simili, per fare riprendere a Dio una centralità che fattualmente ha perso nella società distrutta da morti per pandemia. L’impossibilità delle messe in presenza è una novità assoluta, ma dopo un primo accenno di accettazione del dato di fatto, la Chiesa non può restare impassibile e accettare una mortale riduzione. Dio non può stare senza il suo popolo. Mente il suo popolo può morire senza di lui e con Dio nell’angolo.

Vedremo quindi la soluzione finale. Ma se per le questioni economiche la lamentela è verso una crisi che toccherebbe tutti, o quasi, ricchi esclusi, per le lamentele religiose sembra che le considerazioni siano relegate a un numero di persone, restiamo in Italia, sempre più ristretto. Sempre meno fedeli praticanti e osservanti ogni anno che passa. Ma la messa a nudo della non-esistenza dichiarata di Dio, così come ci diceva il buon Feuerbach, avrebbe una grande incidenza sul piano ideale. Una volta messa a nudo l’assenza di Dio nell’esistenza stessa degli uomini si potrebbe cominciare a pensare alla possibilità di immaginarsi una vita senza disuguaglianze e sfruttamento.

05/12/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Tiziano Tussi

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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